Chiuso il caso sui falsi testi del processo per il delitto di Mauro Rostagno
È di ieri sera la sentenza pronunciata dal giudice monocratico Roberta Nodari con la quale è stato chiuso il processo che vedeva imputati 10 persone, tra le quali due sottufficiali di Carabinieri e Finanza, Beniamino Cannas e Angelo Voza, tutti testimoni dinanzi la Corte di Assise di Trapani durante il processo di primo grado per l’omicidio di Mauro Rostagno, avvenuto nelle campagne di Trapani, a Lenzi di Valderice, il 26 settembre del 1988.
C’è stata una sola condanna, quella del dentista Antonio Gianquinto, appartenente ad una obbiedienza massonica e che avrebbe agevolato Rostagno ad entrare in contatto con esponenti della massoneria trapanese, come Natale Torregrossa, gran maestro della Iside 2 (anche lui imputato in questo processo come si legge più avanti) nel periodo in cui giornalisticamente si stava occupando dello scandalo della loggia segreta iside 2 di Trapani.
“Io sono un pesce piccolo altri sono i pesci grandi” ha detto Gianquinto a suo tempo in Corte di Assise, negando le circostanze di quelli’incontro. Durante le indagini sui falsi testi stato intercettato. Gianquinto quando sa di dover andare alla Squadra Mobile cercò Torregrossa che però non gli diede udienza. Intermediario l’ex ufficiale dei vigili urbani di Trapani Nino Corselli. E Torregrossa si sfogò proprio con Corselli: “quando doveva essere sentito in Corte di Assise (parlando di Gianquinto ndr) mica è venuto da me per sapere cosa doveva dire, ha parlato lui di pesci piccoli e pesci grandi, ora vuole venire a parlare con me, troppo tardi”. Gianquinto è stato condannato a due anni, il giudice ha accolto la richiesta del pm Sara Morri.
Così come è stata accolta dal giudice Nodari l’assoluzione per il sottufficiale della Guardia di Finanza Angelo Voza. Voza durante il processo in Corte di Assise si presentò a testimoniare quasi spontaneamente, citato proprio dalla parte civile, conosceva bene Rostagno e volle venire a raccontare ciò che sapeva del lavoro giornalistica condotto in quella metà degli anni ’80 a Trapani dall’ex direttore di Lotta Continua e che a Trapani era diventato il giornalista di punta della tv locale Rtc. Voza seppe anche delle minacce arrivate a Rostagno e raccontò di averlo indirizzato per la denuncia ai Carabinieri. I giudici della Corte di Assise nella ricostruzione dei fatti ritennero che non avesse detto a pieno la verità, ma adesso il processo dove era imputato di falsa testimonianza ha dipanato le ombre sul suo conto, tanto che lo stesso pm ne aveva chiesto l’assoluzione. Voza è stato un sottufficiale che per molti anni stato a Trapani, assegnato alla sezione di pg delle Fiamme Gialle, spesso al fianco dell’allora pm Carlo Palermo. Proprio Voza poi era uno degli investigatori che in quegli anni ’80 a Trapani si occupò delle indagini sulla Iside 2, firmando il rapporto che ha portato sotto inchiesta gli appartenenti, anche soggetti mafiosi, a quella loggia.
Per tutti gli altri imputati il giudice Nodari ha dichiarato l’intervenuta prescrizione. Niente condanna quindi per il giornalista Salvatore Vassallo (il pm aveva chiesto tre anni), all’epoca anche lui era a Rtc e fu lui a raccogliere una delle minacce giunte a Rostagno; prescrizione anche per Natale Torregrossa (per lui erano stati chiesti due anni e sei mesi), uno degli esponenti della Iside 2 (a suo tempo condannato per questa circostanza): occupandosi dell’indagine giornalistica sulla Iside 2, Rostagno lo incontrò, ma Torregrossa in aula venne a dire di averlo incontrato per discutere di “temi spirituali”. Rostagno in quegli incontri, disse in un verbale che era rimasto nascosto tra le scartoffie di un archivio dei Carabinieri, che aveva parlato con Torregrossa e di avere appreso da lui sentito cose rilevanti a cominciare dai contatti diretti dei massoni trapanesi con il capo della P2 Licio Gelli, notizie poi sugli appartenenti alla loggia, e i contatti con i politici. Per Torregrossa, sentito in Corte di Assise, niente di tutto questo, “solo temi inerenti la spiritualità e la fratellanza universale”. “Immaginate un po’ – diss il pm Morri – un giornalista d’inchiesta quale interesse poteva avere Rostagno a parlare con Torregrossa di spiritualità”.
