Quando “l’uomo nero” vende sogni e gioia, la politica da incubo sbiadisce
Sulla sconfinata spiaggia tirrenica, sotto il sole di mezzo pomeriggio, compare d’improvviso in lontananza un oggetto semovente. Sembra un’allucinazione felliniana, una variopinta nuvola terrena. Fantasmagorica, surreale.
Chi stia seduto sul bagnasciuga ha perfino la sensazione di essere vittima di una trance onirica: l’oggetto si avvicina infatti senza che all’apparenza nulla o nessuno lo sospinga. Alto all’incirca due metri e mezzo o tre, e largo più di due, avanza mosso da una invisibile energia, annunciando un trionfo di colori al suo passaggio. Via via che arriva si distinguono macchie di arancione, fulgori di azzurro e blu, serpentine verdi, isole rosa e lilla, ritagli neri e chiazze rosse. Un frullato cromatico come mai ne ho visti in vita mia, nemmeno ai carnevali più pittoreschi.
Finché appare evidente che l’oggetto sta viaggiando su due ruote, di cui in un baluginar di geometrie spuntano ferri e gomme. Ma non ci sono né motori né pedali a farle girare. Procedono invece sulla battigia sospinte da piedi e mani umane, se è vero che una figura d’uomo si indovina tra le cento mercanzie che prendono forma a ogni giro di ruota. E che svolazzano a destra e a sinistra con levità sublime. Si librano, ben irrorate di ossigeno, ampie piscine gonfiabili mescolate a salvagenti turgidi e di tutti i colori. Ai loro lati oscillano cavallucci marini di un metro. E tutto sormonta a sinistra un’aragosta gigante, verosimilmente destinata alla funzione di materassino. Mentre dalla parte anteriore del prodigioso caravanserraglio si impennano verso l’alto squali paffuti e bicolori.
Quando l’instabile e gigantesco parallelepipedo è a pochi metri, tutto si rivela nei dettagli. Ecco i pinguini, battellini pronti a solcare le onde. E sui lati le classiche confezioni magiche dell’infanzia, avvolte nella sempiterna reticella: secchielli, palette, innaffiatoi, formine verdi e gialle, setacci e palline. Pendono verso il basso i racchettoni con palle da tamburello. E lunghi bracciali esotici con scarpe della durata di una luna. Né mancano, perché sono davvero obbligatori, grappoli di palloni di ogni forma e sostanza e consistenza: gialli e neri, bianchi e azzurri, totalmente arancioni. Quand’ecco che si avvicina una nonna con nipotino di due-tre anni: “ce le ha le biglie per le piste?”. Accanto a lei il bimbo sbarra occhi da incantesimo. Il costumino a pantaloncini a quadri, il sogno nello sguardo. “Adda” (“guarda”), dice. Contempla tutto, come incredulo, poi indica la retina delle biglie, la riceve nelle mani come fosse un regalo del cielo, “dieci biglie, pensa!”, fa la nonna. Il bimbo le tocca felice. Arriva un altro bimbo un po’ più grande con il padre. Vuole la palla verde a rombi neri. La sosta attira i piccoli fin lì immersi nella grande buca scavata a mano. Fuoriescono dalla loro (e innocua) grande opera di irrigazione e si riversano in festa verso quello sgangherato treno di poesia.
Sulla battigia su cui i liquami marini lasciano i contorni della schiuma bianca delle onde, in mezzo ai segni della civiltà inquinata, volteggiano sogni purissimi grazie a quel trabiccolo che odora di infanzia e immaginazione. Artefice di tutto, quell’uomo magro, rugoso e dalla pelle scura venuto da chissà dove con il suo impossibile carico di mercanzie.
Non posso non pensare che un’estate non troppo lontana quelli come lui furono a furor di popolo indicati come portatori di nequizie e di violenza. Da arrestare a vista. Ne nacque una grande campagna di pulizia etnica balneare. Vedo i bimbi assembrarsi felici intorno a lui, portatore del suo rarissimo bazar, e penso che, anziché di venditori ambulanti di ideologie, questo paese e i suoi abitanti avrebbero un bisogno senza fine di venditori ambulanti di sogni, sogni veri.
Basta contemplare questa minuscola, infinitesima città della gioia. Spiaggia batte politica 4-0.
Fonte: Il Fatto Quotidiano, 09/08/2021
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Incontrarsi ancora. Lo stupore e l’ossigeno vitale di dirsi tutto (ma fuori dallo schermo)
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