Caro Giorgio noi non archiviamo. Affinché tu Luciana e Ilaria possiate finalmente riposare insieme in pace
“Mi chiamo per non smettere mai di chiamarvi
voi che siete vittime e imputati allo stesso tempo
voi che in me siete per sempre coinvolti
…Vi conosco tutti, uno per uno, conosco i vostri volti, ogni dettaglio lo ricostruisco
ho un’infinita pazienza e il tempo mio si chiama “sempre”
ed è adesso che si svolge e vi travolge …
Le cose non sono mai quello che sembrano.
Ricordate, ricordatemi.
Mi chiamo Ilaria Alpi, sono morta il 20 marzo 1994.”
– Dal monologo di Aldo Nove “Io la verità parlo” scritto per il ventennale della morte di Ilaria interpretato da Sabrina Impacciatore –
Caro Giorgio sono passati undici anni da quella domenica assolata del luglio 2010. Ero in giardino con mia mamma Giulia e l’amato Aldo quando verso metà pomeriggio è squillato il telefono. Era Luciana. “Giorgio è morto”: due parole che ci hanno raggelato. Sapevo che da qualche giorno eri ricoverato in clinica ma era successo altre volte e poi ci eravamo visti pochi giorni prima.
Ci ho messo un po’ a riprendermi. Ho cominciato a chiamare le persone che ci erano state vicine: Domenico d’Amati, Francesco Cavalli, Roberto e Mara Morrione, Beppe Giulietti, Barbara e Luca Airoldi, Andrea Vianello, Umberto Alpi, Walter Veltroni …e tanti ancora.
Sarà Walter a salutarti a nome di tutti noi in Chiesa: grande commozione e insieme indignazione perché era successo quello che temevi. Te n’eri andato senza poter guardare negli occhi chi aveva assassinato la tua Ilaria, chi aveva organizzato e ordinato di ucciderla insieme a Miran.
E sapevamo anche che senza di te, caro Giorgio, tutto sarebbe stato più difficile nella lotta per avere giustizia e verità. E poi ci ha lasciato anche Luciana. E anche alcune persone che ho prima nominato.
Caro Giorgio, pochi giorni fa ti ha raggiunto un tuo amico: Angelo Del Boca, grande storico del colonialismo italiano a partire dall’unità d’Italia. Svelò i crimini italiani con ricerche approfondite e riportate in molti libri. Me ne avevi parlato e regalato due libri uno dei quali riguardava l’Africa orientale e riportava anche la strage di Lafolé dove morirono tredici italiani. Mi avevi raccontato che da bambina Ilaria parlava molto con la nonna paterna. Fu lei a raccontarle la storia di suo padre, Filippo Quirighetti, assassinato in Somalia, proprio a Lafolé, nei pressi di Mogadiscio dove era direttore delle dogane, nella notte del 25 novembre 1896.
“Ilaria andrà a visitare il cippo che ricorda quei morti, durante uno dei suoi primi viaggi in Somalia. In quell’occasione fu ospitata a casa di una famiglia somala. Poiché si esprimeva piuttosto francamente, come suo solito, anche sulla situazione di quel paese, ci raccontò che un somalo le disse di stare attenta perché a tavola c’era una persona dello stesso clan che aveva assassinato il suo bisnonno. Questo episodio deve esserle rimasto impresso, ne parlava spesso e proprio quando, durante i suoi numerosi viaggi in Somalia, le comunicavamo la nostra preoccupazione, (alla quale reagiva un po’ bruscamente) lei, dolcissima, diceva: Potete stare tranquilli, perché noi alla Somalia abbiamo già dato…”.
Ho voluto raccontare un paio dei tanti ricordi personali, che ci sono, caro Giorgio perchè segnalano come ci sia una storia privata che dura da 27 anni parallela al mio impegno politico e civile nella ricerca della verità sempre accanto a te e a Luciana: sono due storie che hanno cambiato la mia vita. L’intreccio tra il lavoro di ricerca appassionato e la relazione di affetto condivisione indignazione dolore sofferenza è stato ed è fortissimo.
Gli incontri a casa vostra sono subito diventati un appuntamento settimanale e poi più frequenti fino a diventare quasi quotidiani da quando decidemmo di scrivere il libro “L’Esecuzione”, a quattro: Luciana, Giorgio, Maurizio Torrealta ed io. Potrei parlare e scrivere di questa “avventura” a lungo: basta dire però che lavorare in quattro è stato molto difficile perché ogni parola “doveva” essere condivisa e abbiamo voluto che fosse assolutamente documentata. E così è stato: senza quel lavoro non saremmo arrivati fino a qui: fino a conoscere tutto quello che è successo prima durante e dopo il 20 marzo 1994 a Mogadiscio.
Caro Giorgio, scriviamo a te quel che abbiamo già scritto a Luciana nei mesi scorsi: vogliamo evidenziare persone che “sanno, conoscono” se non tutta la storia tragica di Ilaria sicuramente frammenti che possono comporre un puzzle intero e arrivare agli esecutori e ai mandanti: chiedere loro di non essere indifferenti ma partigiani della verità e della giustizia e raccontare. Questo l’impegno che rinnoviamo a undici anni dalla tua morte.
