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Borsellino, l’agenda rossa, i depistaggi ed il war games dietro le stragi

Aaron Pettinari * il . Giustizia, Istituzioni, Mafie, Memoria, Sicilia

Roberto Scarpinato, ex procuratore generale di Palermo, sentito davanti alla Commissione regionale Antimafia

“Se Borsellino fosse andato a Caltanissetta con l’agenda rossa sarebbe scoppiata la bomba. Era un catalizzatore, sarebbe bastato che dicesse ‘qui c’è un piano di destabilizzazione’ e cosa sarebbe accaduto? I pentiti si fidavano di lui, bisognava fermarlo”.

E’ così che Roberto Scarpinato, ormai ex procuratore generale di Palermo, sentito dalla commissione regionale Antimafia che indaga sul depistaggio delle indagini sull’attentato costato la vita al giudice Paolo Borsellino e della scorta, ha evidenziato quei motivi che possono aver portato all’accelerazione che vi fu per l’eliminazione di Borsellino appena 57 giorni dopo la strage di Capaci.

Così come aveva fatto in altre occasioni il magistrato palermitano ha messo in evidenza proprio quegli incontri che nel mese di luglio Borsellino aveva in programma con due collaboratori di giustizia in particolare: Gaspare Mutolo e Leonardo Messina.

Il primo “anticipò a Falcone che avrebbe parlato di Contrada (ex numero due del Sisde poi condannato per concorso esterno in associazione mafiosa ndre il braccio destro di Borsellino, Carmelo Canale, ha raccontato di essere stato presente a un incontro tra Falcone e Borsellino in cui era stato detto che appena Mutolo avesse deciso di collaborare avrebbero messo le manette a Contrada”.

Il secondo, appartenente alla mafia di Caltanissetta, il quale era a conoscenza del piano segreto di destabilizzazione che era stato discusso a Enna dai vertici regionali della mafia nel 1991 e che aveva avuto il suo incipit con la strage di Capaci. Ed anche questi, come Mutolo, aveva chiesto espressamente di parlare con Borsellino e non aveva ancora messo a verbale quanto sapeva.

A questi elementi si aggiunge il dato che Borsellino avrebbe dovuto recarsi davanti alla Procura della Repubblica di Caltanissetta per dichiarare quel che aveva appreso sulla strage di Capaci (a Casa Professa il 25 giugno si era descritto esplicitamente come “testimone” della strage) anche alla luce di una serie di informazioni che lo avevano profondamente turbato.

“Borsellino – ha detto davanti alla Commissione presieduta da Claudio Fava – ha capito cosa c’era dietro la strage di Capaci e che dietro l’eccidio c’erano entità esterne”.

E poi ancora: “Per capire perché è stato ucciso Paolo Borsellino e soprattutto perché l’attentato venne deliberato e realizzato in tutta fretta, la domanda da farsi è cosa poteva fare Borsellino non cosa avesse fatto. Borsellino aveva annotato tutto questo nell’agenda rossa scrivendo che c’erano entità superiori dinnanzi alle quali capì lui stesso di non avere scampo”.

E’ per questo motivo, dunque, che “non bastava uccidere Borsellino, si doveva far sparire l’agenda rossa perché se fosse stata trovata sarebbe finito tutto visto che dentro c’erano chiavi in grado di aprire scenari che colpivano i mandanti esterni”.

“La bomba – ha evidenziato Scarpinato – la fanno esplodere i mafiosi, ma l’agenda la fanno sparire soggetti insospettabili che possono agire sfruttando la loro veste istituzionale – ha detto -. Nella borsa di Borsellino c’erano due agende. Una viene lasciata, l’altra sparisce. Si capisce che non è un’operazione protocollare dei Servizi”. “Il capitano Arcangioli (indagato per la sparizione dell’agenda ma poi prosciolto ndr) – ha proseguito – prende la borsa dalla macchina di Borsellino e si allontana, poi torna indietro e la rimette nell’auto. La borsa a quel punto resta integra, nonostante un nuovo incendio si fosse sviluppato nell’abitacolo, solo perché un vigile spegne il fuoco”.

