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Il mondo che cambia e il bisogno di un’Europa più forte

Pierluigi Ermini il . Istituzioni, Politica, Società

Viviamo un momento veramente complicato a livello internazionale, non solo per la pandemia che non ci abbandona e ci condiziona, ma anche per i cambiamenti mondiali politici che stiamo attraversando.

Quanto sta accadendo in Afghanistan, la “guerra economica” in corso soprattutto tra Stati Uniti e Cina, la nascita di un rapporto nuovo in termini di difesa tra gli stessi Stati Uniti, l’Australia e la Gran Bretagna (che non riguarda solo la vendita di alcuni sottomarini a propulsione nucleare) sta provocando uno spostamento degli equilibri anche all’interno del mondo Occidentale. Un problema che investe anche la Nato e l’alleanza di difesa scaturita dopo la fine della seconda guerra mondiale.

Si assiste allo spostamento di attenzione delle maggiori potenze internazionali occidentali verso l’Asia (in risposta alle paure che sta provocando la Cina), lasciando di fatto “incustodito” il Grande Medio Oriente (composto dal mondo arabo, dai paesi caucasici, fino al Pakistan e l’Afghanistan ).

Si aprono nuovi terreni di “conquista” per stati come la Turchia e la Russia (dando loro la possibilità di costruire nuovi “imperi economici” avvicinandosi a paesi come la Libia, la Siria, l’Iraq), e la possibilità per la stessa Cina di influenzare l’Afghanistan oggi abbandonato e in mano ai Talebani.

Da non trascurare anche il tema dei grandi investimenti che la Cina sta effettuando in alcuni paesi dell’Africa (soprattutto negli stati dove si trovano minerali e materiali importanti per la sua economia) che stanno trasformando la potenza asiatica nel nuovo colonizzatore mondiale.

La stessa Brexit sta spingendo la Gran Bretagna, una volta staccatasi dall’Unione Europea, a cercare di riconquistare una posizione di prestigio nel panorama internazionale.

Ad oggi, il grande assente, in questa fase storica di mutamenti politici, sembra essere proprio la nostra Europa.

Si tratta di temi importanti anche per noi italiani che ci devono spingere a capire come in questo mondo globalizzato molte delle cose che accadono si legano tra loro e coinvolgono anche la nostra vita personale.

La pandemia ci ha fatto capire come è impossibile vivere oggi la propria esistenza staccati dagli altri (ormai appare chiaro a tutti come miei comportamenti vanno a incidere fortemente sulla vita di chi vive intorno a me).

Le scelte compiute da alcuni paesi, cosiddetti potenti, incidono anche su quanto accadrà domani o sta già accadendo oggi per fare degli esempi sulle coste della Libia, nei campi profughi della Turchia, o nelle persone in fuga dall’Afghanistan.

Ciò inciderà sulle nostre scelte di politiche di integrazione; far finta che niente accada o far finta che la vita di queste persone non ci riguardi, alzando muri, non aiuterà a costruire un’Europa dove i diritti civili siano riconosciuti a tutti coloro che qui abitano.

La perdita di diritti per alcuni porta nel tempo alla perdita di diritti anche per tanti altri.

Basta vedere cosa sta accadendo nel mondo del lavoro in Italia dove le multinazionali decidono dall’oggi al domani se licenziare o meno, o nel campo dei diritti civili in alcuni paesi europei come Polonia e Ungheria, paesi che la stessa Unione Europa considera ormai al limite della concezione di stati democratici.

Oppure vedere le dinamiche che determinano il costo del gas e del petrolio e quanto esse influenzino la nostra vita quotidiana (per cui il nostro governo in queste ore sta decidendo di investire oltre 3 miliardi di euro per non gravare troppo sulle spese delle famiglie).

E per fare un altro esempio, soffermarsi su alcune dinamiche che determinano il cosiddetto passaggio alla green economy dove noi occidentali abbiamo lasciato campo libero alla Cina nella costruzione di batterie ed accumulatori di corrente, permettendo loro di dominare questo settore oggi strategico con le loro regole (e la mancanza di diritti basilari nel mondo del lavoro che coinvolgono tutti, creando per esempio nei paesi dove si produce il cobalto, nuove forme di schiavitù).

Dunque come è avvenuto nel campo dell’economia come risposta alla pandemia (con il passaggio da una visione dell’economia basata sulla solo tenuta dei conti in ordine e sul rientro dai debiti e non anche sugli investimenti) che ha portato alla creazione del programma europeo noto come Next Generation EU di cui fa parte il PNRR italiano (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), l’Unione Europea è chiamata ora a una nuova scelta rivoluzionaria, che è quella di dar vita a una propria comunitaria  politica estera, di sicurezza e di difesa comune.

Appare sempre più chiaro che in uno scenario di questo genere un singolo paese dell’Unione Europea non può influenzare o avere voce in capitolo di fronte a questioni così grandi, ed occorre dunque individuare e concertare tra tutti gli stati membri una politica estera che individui un pensiero comune sui grandi temi.

Temi che hanno una grande influenza sulla vita economica dei singoli paesi e di conseguenza anche sulla qualità della vita delle persone che in Europa vivono.

Purtroppo siamo in una fase dove, a seguito del Trattato di Lisbona del 2007, le scelte di politica estera, di sicurezza e di difesa comune devono essere assunte dagli stati membri all’unanimità.

Occorre dunque anche una modifica per arrivare, come avviene per altri campi, a una maggioranza qualificata, che semplifichi la possibilità di arrivare a scelte concrete.

Così come avvenuto nel campo economico (che comunque ha fatto fare un salto di qualità e di prestigio anche agli occhi dei suoi abitanti e cittadini), l’Unione Europea è ora attesa a questa nuova tappa del suo processo di crescita, indispensabile se il nostro continente vuole avere un peso nei nuovi equilibri che si vanno delineando nel nostro pianeta.

D’altronde l’alternativa, nonostante quello che possono pensare i populisti e sovranisti di ogni versante ideologico, è quella dell’insignificanza politica ed economica, che renderà anche la nostra Italia più povera economicamente e socialmente. Una terra con ancora minore giustizia sociale.

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