Cashback or back to cash?
Cashback or back to cash?
La tentazione di giocare con le parole è forte, dopo che il Consiglio dei Ministri ha deciso di sospendere per 6 mesi il cashback, cioè il sistema che restituisce il 10% dell’importo dei pagamenti effettuati con moneta elettronica, esclusi gli acquisti online.
La notizia non sorprende chi aveva segnalato le tante incongruenze del cashback all’italiana: la prevalenza del numero di transazioni rispetto agli importi, il tetto di 150 euro per ciascun pagamento oltre il quale il cashback non vale, il grave ritardo con il quale sono state abilitate al cashback le carte di credito di alcuni supermercati, il tendenziale vantaggio di chi ha maggiore propensione alla spesa (di solito i più ricchi), l’irrazionalità del super cashback (basato esclusivamente sul numero di transazioni) che ha prodotto un eccesso di acquisti di importo irrilevante, il costo del cashback che ha ampiamente superato le imposte recuperate grazie all’incentivo dell’uso della moneta elettronica.
Non si tratta di una cancellazione definitiva, perché è previsto che il cashback torni in vigore nel primo semestre del 2022. In ogni caso verrà effettuata un’attenta valutazione dei dati e una riflessione su come migliorare uno strumento che effettivamente ha generato grandi discussioni.
“Il cashback ha un carattere regressivo ed è destinato ad indirizzare le risorse verso le categorie e le aree del Paese in condizioni economiche migliori”, ha spiegato Mario Draghi motivando la decisione. Di conseguenza “la misura rischia di accentuare la sperequazione tra i redditi, favorendo le famiglie più ricche”. Draghi ha anche sottolineato come “l’onerosità della misura debba essere valutata non solo in relazione ai benefici attesi, ma anche del costo e dell’attuale quadro economico e sociale”. Insomma, teoricamente il cashback tornerà nel 2022, ma il parere di Mario Draghi è tutt’altro che positivo.
Intendiamoci: la promozione della moneta elettronica è giusta, ma si dovrebbe effettuare in altro modo, più razionale ed efficace.
Se lo scopo fosse davvero il contrasto all’evasione fiscale, sarebbe logico introdurre un cashback progressivo, cioè più elevato quando il pagamento è più rilevante. D’altra parte, un cashback progressivo favorirebbe chi spende di più, quindi di fatto ancor di più i ricchi.
È evidente che il cashback è stato introdotto anche come misura per rilanciare i consumi. Ma anche in questa prospettiva sarebbe utile discriminare tra consumi che hanno impatti diversi. Non è la stessa cosa, se acquisto una bicicletta o un diamante.
Sicuramente il cashback ha dato una spinta all’uso della moneta elettronica, ma in realtà si trattava di una tendenza già in atto.
Una strada alternativa, meno costosa e più lineare, sarebbe quella di disincentivare l’uso del contante, attraverso una tassa applicata al momento del prelievo. In questo modo tutti sarebbero spinti ad usare la moneta elettronica. Più che incentivare il cashback sarebbe meglio disincentivare il cash.
Dimenticavo: mettere una tassa sui contanti fa perdere voti, dare un premio a chi usa la moneta elettronica fa guadagnare consensi. La politica troppo spesso non ha nulla a che vedere con la razionalità.
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