Abbiamo ricordato per primo il dottor Lamberto Giannini che oggi è il capo della polizia e che, come sai, conosce bene il periodo dell’inchiesta che porta all’arresto di Hashi Omar Hassan, fin dall’arrivo del testimone chiave in ottobre 1997, la sua “sparizione” prima di poter testimoniare contro Hashi Omar Assan che sarà condannato in terzo grado a 26 anni di carcere, innocente. Pensiamo di doverlo incontrare come tanti altri.
Caro Giorgio ricorderai di certo altre persone, con incarichi importanti e/o che erano in Somalia quel 20 marzo tragico e che hanno fatto dichiarazioni “imbarazzanti”.
Ecco alcuni esempi: il Colonnello/generale Fulvio Vezzalini che comandava l’intelligence di Unosom (un solo proiettile vagante!), il generale Carmine Fiore che comandava il contingente italiano solo dal settembre del 1993 che Luciana definirà bugiardo e inaffidabile; l’ambasciatore Mario Scialoja; il dottor Giuseppe Pititto affiancato al Pm Andrea De Gasperis dal capo della procura Michele Coiro nei pressi del 20 marzo 1996: darà impulso all’inchiesta. Riesumata la salma di Ilaria pone fine al balletto delle perizie: un colpo in testa ciascuno; indaga il sultano di Bosaso intervistato da Ilaria. Poco più di un anno dopo sarà sollevato dall’incarico dal nuovo Procuratore capo Salvatore Vecchione che incaricherà il dottor Franco Ionta. Pititto dichiarerà: ” Scoprite perché mi hanno tolto il caso e scoprirete la verità”. Pubblicherà anche un romanzo, Il grande Corruttore, prima edizione 2011, chiaramente ispirato alla storia di Ilaria: fino ad oggi non ha mai rivelato l’ipotesi investigativa che orientava il suo buon lavoro. Né Vecchione né Ionta daranno mai motivazioni convincenti sulla sostituzione di Pititto.
Di altri ancora parleremo visto che racconteremo a puntate la storia di Ilaria. Come di Giancarlo Marocchino, un chiacchierato imprenditore in Somalia dal 1984, saldamente ancorato ai suoi affari prima con Siad Barre e poi con entrambi i signori della guerra Ali Mahdi e Aidid; la sua presenza è costante fin dal primo giorno del duplice delitto: racconterà cose diverse ogni volta interrogato senza essere chiamato come testimone; sarà invece il principale collaboratore delle istituzioni nelle inchieste compresa la commissione parlamentare presieduta da Carlo Taormina (2004/2006): farà arrivare la macchina sulla quale sosteneva fosse avvenuto l’agguato mortale undici anni prima! Vale la pena ricordare che le tracce di sangue sulle quali l’avvocato Taormina non volle eseguire la prova del DNA, non sono compatibili con Ilaria.
Caro Giorgio ricorderai di certo quell’incontro presso San Macuto presenti tu Luciana e la sottoscritta per chiedere a Taormina chiarimenti sulle gravi dichiarazioni rilasciate mesi prima della fine dei lavori: “Non è stata un’esecuzione ma un tentativo di rapina o sequestro finito male…non aveva Ilaria trovato nulla circa traffici di armi o altro perché nulla avevano cercato…”. Ci furono momenti infuocati, ad un certo punto Taormina si alzò, aprì la porta del suo ufficio e disse rivolto a noi: “Fuori, andate fuori…” Luciana rispose con immediatezza e calma disarmante: “E’ lei che deve uscire avvocato…questa è la casa della Repubblica Italiana…” E noi rimanemmo nell’ufficio…
Ma c’è anche chi ha deciso di parlare chiaro. Il dottor Armando Rossitto, il medico che stilò sulla nave Garibaldi il certificato di morte di Ilaria: venticinque anni dopo, ha letto, intervistato in video, la pagina del suo diario di quel 20 marzo 1994 a Mogadiscio. Un solo colpo in testa ciascuno, come era scritto nel certificato che però sparì subito. Sappiamo e abbiamo raccontato quel che è successo in quei giorni, il perché, forse anche da chi era composto il comando assassino e credibili ipotesi su chi ha ordinato l’esecuzione, chi ha coperto esecutori e mandanti.
La sentenza di Perugia, ti abbiamo già raccontato, scarcerato Hashi ha confermato quelle che potevano essere considerate solo ipotesi. C’è stato depistaggio (iniziato fin dai primi giorni dopo quel 20 marzo). Pensiamo che solo un atto giudiziario che indaghi sul depistaggio possa stabilire, “al di là di ogni ragionevole dubbio”, chi lo ha ideato organizzato e chi ne è stato coinvolto.
Molte persone sono morte; alcune, importanti, nei primi dieci anni dopo “il più crudele dei giorni”: in modo misterioso o assassinate. Anche per questo abbiamo deciso di fare questo lavoro, incontrare queste persone e altre ancora e chiedere loro di parlare.
Siamo quelli del #NoiNonArchiviamo, quelli che continueranno a cercare fino a che giustizia e verità saranno tra noi e ve le potremo raccontare. Perché sappiamo cari Giorgio Luciana Ilaria che solo allora potrete finalmente riposare insieme in pace.
Fonte: Articolo 21
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Caso Alpi. “Non essere indifferenti ma partigiani della verità e della giustizia”
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