La morte di Falcone

Tra i vari punti messi in evidenza dall’ex Pg anche l’incredibile modalità con cui fu ucciso Giovanni Falcone. “Riina – ha ricordato il magistrato – avrebbe voluto uccidere Falcone a Roma dove era facilissimo perché lui girava senza scorta, invece cambia il suo piano e decide di ucciderlo a Palermo con un attentato che richiedeva competenze tecniche elevatissime e comportava un elevatissimo rischio di fallimento. Il pentito Cangemi ha raccontato che Riina aveva cambiato programma dopo avere incontrato persone estranee a Cosa nostra ‘che gli guidavano la manina’. Il boss cambia idea dopo un incontro con persone importanti estranee a Cosa Nostra, questo perchè non soltanto i mafiosi volevano morto Falcone. Si diceva che per impedire ad Andreotti di diventare presidente della Repubblica ci sarebbe stato un bel botto. E così sarà. E le ingerenze di personalità non mafiose nella strage di Capaci sono confermate da recenti riscontri, ma su questi c’è il segreto istruttorio”.

Proseguendo nella relazione il magistrato si è poi concentrato sulla sparizione misteriosa di documenti che è avvenuta dentro gli uffici di Falcone al Ministero di Grazia e Giustizia. “Dopo la strage di Capaci, nella stanza di Falcone al ministero della Giustizia entrano alcuni sconosciuti che accendono il pc del magistrato e guardano alcuni file – ha detto Scarpinato -. Dalla perizia fatta si vide che furono aperti solo i documenti relativi all’omicidio Mattarella e a Gladio”. Temi caldissimi al tempo, su cui ancora oggi vi sono profondi misteri. Scarpinato ha anche raccontato il dialogo avuto con Falcone il quale gli disse “che se avesse fatto il procuratore nazionale Antimafia avrebbe fatto cose che nessuno si aspettava grazie a nuove collaborazioni che stavano maturando”.

Mafia come braccio armato

Sempre sulla decisione di anticipare la strage di Via d’Amelio Scarpinato ha detto: “Era in ballo, dopo Capaci, la conversione della norma sul 41 bis e in Parlamento c’era una dialettica molto forte e una maggioranza garantista. Nonostante ciò Riina decide che la strage deve essere seguita prima del 7 agosto, data di conversione del decreto, rischiando quel che poi è avvenuto e cioè che la norma sull’onda di ciò che era accaduto fosse approvata”. Una fretta che Scarpinato giustifica solo alla luce di quel che dicono alcuni pentiti e cioè che Riina “aveva preso accordi con soggetti esterni”.

Nella sua lunga audizione Scarpinato ha anche parlato del ruolo avuto da Cosa nostra nel corso della storia, evidenziando come “negli omicidi dalla Chiesa, La Torre e Mattarella la mafia è il braccio armato di altri che hanno usato la causale mafiosa per occultare causali politiche che se svelate avrebbero destabilizzato il sistema”. Per questo diventa lecito domandarsi perché, ancora oggi, non sono noti i nomi dei killer del delitto Mattarella. E a distanza di anni diventa sempre più difficile riannodare i fili. Ancor di più se si tratta di fili dell’alta tensione, che svelano il ruolo di soggetti delle istituzioni.

“Anche all’interno della magistratura è stato difficile indagare su Aiello (ex agente dei Servizi ndr). Borsellino venne travolto dal grande gioco, ma quello che mi angoscia è ciò che continua ad accadere e che mi fa pensare che la storia continui ancora”.

I pezzi esterni oltre Cosa nostra

“Paolo Borsellino – ha sempre puntualizzato Scarpinato – forse aveva capito che c’erano dei pezzi esterni a Cosa Nostra invischiati nella strage di Capaci. Lui capisce che sarà la mafia a ucciderlo, ma che al contempo ci sono entità superiori che lo decideranno prima. Borsellino è inquietato, sua moglie ricorda che aveva dei conati di vomito. Acquisisce altre notizie con cui capisce che c’era un continuo colloquio tra mafia e parti infedeli dello Stato”.

