Europei 2020. Le sei immagini che vanno oltre la vittoria
Un torneo internazionale come il campionato europeo lascia impresse dentro di noi, nel bene e nel male, immagini che ci porteremo dentro per molto tempo.
Aldilà della gioia e delle emozioni vissute per la bellissima vittoria ottenuta dalla nostra straordinaria nazionale italiana, ci sono altri momenti e gesti che vanno oltre il contesto sportivo e danno un senso diverso e più compiuto a quanto accaduto in queste settimane.
La prima immagine che per me ha un significato particolare è quella della nazionale danese tutta stretta intorno a Eriksen, nel momento in cui questo giovane calciatore stava passando dalla vita alla morte e poi nuovamente alla vita. La protezione dei suoi compagni stretti intorno a lui, è il segno straordinario di cosa vuol dire essere uniti. Un senso di difesa della sua persona bellissimo. Qui abbiamo sperimentato il senso vero dell’essere e sentirsi parte di una comunità….
È stato come se attraverso le loro preghiere, il loro pensiero, la loro protezione, i suoi compagni spingessero quest’uomo inerme a tornare a vivere.
Non credo sia stato un caso poi il cammino della Danimarca arrivata a un soffio dalla finale, perché quanto accaduto su quel campo ha cementato questo gruppo e l’amore che hanno trasmesso al loro compagno più famoso, li ha resi una squadra quasi impenetrabile nel vero senso della parola.
La seconda immagine bellissima di questo Europeo è l’inginocchiarsi convinto di alcune nazionali, prima dell’inizio delle partite, una su tutte il Belgio. Un segno semplice e forte, fatto da personaggi che hanno un grande ascendente soprattutto verso i più giovani, e che dunque ha assunto il valore di un messaggio chiaro che lo sport è il contrario del razzismo. Chi non avverte come vero e vive questo valore, non può essere ne’ un atleta nel senso più vero del termine, né uno sportivo. Sport e razzismo sono agli antipodi e inconciliabili.
La terza immagine è quella di Luis Enrique e della sua conferenza stampa dopo la fine della gara che più ha messo in difficoltà l’Italia, quella con la Spagna, che sicuramente non avrebbe meritato, per il gioco espresso in campo, di perdere.
Luis Enrique in quella bellissima intervista ha parlato della necessità nello sport come nella vita, di saper gestire e vivere lesconfitte, proprio come quella che la Spagna aveva appena subito contro l’Italia: “Sono stanco di vedere le lacrime nei tornei di ragazzi o bambini, non so perché piangano. Devi iniziare a gestire la sconfitta, a congratularti con il tuo avversario e insegnare ai bambini a non piangere. Devi alzarti e congratularti con il vincitore”.
Parole bellissime che dovrebbe fare proprie tutti coloro che insegnano sport, tutti i genitori, ma anche una nazionale come quella inglese che invece, dai suoi rappresentanti delle istituzioni ( con i reali subito usciti senza attendere le premiazioni), dai suoi giocatori sul campo (che si sono tolti la medaglia appena consegnata), fino ai suoi tifosi (con i fischi dell’Inno di Mameli prima e gli insulti razzisti verso i propri giocatori che hanno sbagliato i calci di rigore dopo) ha invece dimostrato a troppi livelli, l’incapacità di saper perdere.
La quarta immagine che resta scolpita in questo cammino di vita e di sport e’ la camminata con le stampelle di Spinazzola verso il podio per ricevere la medaglia nello stadio di Wembley insieme alla squadra e le dediche che nelle ultime partite sempre i suoi compagni gli hanno dedicato.
Come non tornare con la mente alla sua lunga corsa per cercare di raggiungere quel pallone in una parte del campo lontana dalla nostra area, che gli è costata questo pesante infortunio.
Quella corsa ci fa capire quanto il desiderio di dare una mano, di non mollare, di rincorrere anche l’ultimo e innocuo dei palloni sia più forte di tutto se ci si sente parte di una squadra.
L’altro gesto bellissimo che resta impresso nella mia mente come quinta immagine, è l’abbraccio tra Vialli e Mancini, più volte ripetuto nel corso di queste gare, ma che nella finale di Wembley ha un simbolo particolare, se si pensa che questi due giocatori, quasi 30 anni fa, su questo stesso campo, con la maglia della Sampdoria, persero la finale in Coppa dei Campioni, gara che rappresenta il massimo delle competizioni sportive per un club.
Ma in quell’abbraccio c’è tanto altro, c’è il segno di un’amicizia grande, di due uomini così diversi che non hanno mai smesso di cercarsi, di stimarsi e hanno saputo ritrovarsi per vivere una nuova stagione della loro vita.
C’è il senso della lotta contro “l’ospite indesiderato” come lo definisce Vialli che non è più solo la lotta di Gianluca, ma di un intero ambiente e dell’amico di sempre.
Infine l’ultima immagine su cui soffermarmi sono le parole del capitano Giorgio Chellini e del nostro Presidente Sergio Mattarella, che in quel ricevimento sobrio e misurato nei giardini del Quirinale chiamano alla festa l’amico che non c’è più Davide Astori.
Ma proprio il ricordarlo, non solo dopo la vittoria finale, ma nelle lunghe settimane di ritiro e di vita insieme da parte dei ragazzi della nostra nazionale, ha reso la sua una presenza quasi reale, come se fosse presente li con loro, ancora parte di questa squadra.
Dunque quella coppa alzata al cielo non è tra le immagini principali che metterei in un video dei ricordi, e neanche le feste e le grida di gioia di tutti; momenti quasi scontati, anche se vissuti in tempo di pandemia.
Penso invece che abbiamo vinto un campionato europeo bellissimo, dove vita e morte si sono incrociate, valori e disvalori confrontati e manifestati e dove ha prevalso il senso puro dello sport.
I giocatori danesi che proteggono il loro compagno a terra, l’insegnamento di Luis Enrique sul saper perdere, l’inginocchiarsi degli atleti contro il razzismo, Spinazzola e le sue stampelle, l’abbraccio tra Vialli e Mancini, la dedica di Chellini e Mattarella a Davide Astori, sono i gesti che hanno fatto la differenza in questo Europeo.
Gesti e immagini che fanno amare ancor più lo sport, quello vero, che ci rende migliori come persone, ben oltre la vittoria…
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