Quale verità nell’era del capitalismo della sorveglianza
L’inchiesta. La vicenda di Julian Assange al centro de «Il potere segreto» di Stefania Maurizi, pubblicato da Chiarelettere. L’accusa contro il fondatore di WikiLeaks: rivelò i crimini di stato in Irak, Afghanistan e a Guantanamo. Negli Stati Uniti rischia 175 anni di carcere, una condanna a morte
Julian Assange deve morire? Sembra questo il desiderio non detto degli Stati Uniti, della Gran Bretagna, dell’Australia, dell’Ecuador e della Svezia, vale a dire i riferimenti angoscianti del calvario cui è sottoposto da anni il giornalista australiano. Uno scandalo che ci interpella sulla crisi democratica, fotografata da ultimo dai deliri afghani.
Il fondatore della struttura di informazione libera WikiLeaks (nata nel 2006, in pieno clima di libertà della rete, condivisione e open source), infatti, inizia già nel 2010 un incubo senza fine. Il potere segreto (Chiarelettere, pp. 388, euro 19) è il preziosissimo volume di Stefania Maurizi, che ci racconta con cura e rigore l’intera vicenda. L’autrice scrive oggi su Il Fatto Quotidiano, dopo aver lavorato per la Repubblica e per L’Espresso. Ci fornisce uno straordinario materiale – scritto con cura letteraria – su un buco nero del millennio, dove i colpevoli mettono i panni dei giudici e l’eroe moderno che disvela i crimini di stato diventa un pericoloso e mal sopportato criminale, perseguito dalla Svezia per presunti reati sessuali da cui viene prosciolto e dall’alleanza angloamericana per violazione dell’Espionage Act del 1917.
Di cosa è incolpato Assange? Ecco il punto. Le incriminazioni riguardano la divulgazione dei file inerenti alla guerra in Iraq (tra i quali il famigerato video sull’eccidio di civili Collateral Murder), quelli sull’Afghanistan oggi di un’attualità stringente, i cablo inerenti al controllo della vita di migliaia di persone messo in atto dalla National Security Agency (Nsa) ivi compresi capi di governo, le torture di Guantanamo. Insomma, coloro che operano una plateale incursione nelle vite accusano di spionaggio chi ha portato fino in fondo la deontologia professionale ed ha interpretato l’essenza della cronaca.
Non è stata riconosciuta la tutela garantita dal primo emendamento della Costituzione di Washington sull’intangibilità dell’informazione. Lo testimonia il protagonista dei Pentagon Papers Daniel Ellsberg che, per una situazione del tutto omologa creatasi per le rivelazioni sulla guerra del Vietnam – pubblicate da New York Times e Washington Post- non venne, invece, incriminato.
Attorno ad Assange si dipanano fili neri, a partire dalla tragedia di Chelsea Manning, decisiva fonte primaria sull’Iraq. Il militare, che nell’incredibile detenzione ha scelto di cambiare sesso ed era entrato nell’esercito non per la guerra, bensì come analista informatico, è un esempio alto di moralità. Ha contribuito alla controinformazione, perché assisteva a scempi inauditi del diritto e delle convenzioni internazionali. Chi è, dunque, il reo? Colui che strappa il velo dei segreti di stato coperti perché inconfessabili, o i decisori delle trame insanguinate? Tre tentativi di suicidio in carcere sono il risultato di una consapevole tortura.
Di tortura – clamorosamente subita da Assange – ha parlato esplicitamente nel 2020 il relatore delle Nazioni Unite Nils Melzer. Dopo la lunga segregazione nell’ambasciata ecuadoregna a Londra, subendo una vergognosa intercettazione extra legem ad opera di una connivente società di vigilanza spagnola – della sede diplomatica – pagata dalla Cia, cui è seguita la detenzione nel carcere speciale inglese di Belmarsh, le visite mediche diedero un verdetto chiaro: Assange è in condizioni psichiche precarie e non si può escludere nulla.
E ora, benché per gli evidenti problemi di salute la giudice del tribunale londinese abbia sospeso la richiesta di estradizione negli Stati Uniti, il rischio rimane ed è serissimo. 175 anni di carcere, questa è la misura della pena che viene minacciata, sono – comunque – una condanna a morte. Edward Snowden, l’analista della Central Intelligence Agency ugualmente accusato, ha trovato un rifugio di necessità in Russia, non certamente per sua scelta. Ed altri, magari osservati con fastidio perché hacker, non hanno avuto vita facile.
Il potere segreto, così ben descritto da Stefania Maurizi, non è una mera patologia, bensì la chiave della trasformazione del capitalismo nell’età della sorveglianza, via via affrancatosi dalle stesse istituzioni formali, già deboli e poi supine.
Il libro, assai utile per capire il mondo attuale in tutta la sua violenza reale e simbolica, è la radiografia degli odierni rapporti di forza. E WikiLeaks, rappresentando un’insopportabile volontà eversiva rispetto all’ordine costituito, va all’inferno. Giornali e media ufficiali, peraltro, sono conniventi. Domani capiterà pure a loro?
Il volume è un lungo appassionante racconto che, con uno sguardo acuto e sensibilissimo capace di intrecciare le vicende generali con le complesse (e talvolta contraddittorie) trame personali di un potenziale premio Pulitzer, invoca coraggio e verità.
Fonte: Il manifesto, 09/09/2021
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Vi racconto “Il Potere segreto” e perché vogliono distruggere Julian Assange e Wikileaks
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