Caso Alpi. “Non essere indifferenti ma partigiani della verità e della giustizia”
Cara Luciana, vogliamo evidenziare persone che “sanno, conoscono” se non tutta la storia tragica di Ilaria sicuramente frammenti che possono comporre un puzzle intero e arrivare agli esecutori e ai mandanti: chiedere loro di non essere indifferenti ma partigiani della verità e della giustizia e raccontare. Questo l’impegno che rinnoviamo a tre anni dalla tua morte: non solo un ricordo.
#NoiNonArchiviamo
“Avrei desiderato molto poterti scrivere che il nuovo capo della Procura di Roma ha finalmente deciso di compiere quel gesto che attendiamo da tempo con fiducia e vigile trepidazione: riaprire e dare nuovo impulso all’indagine sull’assassinio di Ilaria e Miran e quindi ripristinare il senso della verità dello Stato necessario per avere giustizia.”
Cara Luciana,
Un anno fa ti avevamo scritto queste parole che riportiamo tali e quali perché non ci sono sostanziali novità se non una: una grossa novità.
Il dottor Lamberto Giannini è il nuovo capo della polizia. Sappiamo che la tua reazione sarebbe stata forte, ruvida. Per il ventisettesimo anniversario della morte di Ilaria abbiamo scritto ricordando che:
“… Hashi Omar Hassan è stato arrestato in modo sorprendente il 12 gennaio 1998, accusato di duplice omicidio per l’uccisione di Ilaria e Miran; sarà condannato e rimarrà in carcere per 17 anni fino a che il tribunale di Perugia lo dichiarerà innocente e sarà scarcerato. Nelle motivazioni della sentenza sta anche scritto che l’unico testimone d’accusa era falso: Hashi è stato un vero capro espiatorio costruito con un depistaggio di grande portata”.
Noi abbiamo ricostruito anche tutti i passaggi riguardanti i sei mesi che conducono all’arresto di Hashi fino alla sua condanna definitiva a 26 anni di carcere e alla sua scarcerazione. Abbiamo tutta la documentazione in parte già pubblicata, completata da quella desecretata (comprese le audizioni delle commissioni d’inchiesta).
Questo nostro lavoro consente di constatare quanto è successo.
Il nuovo capo della polizia, il dottor Lamberto Giannini conosce bene questo periodo dell’inchiesta che porta all’arresto di Hashi Omar Hassan, fin dall’arrivo del testimone chiave in ottobre 1997, la sua “sparizione” prima di poter testimoniare contro Hashi Omar Assan che sarà condannato in terzo grado a 26 anni di carcere, innocente.
Il capo della polizia è oggi un cittadino cui sono state affidate “funzioni pubbliche” importanti, di garanzia e sicurezza per tutti i cittadini…”.
Pensiamo di doverlo incontrare.
Cara Luciana ricorderai di certo che persone, con incarichi importanti o che erano in Somalia quel 20 marzo tragico, hanno fatto dichiarazioni “imbarazzanti”.
Il Colonnello/generale Fulvio Vezzalini che comandava l’intelligence di Unosom (sono suoi anche i documenti contenenti la storia di un solo proiettile vagante per due! E, cosa che forse abbiamo sottovalutato, è arrivato a Mogadiscio il 9 di marzo ’94 e se ne è andato a settembre) ha dichiarato in più occasioni: “quando andrò in pensione racconterò la verità!”
Il dottor Giuseppe Pititto affiancato al Pm Andrea De Gasperis dal capo della procura Michele Coiro nei pressi del 20 marzo 1996: darà impulso all’inchiesta (riesumata la salma pone fine al balletto delle perizie: un colpo in testa ciascuno; indaga il sultano di Bosaso intervistato da Ilaria). Poco più di un anno dopo sollevato dall’incarico dal nuovo Procuratore capo Salvatore Vecchione (che incaricherà il dottor Franco Ionta) dichiarerà: “Scoprite perché mi hanno tolto il caso e scoprirete la verità”. Pubblicherà anche un romanzo (Il grande Corruttore, prima edizione 2011), chiaramente ispirato alla storia di Ilaria: fino ad oggi non ha mai rivelato l’ipotesi investigativa che orientava il suo buon lavoro. Di altri ancora parleremo.
Cara Luciana da questo 12 giugno 2021 costruiremo a puntate la storia tragica di Ilaria e la sua Somalia, i sette viaggi in soli 15 mesi, compreso l’ultimo in cui fu uccisa insieme a Miran Hrovatin in un agguato, una vera e propria esecuzione. E naturalmente la storia di questi 27 anni.
Questo nostro lavoro intende mettere in fila a chiare lettere tutte le “prove” che ci sono “come dimostrato” anche in tutte le sentenze.
