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“Per battere la mafia lo Stato meriti fiducia”. L’audio inedito di Paolo Borsellino

Marco Bova * il . Giustizia, Informazione, Mafie, Memoria

Il magistrato ucciso il 19 luglio del 1992 disse: “Bisogna prendere atto che il sottosviluppo economico non è da solo responsabile della tracotanza mafiosa, che ha radici ben più complesse”

Un audio inedito del giudice  è stato ritrovato negli archivi dell’Istituto siciliano di studi politici ed Economici (Isspe).

Si tratta di un’audio-registrazione di 26 minuti il cui contenuto è stato trascritto a macchina con le correzioni a mano fatte dallo stesso magistrato.

L’AGI ne pubblica in esclusiva un estratto insieme al testo scritto. Borsellino, ucciso il 19 luglio 1992, affronta il tema della lotta alla mafia, senza sconti per la politica e la borghesia.

Il file, ritrovato casualmente dai ricercatori del Centro studi Dino Grammatico, in uno dei cassetti dell’Isspe, risale a un convegno del gennaio 1989, tenuto a  nella Sala delle Lapidi, in municipio.

“Bisogna prendere atto che il sottosviluppo economico non è, o non è da solo, responsabile della tracotanza mafiosa, che ha radici ben più complesse, tanto da farla definire in recenti studi non il prezzo della miseria, ma il costo della sfiducia”, dice Borsellino nell’audio ritrovato oltre trent’anni fa. Alla vigilia della caduta del Muro di Berlino, il magistrato introduceva la “pubblicazione del primo quotidiano europeo ‘The European’, scusate il mio inglese zoppicante, stampato a Londra, che nel suo numero zero, portava in prima pagina una notizia che riguardava la Sicilia: sei omicidi tra Gela e Palermo alla vigilia di una giornata di proteste contro la “.

“La risposta statuale intesa in termini meramente quantitativi di impiego di risorse umane e finanziarie non risolve il problema e altri spesso lo aggrava”, continua, approfondendo il tema dei contributi al Meridione, di estrema attualità rispetto al Recovery fund che oggi tanto preoccupa l’Antimafia.

“Tutti abbiamo recentemente appreso delle polemiche scatenatisi in ordine alla grande profusione di risorse finanziarie nei territori campani terremotati che hanno finito per scatenare gli appetiti della camorra – afferma il magistrato – trasformando quelle terre per il loro accaparramento in un tragico teatro di sangue ed è noto quale timore si nutrono a Palermo per l’attenzione immancabile di Cosa nostra al fine di finanziamenti che, si spera, dovrebbero apprestarsi a riversarsi sulla nostra città”.

Tra i temi affrontati, oltre al tema della lotta alla mafia, anche in relazione alle pubbliche amministrazioni, c’è la liberalizzazione delle sostanze stupefacenti, riferendo di una “idea bislacca”, avanzata da “dilettanti della criminologia”, che “la liberalizzazione del consumo di droghe comporterebbe, con il venir meno degli enormi profitti che si ricavano dall’illecito traffico, la sicura fine di Cosa nostra”.

Ma anche chiarendo che “la via obbligata per la rimozione delle cause che costituiscono la forza di Cosa nostra passa attraverso la restituzione della fiducia nella pubblica amministrazione”, continua ancora l’intervento di Borsellino.

“La registrazione, per la sorprendente attualità delle riflessioni espresse dall’indimenticabile magistrato palermitano su Cosa nostra, meritava di essere resa pubblica”, dice ad AGI Fabrizio Fonte, presidente del Centro studi Dino Grammatico e vice presidente di Isspe. Infatti, in occasione del prossimo anniversario dell’uccisione del magistrato, l’audio verrà condiviso sul profilo social del Centro studi, a partire dalle 16.58, orario esatto dell’attentato di via Mariano d’Amelio.

“Abbiamo estrapolato ben 7 passaggi chiave che verranno commentati con dei contributi audio visivi, da parte di personalità di assoluto rilievo e impegnate nel contrasto alla mafia”, continua Fonte. Tra i ‘testimoni’ di questa iniziativa, anche l’ex magistrato Carlo Palermo, sopravvissuto alla Strage di Pizzolungo del 1985, e Salvatore Borsellino, fratello del giudice ucciso.

“Questo ritrovamento ha un valore storico e culturale perchè ci consente di poter ascoltare dalla viva voce del giudice Paolo Borsellino un’analisi di ciò che era la Sicilia in quegli anni, senza alcuna mediazione o alterazione – conclude Fabrizio Fonte del Centro studi Dino Grammatico – basta pensare che, nel corso di questi trent’anni, caratterizzati anche da tristi e preoccupanti depistaggi, le uniche certezze sono state radicate a interviste e interventi dell’epoca, sia Borsellino sia dal magistrato Giovanni Falcone, comprendendo ogni volta qualcosina in più”.

“Il nodo è essenzialmente politico”, sottolinea ancora Borsellino. “La via obbligata – prosegue – per la rimozione delle cause che costituiscono la forza di Cosa nostra passa attraverso la restituzione della fiducia nella pubblica amministrazione”.

Nessun impiego “anche massiccio di risorse finanziarie produrrà benefici effetti se lo Stato e le pubbliche istituzioni in genere, non saranno posti in grado e non agiranno in modo da apparire imparziali detentori e distributori della fiducia necessaria al libero e ordinato svolgimento della vita civile”.

Continuerà altrimenti, avverte il magistrato, “il ricorso e non si spegnerà il consenso, espresso o latente, attorno a organizzazioni alternative in grado di assicurare egoistici vantaggi, togliendoli, evidentemente ad altri”.

La fiducia “che distribuisce la mafia è a somma algebrica zero. Fiducia nello Stato significa anche fiducia in un’efficiente amministrazione della giustizia sia penale, sia soprattutto civile”. Si tratta di impedire, insomma, per Borsellino, che, specie in Sicilia “si perpetui e consolidi il ricorso a un sistema alternativo criminale di risoluzione delle controversie”.

E fiducia nelle istituzioni significa “soprattutto affidabilità delle amministrazioni locali, quelle cioé con le quali il contatto con i cittadini è immediato e diretto”. Si tratta di gestire “la cosa pubblica senza aggrovigliarsi negli interessi particolaristici e nelle lotte di fazioni partitiche”. Il rischio, altrimenti, per le istituzioni che sono incapaci di riformarsi e di guardare la bene comune, è quello di diventare “veicoli principali delle pressioni mafiose e delle lobby affaristiche loro contigue”.

Una sfida che “lo Stato deve vincere in tempi rapidi perché è in grado di farlo, se non entro il 1992, come ottimisticamente recita il titolo di questo convegno – organizzato nel gennaio 1989, ndr – almeno in tempi che ci consentano di affrontare la maggiore integrazione europea forti di una sana e ordinata vita civile. Questo aspettano le nuove generazioni che tutte ormai si dimostrano, anche clamorosamente, desiderose di vivere in modo diverso e migliore del nostro. Esse ci richiedono questi impegni e questi sacrifici”.

* Agi, Agenzia Italia

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