Ingiustizie. “Il giorno che la Camorra uccise papà. Ma per lo Stato non è vittima di mafia”
Funziona così. Vai dove la camorra ha ammazzato in serie (in foto un’ala di una mostra sulle sue vittime innocenti) e ti avvicinano delle persone. Più spesso donne giovani. Discrete, timide, anche se forti di una qualche ragione.
Se dopo l’evento a cui hai partecipato ti si formano dei capannelli intorno, loro attendono pazienti. Poi si presentano. E ti raccontano una storia già narrata un’infinità di volte, che solo la qualità degli interlocutori (il potere, il prestigio, il sorriso…) induce ogni tanto a qualche variazione. Storie diverse ma con lo stesso sapore di ingiustizia.
È stato così che ho incontrato alla Casa Don Diana di Casal di Principe, provincia di Caserta, una giovane donna bruna dall’eloquio gentile e ordinato.
“Buongiorno, sono Rossana Pagano, familiare di vittima di mafia. Ora le dico di me…Eravamo una famiglia bellissima, il mio papà era persona umile e gran lavoratore, aiutava sempre il prossimo. Siccome gestiva un bar sotto casa, ogni Pasqua e Natale riempivamo il cofano della macchina di panettoni e li portavamo alle famiglie bisognose. Quando è stato ucciso avevo solo nove anni e mia sorella sei, ma ricordo tutto.
La sera del 26 febbraio del 1992 ero in cortile e stavo giocando con mio nonno, arrivò mio padre e gli disse: papà stai attento a Rossana, vado a fare un servizio e torno. Dopo alcuni minuti bussarono al portone, e capii dalla faccia di mio nonno che era successo qualcosa di grave. Si riempì la casa di carabinieri e io dallo spavento mi andai a nascondere sotto a un tavolo, mia zia prese me e mia sorella e ci portò a casa di un suo conoscente. Da quel giorno non vidi più né mia mamma né mio papà.
Ricordo che io e mia sorella non ci siamo più lasciate la mano. Dopo due settimane mia zia ci riportò a casa. Lì mi mancava l’aria, c’era un gran silenzio e c’erano tutte le luci spente tranne quella della stanza di mia mamma, dove c’erano lei e suor Antonietta. Rivedere mia mamma fu sconvolgente, non c’era più niente di lei: tutta vestita di nero, stanca, sconvolta e senza forze. Gli abbracci, i baci e il pianto sembravano non finire più, poi ci disse che nostro padre aveva avuto un incidente stradale ed era morto.
Da lì iniziò il mio calvario, la nostra vita fu stravolta. Mia mamma per portarci avanti dava una mano a mio nonno che faceva il venditore ambulante di giocattoli. Io e mia sorella riprendemmo la scuola e niente era più come prima, a casa non si festeggiavano più né la Pasqua né il Natale né i compleanni perché non avevamo più niente. Avevo 16 anni quando una signora per strada mi chiese: ‘signorina ma sei la figlia di Pasquale?’. Io risposi: ‘si sono io’, poi lei disse: ‘sei proprio uguale a tuo padre, non meritava di fare quella morte, era tanto una brava persona’. Io in lacrime non capivo cosa volesse dire, così corsi a casa e raccontai tutto a mia mamma. Lei scoppiò a piangere e ci disse che papà era stato ucciso in un agguato di camorra per uno scambio di persona, perché aveva la macchina uguale a quella di un membro di un clan. Ero sconvolta. Ho dovuto pure subire il mormorio che mio padre per morire così forse in fondo qualcosa c’entrava, ma io ero sicura che non avrebbe mai fatto del male a nessuno.
Dopo 24 anni, nel 2015, tornò finalmente il sole in casa mia con il telegiornale delle 8: erano stati arrestati gli esecutori dell’omicidio di mio padre. Ma dopo che gli imputati sono stati condannati e dopo che è stato ripetuto che mio padre era estraneo ad ambienti camorristici, lui non è stato riconosciuto vittima innocente perché aveva parenti di quarto grado in ambienti delinquenziali. E questo toglie a mio padre la dignità che merita. Una cosa a cui non mi arrenderò finché avrò vita.”
Questa storia Rossana l’ha raccontata a ministri, sottosegretari e prefetti e altri ancora. Inutilmente. Quei parenti “di quarto grado” la sovrastano. E le impediscono, fra l’altro, ogni risarcimento.
Perché mica sempre la legge è sinonimo di giustizia.
Fonte: Il Fatto Quotidiano, 26/07/2021
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Ricordare Borsellino. Le “formiche” sfilano con Beppe Sala (per far tacere le “cicale”)
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