“…
1) si è trattato di un duplice omicidio volontario premeditato, accuratamente organizzato con largo impiego di uomini …ed eseguito con freddezza, ferocia, professionalità omicida;
2) i motivi a delinquere dei mandanti ed esecutori sono stati, come dimostrato, di natura ignobile e criminale, essendo stato il duplice omicidio perpetrato al fine di occultare attività illecite;…” (è scritto nella sentenza del novembre 2000 di condanna di Hashi; il carattere in grassetto è ndr)).
Cara Luciana vogliamo evidenziare, con questo lavoro, persone che “sanno, conoscono” se non tutta la storia sicuramente frammenti che possono comporre un puzzle intero e arrivare agli esecutori e ai mandanti: chiedere loro di non essere indifferenti ma partigiani della verità e della giustizia. Raccontare. Come ha fatto il dottor Armando Rossitto, il medico che stilò sulla nave Garibaldi il certificato di morte di Ilaria: venticinque anni dopo quel tragico 20 marzo 1994 ha letto, intervistato, la pagina del suo diario di quel 20 marzo.
E così aggiungere altre persone a quelle che abbiamo appena ricordato e che conosci da tempo: ancora da quando c’era Giorgio con noi.
Abbiamo proseguito in questi anni il vostro lavoro: più difficile senza di voi. Un lavoro che consente di constatare quanto è successo quella domenica di primavera a Mogadiscio quanto è successo prima e anche dopo; il perché, forse anche da chi era composto il comando assassino e credibili ipotesi su chi ha ordinato l’esecuzione e chi ha coperto esecutori e mandanti. La sentenza di Perugia ha confermato quelle che potevano essere considerate solo ipotesi. C’è stato depistaggio (iniziato forse fin dai primi giorni dopo quel 20 marzo). Pensiamo che solo un atto giudiziario può stabilire, “al di là di ogni ragionevole dubbio” , chi lo ha ideato organizzato e chi ne è stato coinvolto.
Noi però possiamo ripercorrere tutta la storia e mettere in fila nomi fatti responsabilità piccole e grandi. E magari chiedere di incontrare queste persone.
Cara Luciana, non ti piacciono i ricordi “formali”: per questo pensiamo che tu autorizzi la nostra scelta di raccontare “a puntate” la storia di Ilaria.
Iniziamo dunque subito delineando il contesto Somalo di fine anni ’80 e primi ‘90. Nella prossima lettera che scriveremo a te e/o a Giorgio ricorderemo il contesto Italiano, se pur sommariamente, coniugandolo passo passo con Ilaria in Somalia e a tutte le storie collegate che abbiamo raccontato, una alla volta, in questa faticosa indagine che dura ormai da 27 anni e che continuerà fino a giustizia e verità.
Prima puntata
Quando Ilaria Alpi effettuò la prima missione in Somalia (20 dicembre 1992-10 gennaio 1993) erano giunti da pochi giorni i primi elementi di ricognizione del nostro contingente militare in base alla decisione del Parlamento Italiano di partecipare alla missione internazionale di pace, “umanitaria” decisa dall’ONU il 3 dicembre 1992 (risoluzione 794) con una coalizione al comando USA.
Il 9 dicembre erano sbarcati per primi in Somalia i marines americani in modo spettacolare e con le Tv di tutto il mondo appostate sulle spiagge: una risposta allo shock delle immagini della immane tragedia somala entrate in tutte le case nei mesi precedenti a causa della repressione feroce di Siad Barre. Decine di migliaia di persone massacrate a partire dall’assassinio di Monsignor Salvatore Colombo il 9 luglio 1989 nella sua cattedrale perché amava la popolazione somala ed era noto il suo impegno per la pacificazione e per scongiurare la guerra civile.
Nel gennaio del 1991, alla caduta (e alla fuga) di Siad Barre, sanguinario dittatore, corrotto, sostenuto e foraggiato dall’occidente e anche dall’Italia fino all’ultimo, infatti la Somalia era precipitata in una guerra civile disastrosa: cinque milioni di somali divisi in sei etnie, cinquanta clan e oltre 200 sottoclan.
I clan, le faide tribali, i signori della guerra sono i nuovi padroni.
Le conseguenze per la popolazione già stremata e poverissima sono esodi, carestie, epidemie, criminalità, contrabbando.
La partecipazione dell’Italia alla missione internazionale denominata “Restore Hope” non destò entusiasmi né da parte dell’ONU né da parte dei signori della guerra somali:
Ali Mahdi Mohamed, autoproclamatosi presidente ad interim della Somalia a Gibuti nel luglio 1991, sei mesi dopo la fuga di Barre, controllava la parte nord della città di Mogadiscio con il clan degli Abgal; è morto a 82 anni a Nairobi il 10 marzo del 2021. Le sue testimonianze compresa l’intervista che gli fece Ilaria luglio 1993, mai andata in onda, sono state fitte di non so, non ricordo.
