Mauro Rostagno, quanto bisogno abbiamo ancora oggi del suo coraggio politico
“Chiddu c’a varva” si era spinto troppo in là con la sua telecamera, andando di terreno in terreno, di intervista in intervista, in quel trapanese fradicio di cattivo potere antidemocratico, ammantato di irrinunciabili esigenze anti comuniste. “Chiddu c’a varva”, che se ne andava in giro vestito di bianco, col fare di chi non si prende mai troppo sul serio, era un affronto alla ostentata arroganza di quel potere che nella mafia aveva il suo cane da guardia.
“Chiddu c’a varva”, come l’aveva apostrofato il boss Mariano Agate, con ironia e fermezza smascherava ogni giorno la feroce mediocrità di questi cani, afflitti da un inguaribile complesso di inferiorità, costretti come erano da secoli ormai a rincorrere nei modi di esercizio del potere i fratelli maggiori, quelli altolocati per davvero.
I mafiosi invece, fratelli minori, padroni minori, avevano ancora l’affanno di esercitare in proprio la violenza, scannando cristiani anche per conto terzi e pazienza se a saltare in aria era una famiglia come a Pizzo Lungo. Loro, fratelli minori, padroni minori senza manco il lustro di un capitano di ventura o la riconoscenza tributata oggi a un contractor, abituati a farsi bastare eroina, cemento e l’illusione di contare qualcosa a Mauro Rostagno dovevano farla pagare.
E così Mauro venne ucciso a fucilate il 26 settembre del 1988, dieci anni dopo Peppino Impastato. Nel 2020 la Cassazione ha definitivamente condannato all’ergastolo come mandante dell’omicidio Vincenzo Virga, capo mafia trapanese, senza sciogliere i dubbi sull’esecutore materiale, sui depistaggi e sugli interessi che in quel delitto hanno trovato l’ennesima convergenza.
Quanto è attuale il testamento esistenziale di Mauro Rostagno! Quanto bisogno abbiamo di ostinati ficcanaso oggi che viviamo in un mondo nel quale le informazioni sono diventate la base del nuovo capitalismo e sono così abbondanti da far pensare che l’accesso al sapere sia un fatto scontato; eppure sono ancora i giornalisti seri, quelli che non spacciano intrattenimento, ma illuminano ciò che il potere vorrebbe tenere segreto a essere i più perseguitati, i più minacciati, i più a rischio della vita nel civilissimo Occidente.
Quanto bisogno abbiamo oggi di nuovi Macondo e di nuove Saman: cioè della capacità che Mauro ha avuto di abitare i margini, di colmare i vuoti, di incontrare le persone comunque fossero fatte, innamorandosene per quello che erano, accogliendole e danzando con loro, per ritrovare la strada del tutto, attraverso la pazienza del poco. Ce lo dicono le nuove segregazioni sociali, le nuove solitudini, tra dipendenze vecchie e nuove e una strisciante, pervasiva forma di “agorafobia”, che spinge la disintermediazione sociale fino all’auto isolamento dei giovanissimi Hikikomori.
Quanto bisogno abbiamo oggi del coraggio politico di Mauro Rostagno che, dopo essere stato tra i fondatori di Lotta Continua, dopo aver creduto con tutto se stesso che quel movimento nato dall’onda del ’68 avrebbe davvero potuto innovare radicalmente l’esercizio del potere in Italia, quando si rende conto di essere finito con tutta la compagnia su un binario morto, lo dice, lascia e invita a lasciare, prima che sia troppo tardi, prima che la frustrazione imbocchi la scorciatoia folle della violenza.
Per Mauro le “tesi” in politica sono una cosa seria: o si inverano, dando i frutti sperati, o si mettono in discussione, radicalmente. Una lezione tanto preziosa a vent’anni dalla terribile estate del 2001, con il drammatico ritiro occidentale dall’Afghanistan che lascia presagire soltanto che continuerà in altri modi la giostra macabra dell’industria della guerra, che vive di fallimenti e di incompiuti. Una lezione che vale come antidoto al narcisismo del “red-washing”, di quanti cioè costruiscono rendite di posizione su cause perse, ma ricicciate senza vergogna, di quanti, per parafrasare le parole di Mauro stesso: dopo aver cercato di costruire un mondo nel quale valesse la pena trovare un posto e non essendoci riusciti, si sono però accorti di poter avere un posto in questo mondo che non butta via niente, nemmeno quella golosa nicchia di mercato rappresentata da rivoluzionari di mestiere.
Mauro ha avuto l’intelligenza dell’acqua che riceve la forma dal contesto che la racchiude, ma resta se stessa e riesce a trovare la propria strada spaccando anche la roccia più dura. Ciao, Mauro!
Il Fatto Quotidiano, il blog di Davide Mattiello
*****
‘Ndrangheta in Piemonte, 10 anni fa lo ‘tsunami’ Minotauro. Ecco cos’abbiamo imparato
Trackback dal tuo sito.