Prescrizione anche per la svizzera Leonie Chizzoni Heur, vedova del generale dei Servizi Segreti Angelo Chizzoni, ha negato ai giudici di aver conosciuto Rostagno. Il pm Morri per lei aveva chiesto due anni. Il nome della donna elvetica è legato all’ipotesi che attraverso lei, Rostagno seppe di un traffico di armi per il quale veniva usata la pista di un aeroporto militare ufficialmente chiuso, quello di Chinisia, ma potrebbe essere stato anche quello di Milo, due strutture esistenti alle periferie di Trapani, la prima nelle campagne verso il versante marsalese, l’altra sotto la montagna di Erice. “Ci scontriamo qui con i segreti della storia d’Italia – sostenne il pm Morri – quel traffico di armi che secondo il racconto di Di Cori per come appreso da Rostagno avveniva sotto protezione di militari, carabinieri, servizi segreti”. La vedova Chizzoni probabilmente negò non tanto per non ammettere la relazione extraconiugale con Rostagno, ma forse per non svelare una pagina oscura del Paese, quegli armamenti che arrivavano in Somalia e che servivano a preparare la guerra civile scoppiata qualche anno dopo quel 1988.
Prescrizione – quindi riconoscimento del reato però destinato a restare impunito per il tempo trascorso – e non assoluzione come era stato chiesto dal pm, per i tre operai che si attribuirono i resti di una “scampagnata” proprio nella cava dove venne ritrovata l’auto bruciata usata dai killer di Rostagno: si tratta di Liborio Fiorino, Salvatore Martines e Rocco Polisano. “Stranamente in una generale assenza del dovere civico di testimoniare – sottolineò il pm nella requisitoria – improvvisamente compaiono questi tre che raccontano di questo loro strano pic nic, quando nessuno avrebbe mai potuto pensare a loro. Invece si presentano con la voglia di raccontare i particolari di quel pranzo. Non si capisce perché ebbero a fermarsi in quel luogo, i loro racconti sono segnati da contraddizioni logiche”.
Accolte dal giudice le richieste di prescrizione per il luogotenente dei Carabinieri Beniamino Cannas e per la professoressa Caterina Ingrasciotta vedova dell’imprenditore Puccio Bulgarella, all’epoca editore della tv locale Rtc. Cannas di fatto era l’imputato principale di questo processo, durante il dibattimento in Corte di Assise fu sentito più volte, e le sue dichiarazioni hanno incontrato diverse contestazioni e contraddizioni.
I familiari di Rostagno, come la compagna Chicca Roveri, ma anche Carla sorella del giornalista ucciso dalla mafia nel 1988, non hanno nascosto perplessità sui suoi racconti, e i confronti in aula hanno maggiormente allargato i sospetti su quanto Cannas ha dichiarato sui periodi anteriori e successivi al delitto di Rostagno.
Per Cannas il pm Morri ha chiesto la dichiarazione di prescrizione, sottolineando però che nel corso del dibattimento si sono raccolte le prove della sua falsa testimonianza. Su Cannas più che su altri si sono raccolti i sospetti di aver partecipato in qualche modo al “depistaggio” che per oltre 20 anni ha impedito di far luce sul delitto di Mauro Rostagno.
Il processo in Corte di Assise cominciò nel 2011, 23 anni dopo il delitto. Fin qui quindi l’esito che ha avuto il processo contro i presunti falsi testi sentiti nel corso del processo sull’omicidio di Rostagno.
Processo che da poco ha ricevuto il sigillo finale della Cassazione: unico condannato, si ricorda fu Vincenzo Virga, per lui, conclamato capo mafia trapanese, altro ergastolo, dopo quello per la strage mafiosa di Pizzolungo del 2 aprile 1985.
È uscito dal processo con l’assoluzione il mafioso di Custonaci Vito Mazzara, che era stato ritenuto l’assassino di Rostagno e che e’ comunque in carcere per scontare l’ergastolo per avere ucciso il 23 dicembre 1995 l’agente della Polizia Penitenziaria Giuseppe Montalto, soppresso davanti alla moglie e alla figlioletta di pochi mesi nella frazione di Palma a Trapani, come regalo di Natale da parte dei boss liberi a quelli detenuti al 41 bis. Mazzara ritenuto il sicario di fiducia di Cosa nostra trapanese, il suo nome compare vicino a quello dell’attuale latitante Matteo Messina Denaro.
L’ordine di morte per Rostagno giunse proprio dal padre dell’attuale super ricercato, Francesco Messina Denaro, il patriarca della mafia belicina, che non sopportava più gli interventi giornalistici in tv di Rostagno, indicato per questa ragione come una “camurria”.
Tornando al processo sui presunti falsi testi, bene ricordare alcuni passaggi della requisitoria del pm Sara Morri “Questo processo – esordì la pubblica accusa – ha a che fare con la storia di Trapani, anche con la storia d’Italia e non solo perché Rostagno con la sua attività di giornalista d’inchiesta è certamente una parte rilevante e della storia di Trapani e della storia d’Italia”. “Questo era un processo da fare” proseguì, per tutta una serie di collegamenti e comportamenti, ha spiegato, che vanno a collocarsi, diciamo noi, in quel puzzle sul delitto Rostagno che è ancora rimasto parzialmente incompleto.
Fonte: Alqamah.it
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