Ogni storia è unica. Le inchieste servono a raccontarle tutte
Il tempo passa velocemente, e quella data cerchiata di rosso a fine agosto sembra sempre più vicina. Nel frattempo alcune interviste saltano, il caldo avanza e in molti vanno in ferie. Non è certamente un periodo generoso nel quale richiedere appuntamenti o provare dei blitz.
Ma il progetto iniziale comincia a prendere forma, in un modo o nell’altro. Le riprese sono quasi finite e il momento del montaggio è alle porte. Le ambasciate a casa di Danilo si fanno più sporadiche: cerco di immagazzinare il più possibile di quello che mi dice (guai a chiamarlo Maestro perché «è ancora troppo giovane»). Devo ammettere che mi ha dato un grosso aiuto.
Il girato mi ha portato dentro una realtà cruda, fatta di persone e sentimenti. Sto cercando di posizionarmi dietro alla notizia: vorrei che arrivasse un messaggio puro e diretto di una realtà troppe volte sottovalutata. Non è facile non farsi coinvolgere, e non è facile non restare segnati da quelle storie che diventano anche un po’ tue, in un certo qual modo.
Il viaggio continua, l’adrenalina cresce e la voglia di finire anche. È stato un percorso faticoso: fatto di poche ore di sonno e la lancetta della benzina sempre a terra. Un percorso appagante, però. Sia per me, sia – lo spero vivamente – in futuro per il pubblico. Del resto un’inchiesta ha sempre due autori: chi gira o scrive e chi guarda o legge, e qui sta la grande forza, dato che il cambiamento arriva solo se chi guarda o legge decide di migliorare.
Come nasce un’inchiesta giornalistica? Non esiste un’unica risposta. Il metodo migliore è quello di eliminare ogni pregiudizio e convincersi che esiste una risposta diversa per ogni singola inchiesta. Ogni storia è unica e deve essere analizzata e sviluppata. Che sia luglio o dicembre.
Fonte: Premio Roberto Morrione
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