“La Mafia sa – ha aggiunto il procuratore – che se l’agenda rossa nella quale Borsellino aveva annotato tutto finisce alla magistratura, è finito tutto. A dimostrazione di una certa selettività e di una conoscenza dei fatti, l’agenda marrone viene lasciata lì al suo posto e viene prelevata solo l’agenda rossa. Prima della strage di via D’Amelio c’è la morte di Vincenzo Milazzo che evidenzia la costante presenza di soggetti appartenenti a settori deviati in tutta la stagione stragista. Sono soggetti che portano interessi convergenti all’organizzazione. Ma nella strage di via d’Amelio, questi interessi sembrano addirittura sovrapporsi a quelli mafiosi. Riina dice che non può aspettare 19 giorni e che la strage va eseguita prima. Riina non dà spiegazioni che siano coerenti con gli interessi di Cosa Nostra, taglia corto e dice di assumersi la responsabilità. Viene ritenuto pazzo dai suoi, ma la verità è che aveva preso un impegno con soggetti esterni e stava sacrificando gli interessi della sua organizzazione. Ma la vera domanda è: cosa poteva fare Borsellino in 19 giorni di così pericoloso tanto da far sacrificare a Riina gli interessi di Cosa Nostra?”.

Il War Games ed i depistaggi

Il caso della strage Borsellino per il magistrato “continua a essere un affare di Stato, un War Games. La storia di via D’Amelio non è finita, è ancora tra noi, il depistaggio continua, anche mettendo in giro la falsità. La sparizione dell’Agenda rossa è stato il colpo maestro, che dimostra che c’è un apparato che si muove. Il depistaggio parte da lì. E ciò che è avvenuto e continua ad avvenire sono i silenzi”.

Una storia che sembra davvero senza fine. Scarpinato durante l’audizione ha evidenziato due ulteriori intenti depistatori che sono emersi negli ultimi mesi: quello che vede protagonista il collaboratore di giustizia Maurizio Avola e quello del boss di Brancaccio Giuseppe Graviano. Quest’ultimo al processo ‘Ndrangheta stragista, dove è stato condannato all’ergastolo, ha depositato una memoria dove parla e straparla, mescolando.

“La storia dei depistaggi purtroppo non è finita – ha detto Scarpinato alla Commissione regionale Antimafia – Capisco che Giuseppe Graviano vuole difendersi ma perché si fa carico di Aiello e indica come possibile esecutori delle stragi soggetti morti o parla dell’agenda rossa che sarebbe stata trafugata da un magistrato? Graviano sembra scriva sotto dettatura dei Servizi”.

“Da un lato – ha proseguito – abbiamo questo, dall’altro Avola (dichiarante catanese che ha escluso che gli attentati del ’92 videro coinvolti apparati deviati dello Stato ndr), poi ci sono altri elementi di cui non posso parlare, ma tutto questo mi fa pensare che c’è qualcosa che si sta muovendo oggi”.

“Questa è la cosa drammatica – ha spiegato – e chi sa i segreti non parla. E del resto con la nuova sentenza della Corte Costituzionale che apre all’uscita dal carcere agli ergastolani mafiosi anche senza la collaborazione con la giustizia, si apre una nuova stagione. Cosa accade se il Parlamento non approva in tempo una nuova legge sull’ergastolo ostativo? La strage è tra noi e i tentativi di depistaggio sono complessi e non sono mai finiti”.

Le contraddizioni di Avola

Scarpinato ha anche fornito alcuni elementi di riflessione sul libro in cui Michele Santoro ha raccolto le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Avola“Ho letto il libro e sono rimasto molto colpito, perché il pentito Avola vuole affermare che le stragi sono legate solo a Cosa nostra, smentendo quello che aveva dichiarato anche sul piano di Enna, ciò che aveva messo a verbale da tempo”.

E poi ancora: “Avola nel libro racconta una storia dettagliata che sembra la quadratura del cerchio e che vuole togliere tutti i dubbi quando invece si scopre che era a Catania con un braccio ingessato nella mattinata precedente il giorno della strage, laddove, secondo il racconto dell’ex collaboratore egli, giunto a Palermo nel pomeriggio del venerdì 17 luglio, avrebbe dovuto trovarsi all’interno di una abitazione sita nei pressi del garage di via Vaillasevaglios, pronto, su ordine di Giuseppe Graviano, a imbottire di esplosivo la Fiat 126 poi utilizzata come autobomba”.

