Gino Strada: il medico contro tutte le guerre e per i diritti di tutti
Gino Strada e le sue sigarette. Gino Strada e la sua visione politica del mondo. Gino Strada il burbero sognatore. Gino Strada che era riuscito con la sua insistenza a rivoluzionare le attività del volontariato medico. Gino Strada odiato da tutte le mezze tacche del giornalismo e dai cicisbei dei partiti. Gino Strada con la sua faccia da “che cazzo stai dicendo?”.
Per quel che ne so, avendolo frequentato da redattore di Radio Popolare ai primi tempi di Emergency, Gino Strada non era una persona facile, perché non era malleabile.
La sua prima scuola sono state le piazze degli anni ‘70, a fianco dei movimenti studentesco e operaio. Poi l’università, facoltà di medicina. Non puoi capire la creazione di Gino Strada, Emergency, se non leghi questi due momenti: la salute è un diritto e i diritti sono per tutti, altrimenti si chiamano privilegi. Vale in fabbrica, nei quartieri periferici, negli ospedali da campo.
La visione della salute di Gino Strada (e dell’altrettanto fondamentale pilastro di Emergency che era la moglie, Teresa Sarti) era dunque fortemente politica. E lo rivendicava. Le guerre si fanno per soldi e controlli strategici, non per portare democrazia, diceva. Quindi il rifiuto del concetto – un ossimoro – di guerra umanitaria che ha verniciato di buone intenzioni molti crimini. Come corollario c’è la decisione di curare tutti, ma proprio tutti. “Pure i talebani?” gli chiedevano. Certo – rispondevano medici e infermieri di Emergency – perché il diritto ad essere curato riguarda vittime e carnefici. Dietro quella risposta non c’era solo il giuramento di Ippocrate, ma anche l’intuizione che si stava precipitando verso una selezione sempre più evidente tra persone di serie A e persone di serie B: ora si trattava di discriminare sulla base della divisa, poi saremmo passati alla nazionalità, al colore della pelle, un domani al sesso o alle idee…
Invece Gino Strada, con la sua ruvida narrazione, l’ha scritto in “Pappagalli verdi”, quando spiega il triage – questioni di secondi, a volte – che costringe un chirurgo di guerra a decidere le possibilità di sopravvivenza di due pazienti arrivati contemporaneamente. È la gravità delle ferite a determinare la scelta, non la carta d’identità o, come spesso accade nei paesi ricchi, la carta di credito. Ed è lo stesso filo rosso che spiega l’insistenza di Gino Strada ad aprire nel Sudan del dittatore Al-Bashir un centro di cardiochirurgia. Ricordo le grandi critiche da parte di altre ONG: ma come, in Africa si muore ancora di malaria e morbillo e tu metti su un centro di cardiochirurgia? E Gino Strada, a muso duro, replicava: “gli africani che soffrono di cuore non hanno diritto a curarsi?” E così, se oggi aprite la pagina di Emergency, troverete in bella mostra questa scritta: “L’unico ospedale di cardiochirurgia totalmente gratuito in un’area abitata da oltre 300 milioni di persone”.
Idem per altre critiche: “ma come, ti fai finanziare da quel dittatore?” E Gino Strada non solo non eludeva la domanda, ma si era pure fatto riprendere in un documentario mentre mandava al diavolo Omar Al-Bashir perché gli voleva ridurre i finanziamenti per l’ospedale.
Personalità complessa, carattere burbero, Gino Strada va visto nella sua interezza, anche nella parte in cui si è inventato manager per riuscire a farsi finanziare da certe persone strutture mediche che hanno salvato migliaia e migliaia di vite.
Gino Strada se è andato nel mezzo della riconquista talebana dell’Afghanistan. Aveva appena ricordato su “la Stampa” che ci aveva vissuto sette anni, ricucendo ferite e garantendo riabilitazioni. Solo un cieco – diceva – poteva non vedere che sarebbe finita così, come finiscono tutte le guerre cominciate con la miserabile bugia di portare pace, democrazia e diritti. In compenso Gino Strada non lascia solo una realtà solida, ricca di migliaia di sottoscrittori, volontari, personale. Lascia un esempio di impegno monumentale.
Sua figlia, Cecilia, in queste ore è sulla Resq, una nave umanitaria finanziata dalla società civile. La notizia della morte di Gino Strada l’ha raggiunta proprio mentre era in corso il primo salvataggio della Resq: 85 naufraghi alla deriva su una piccola barchetta. Ai messaggi di affetto che un gruppo di amici le rivolgevano Cecilia ha risposto così: “Io vi abbraccio ma non posso rispondere ai vostri tanti messaggi (grazie), perché sono qui, dove abbiamo appena fatto un soccorso e salvato vite. È quello che mi hanno insegnato lui e la mia mamma”.
Fonte: Articolo 21
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