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In ricordo di Tullio Pironti

Michele Del Gaudio il . Campania, Cultura, Società

Tullio Pironti muore nei giorni scorsi fra le braccia dei suoi libri, di autrici ed autori, collaboratrici e collaboratori, lettrici e lettori, della napoletanità autentica che alberga nei vicoli e nelle strade eleganti, nei versi di poeti e cantautori, nelle opere degli esteti infiniti.

Tullio è la cultura, anche se non è colto. Ha un intuito affidabile, una intelligenza maiuscola, una capacità di predire il futuro a chiunque gli si presenti con uno scritto a penna, a macchina, a computer; riconosce all’istante il talento, più dei critici di professione. Disegna le sue copertine, discerne pittura, scultura, grafica. È timido, sensibile, ma ha in serbo un coraggio perspicace. È di poche parole, ma esaustive. Non guarda negli occhi, ma centellina sguardi penetranti che denudano interlocutrici ed interlocutori costringendoli alla sincerità. Affascina, saluta con un sapore che trasmette voglia di rivederlo. Non ha sogni ma speranza.

Era un maggio che spaccava, l’aria sudava sui basoli vesuviani del ’92 alle tre pomeridiane. Piazza Dante seduceva, ammaliava fra saette di sole e zampilli di colori caleidoscopici. Il palazzo antico ospitava l’editore. Scale vetuste tormentate accompagnavano alla porta castana, invecchiata ma nobile. Tullio dall’uscio mi pilotò fino ad un salone con due scrivanie d’antiquario, come le poltroncine, l‘arredo, i quadri… un ambiente comunque sobrio, riservato, avvolgente, appassionato.

Io avevo già la casa editrice, la Sisifo di Diego Novelli e Adalberto Minucci, piccola ma prestigiosa. Pironti mi telefonò senza conoscermi. Gli aveva dato il numero Rosalba Cesqua, che aveva letto la bozza e mi aveva dato qualche consiglio. Le era piaciuta e l’aveva appoggiata “distrattamente” senza proferir parola sullo scrittoio di Tullio… che non ascoltava chi insisteva, ma non domava la curiosità di indagare sul nulla. In poche ore mi precettò.

“Il libro è ottimo, lo pubblico. Sul contenuto non intervengo e comunque non cambierei neanche una virgola, ma su titolo e copertina decido io. Le dò il 10% di diritti d’autore, è il massimo ma ci vale. Possiamo anche partire subito”. Pironti continuava a pugilare, da giovane lo faceva sul ring, ma con voce morbida e tono suadente. Mi stese senza che me ne accorgessi. Adalberto mi svincolò, ottenni il titolo “La toga strappata” abbandonando a malincuore quello iniziale “Storia di un’utopia”.

A fine luglio il volume era nelle librerie di tutt’Italia, altro che editore del Sud, e scalò subito le classifiche, fino al terzo posto, avanti ad autori famosi. Fu il sessantatreesimo dell’anno, pur avendo gareggiato solo per cinque mesi.

Da quella primavera focosa si diffuse un sentimento intenso, che spadroneggiò con dolcezza, perché l’imprenditore si rivelò un uomo mite, poliedrico, generoso. Orgoglioso di me e della mia umiltà mi presentò la sapienza partenopea e nazionale, anche se fu commovente soprattutto l’incontro con Fernanda Pivano.

Tullio mangiava poco, ma godeva delle tavolate raffinate di menti. Siamo stati comitiva per anni con gran cerimoniere un Luigi Necco spumeggiante. Mia moglie Maria non mancava mai: era incantata da Tullio, dalla compagna Carmen e dalla sua orchestra di artisti e letterati.

Ci siamo sentiti a luglio… poi… già mi manca…

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