Gino Strada: “Da sempre contro ogni ingiustizia”
Gino aveva una personalità esuberante, a volte irruente. Ma prima ancora era una persona autentica, una persona generosa ed essenziale: uno Strada che non ha mai sentito l’esigenza di “farsi strada”.
Ieri mattina, poche ore prima che arrivasse la triste notizia, avevo letto il suo editoriale su “La Stampa”. Un testo lucido ma anche pieno di amarezza e, a tratti, desolazione.
Gino faceva il bilancio, nel momento in cui l’Afghanistan sta tornando in mano all’oscurantismo talebano, di quella “guerra al terrorismo” dichiarata dagli Stati Uniti nel 2001 e combattuta con l’appoggio e il concorso delle potenze europee. Un bilancio tragico: 241mila morti di cui quasi 29mila bambini e lui per sette anni laggiù – con la valorosa struttura di Emergency animata dalla moglie Teresa, donna straordinaria – a curare migliaia di feriti, di amputati, di orfani, di deprivati della dignità. Una guerra che l’America e i suoi compiacenti complici avevano giustificato col principio dell’ “esportare la democrazia”: si è visto con quali magri risultati… Una guerra – ci ricordava ancora Gino – il cui solo, indiscutibile, vincitore è stata l’industria delle armi, lesta a ricavare ingenti profitti da investimenti in miliardi di dollari e di euro.
Cosa ci ha trasmesso, la luminosa vicenda terrena di Gino Strada? Una consapevolezza che ha nutrito il nostro rapporto facendoci vivere anche momenti d’intensa condivisione (come quella volta sul palco di Potenza, il 21 marzo del 2011, durante la lettura dei nomi delle vittime innocenti delle mafie).
La consapevolezza che il male e l’ingiustizia si nutrono di passività, indifferenza, irresponsabilità. Che il male prospera laddove le coscienze sono troppo quiete o distratte. E che la libertà è un bene comune: si è liberi con gli altri e per gli altri, mai contro o a scapito loro. “Esportare la democrazia” con le armi è una contraddizione in termini, un’indecente maschera della volontà di potenza.
Gino ci lascia questa spigolosa verità, una verità che non è sufficiente dire: bisogna viverla, perché il cambiamento parte dalle nostre coscienze, dal coraggio ordinario di non restare zitti e inerti quando vediamo compiersi un’ingiustizia, anche se non ci colpisce direttamente. La democrazia non va esportata alla stregua di una merce: va vissuta, difesa e promossa nella corresponsabilità e nella condivisione. Proprio quello che sta facendo Cecilia, la figlia di Gino e Teresa, impegnata a soccorrere i migranti alla deriva nel Mediterraneo. Un Olocausto silenzioso di cui un giorno l’Occidente dovrà rendere conto.
Gino e Teresa continuano a vivere in lei, nel suo impegno e in quello di tutti noi.
Fonte: La Stampa, 14/08/2021
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