Post Covid: un giorno anche i “creatori di regole” resteranno disoccupati
Quasi ci siamo. Pronti via.
Finalmente vivremo con la ragionevole speranza che la pandemia sia passata.
Domande: resterà l’orrore per le folle sudaticce? O ci divideremo tra i chi ci si ritufferà a pesce e i renitenti? Resterà la consapevolezza che a far tangenti sulla sanità si producono morti? Si affermerà l’idea che i militari affrontano le emergenze meglio delle burocrazie regionali? Esploderà la voglia di notti lunghe fino all’alba?
E ancora: che rapporto mentale avremo con la Cina, specialmente se vincerà la tesi che il mondo intero ha pagato come una guerra un esperimento di laboratorio?
Questioni grandi.
Io però vorrei qui volare molto più basso. “De minimis non curat praetor”, è vero. Solo che io non faccio il pretore ma sono un signore anziano irritato assai da certe abitudini galoppanti. Di cui si accinge a liberarsi con gioia infantile.
Ad esempio non dipenderemo più tutto il giorno da corrieri e messaggeri. Potendo andare in giro liberamente, non dovremo più rispondere dieci volte al giorno al citofono a signori (sottopagati) improvvisamente inebriati dal piccolo ma decisivo potere di consegnarci qualcosa.
Signori che ti invitano perentoriamente a scendere a prendere un pacchetto, una busta. Meglio: te lo “ordinano”, in qualunque condizione tu sia, anche se sei malato. Non entrano neanche nel portone, non oltrepassano il cancello. La regola è di stare fuori. Se non scendi subito, ti lasciano tutto in strada. Anzi può capitare che ti diano del tu (“allora il pacco non te lo do”, “scendi giù”), come decenni fa facevano poliziotti o carabinieri con i viandanti più dimessi. Ora basta: perdono questo potere di amministrare imperiosamente il nostro rapporto con i bisogni quotidiani.
E io mi riprometto, per il futuro, di passare solo dalle poste.
Sono contento perché in certe località turistiche nostrane finisce lo spirito di rendita portato dalla fine dei viaggi internazionali.
Per un anno hai pensato di trattarmi come un molestatore perché non avevo alternative, perché qui dovevo venire? Mi hai trattato con fastidio perché mi permettevo di essere tuo cliente? Ecco, ora posso viaggiare liberamente.
Ancora girano gli aneddoti da antologia degli orrori di turisti increduli, in pole position la Liguria: “belin, ma se do più focacce a lei, agli altri che gli do?”; “io vendo biglietti, mica informazioni”.
Sono contento anche perché una cosa resterà con certezza dopo questa vicenda: le lezioni a distanza. Soprattutto per i corsi di perfezionamento, dove l’esperienza è riuscita benissimo. Più iscritti e di più alta qualità, costi più bassi perché non c’è bisogno di ospitare nessun docente esterno. E infatti sono qui le usanze che saltano.
Viene l’acquolina al pensiero che resteranno finalmente disoccupati i potenti “creatori di regole”. Perché dovete sapere che sugli arrivi dei docenti esterni è cresciuta una sterminata letteratura giuridica.
Quanti possono essere ospitati a cena sui fondi autogenerati dalle iscrizioni al corso? Viene il tale luminare da Londra? Bene, ma la cena della moglie se la deve pagare lui, sia chiaro. Che vuol dire che la paga il docente organizzatore. Il quale, beninteso, a sua volta non può mica far compagnia a sbafo all’ospite famoso, se la deve pagare anche lui la serata, ecchecavoli.
Morale: tempo gratis per organizzare, telefonare, scrivere, tempo gratis per dare compagnia all’ospite. E in più pagare. Per uno, per due o per tre. E poi il ristorante: l’hai fatta la gara? L’hai firmata la convenzione? Regole capricciose e cangianti da università a università.
Ecco, voi non mi crederete. Ma l’idea che non ci sia più materia su cui gli insaziabili legislatori di turno possano partorire i loro editti e codici personali mi regala una leggerissima sensazione di libertà.
Perché quando sui “de minimis” ti fanno impazzire, uno se ne cura, credetemi. Oh, se se ne cura…
Fonte: Il Fatto Quotidiano, 14/06/2021
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