Dunque lo stesso Scarpinato si è posto un semplice quesito: quella in corso “è una operazione ingenua o qualcuno ha deciso di fare suicidare processualmente Avola per neutralizzare ben altre dichiarazioni anche sull’addestratore all’uso dell’elettronica utile alla strage? E poi mi chiedo, perché è tanto preoccupato di prendere le difese di Aiello”, ‘Faccia da mostro’, “di cui dice che non c’entra nulla con l’eccidio”. Insomma, “la storia di via D’Amelio non è finita, è ancora tra noi, il depistaggio continua anche mettendo in giro la falsità”.

Le stragi all’interno di un disegno

Proseguendo nella relazione Scarpinato ha spiegato come “la chiave di lettura della strage di via d’Amelio sta in eventi che hanno preceduto e seguito la vicenda. Isolare la strage è un errore metodologico che può portare a risultati fuorvianti e che potrebbe far pensare che ci siano stati solo interessi di Cosa Nostra in ballo”. E il periodo storico delle stragi, avvenute tra il 1992 ed il 1993 è quello di una transizione.

“Tra la fine del 1991 e l’inizio del 1992 si tennero in Italia e in Sicilia in contemporanea riunioni tra i massimi vertici di Cosa nostra e ‘Ndrangheta per discutere di un progetto di destabilizzazione del Paese. Si temeva un avvento al potere – ha spiegato Scarpinato – della Sinistra e che in questo tipo di governo alcuni ruoli chiave potessero essere affidati a Borsellino e Falcone. Si temeva anche una regolazione di conti con il passato che avrebbe colpito i vertici delle associazioni criminali come la massoneria deviata, la Destra eversiva e le mafie. In alcune riunioni si prese atto che i vecchi referenti politici avevano voltato le spalle e non potevano più garantire nulla. Servivano per questo stragi e altri atti eclatanti per destabilizzare il vecchio ordine politico e impaurire la popolazione. Il nuovo soggetto politico che sarebbe nato era una ‘Lega meridionale’ che poteva allearsi con la Lega Nord per dividere l’Italia in tre macroregioni. Il progetto era quello di creare una secessione, la Sicilia doveva essere autonoma in tutto e diventare una specie di Singapore”.

“L’architettura politica del progetto – ha aggiunto – era affidata alla massoneria di Gelli e all’ideologo della Lega Gianfranco Miglio. Giuseppe Graviano, intercettato in carcere aveva detto che Miglio era sceso in Sicilia perché aveva ‘un progetto per noi’, si doveva realizzare la secessione e rendere la Sicilia un paradiso. In questo progetto doveva entrare Sicilia Libera e Forza Italia. Nacquero tanti movimenti indipendentisti che dovevano fondersi in una unica Lega sotto la regia di Licio Gelli”, con il coinvolgimento di personaggi come il terrorista nero Stefano Delle Chiaie e mafiosi come Vito Ciancimino. Un ruolo “era esercitato anche da apparati dei Servizi legati a Gladio”.

Anticipazione Ciolini

Dopo gli incontri di Enna, inizia un piano che dall’omicidio Lima è poi passato alle stragi di Capaci e via d’Amelio.

“Il piano comincia con l’omicidio Lima – ha concluso Scarpinato – nessuno poteva prevedere che poi ci sarebbero state le stragi di Capaci e via d’Amelio. Soltanto chi sapeva dei discorsi di Enna poteva anticipare tutto. E in effetti c’è un soggetto che ci dice tutto prima ancora dell’omicidio Lima. A marzo del 1992 Ciolini, un uomo vicino ai Servizi e alla estrema destra, viene arrestato e gli trovano un’agenda con numeri della Cia, della Dea americana. A un certo punto scrive una lettera al giudice istruttore di Bologna annunciando una nuova strategia della tensione e annunciando l’omicidio di un politico della Dc e che da maggio a luglio ci sarebbero state una serie di esplosioni finalizzate alla creazione di un nuovo ordine deviato massonico. Otto giorni dopo, viene ucciso Salvo Lima”.

Ma Ciolini disse anche “che il piano era della mafia, della ‘Ndrangheta, della massoneria e della destra eversiva e aggiunse che ci sarebbe stata una seconda fase per distogliere l’opinione pubblica dall’impegno contro la mafia”. Ed è così che si arriva alle stragi del ’93. Una storia di misteri che va ricostruita in ogni passaggio e su cui la parola fine deve ancora essere scritta.

* Fonte: Antimafia Duemila

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