Non ha detto nulla sul duplice delitto di Mogadiscio avvenuto proprio nella sua area di influenza, a Nord.
Mohammed Farah Aidid controllava la parte sud di Mogadiscio. E’ stato ucciso il primo agosto del 1996. Aveva dichiarato il suo impegno per individuare gli assassini. Ucciso troppo presto, forse chissà …
L’Italia (seconda agli USA come impegno militare): non fu investita di un ruolo di responsabilità nel comando generale della missione: fu considerata un intralcio. Comandante del contingente italiano fu nominato il generale Giampiero Rossi e l’operazione denominata convenzionalmente “Ibis”.
Le cose peggiorarono quando gli americani, con l’insediamento del nuovo presidente Bill Clinton, a maggio del 1993 iniziarono il loro “disimpegno” mantenendo però una forza consistente di rapido intervento (Quick Reaction Force).
La responsabilità politica della missione fu assunta direttamente dall’ONU con l’ammiraglio americano a riposo Jonathan Howe. Il comando militare fu affidato al generale turco Cevik Bir, in sostituzione del generale dei marines americani Robert Johnston. Da “Restore Hope” a “Continue Hope”; il comando italiano (Italfor) trasferito alla Folgore con a capo il generale Bruno Loi. Ibis diventa Ibis2.
Il contingente italiano cercava di operare secondo le “regole d’ingaggio” che comprendevano anche “misure di sicurezza per i giornalisti e i fotoreporter garantendo informazioni aggiornate e un adeguato supporto logistico…”.
L’impegno del generale Bruno Loi: la pacificazione tra le fazioni prima di tutto tra Aidid e Ali Mahdi e dunque per il disarmo della popolazione, il sequestro delle armi per consentire la ripresa delle operazioni umanitarie.
Non era questa la linea “condivisa” dal resto della coalizione: il generale Bir, in accordo con gli americani, ritenne che la pacificazione della Somalia esigeva la cattura di Aidid e conseguentemente ne scatenò la “caccia”.
Si segnalano i fatti più significativi e tragici di cui Ilaria Alpi fu testimone diretta durante le prime quattro missioni o ne raccontò nei suoi servizi e nei suoi appunti al fine di far meglio comprendere, anche attraverso i suoi scritti, chi era Ilaria Alpi e il contesto in cui si trovò ad operare.
5 giugno 1993
A Mogadiscio, a seguito di un rastrellamento finalizzato al sequestro di armi in prossimità della locale radio, in uno scontro sanguinoso tra truppe ONU e miliziani di Aidid si accertano 23 morti tra i soldati pakistani e oltre 70 feriti; Aidid lamenta 38 morti e molte decine di feriti.
L’intervento del contingente italiano salva 80 pakistani e 10 americani intrappolati nell’ex fabbrica di sigarette.
Da questo momento si susseguono una serie di iniziative di rappresaglia in un crescendo tale da motivare la “visita” del ministro della difesa italiano Fabio Fabbri a Mogadiscio per sostenere con l’ammiraglio Howe la posizione italiana di maggiore prudenza e di dissenso sui massacri.
Cresce nelle piazze di Mogadiscio (il 16 giugno saranno in diecimila nella zona sud della città) la rabbia e l’ostilità nei confronti dell’ONU e degli americani.
Viene spiccato un mandato di cattura nei confronti di Aidid da parte dell’ONU.
Ali Mahdi in una conferenza stampa applaude all’ONU e invita gli italiani ad assumere un atteggiamento contro Aidid. Gli americani che nel frattempo hanno fatto arrivare rinforzi intervengono in territori di competenza italiana: le divergenze sono ormai aperte.
2 luglio 1993
Dopo la celebrazione della festa dell’indipendenza somala (1° luglio 1960) scatta alle 5,30 del 2 luglio l’operazione denominata Canguro 11 condotta dagli italiani per il rastrellamento di armi in un vasto quartiere popolato in prevalenza da Habr Ghedir (sottoclan di Aidid). Verso la fine dell’operazione scatta un violento combattimento intorno al check point Pasta in cui vengono uccisi tre soldati italiani e feriti 22, 67 somali vengono uccisi, oltre cento feriti. Il Pasta si trova a circa 300 metri dal luogo del rastrellamento.
La ricostruzione di quella giornata non c’è ancora e forse quel che davvero accadde non lo sapremo più.
8 luglio 1993
350 marines sbarcano a Bosaso (Migiurtinia) nel quadro di un’operazione con la quale l’ONU mira ad estendere il proprio intervento fino al golfo di Aden.
12 luglio 1993
La Quick Reaction Force USA bombarda con un massiccio impiego di elicotteri l’abitazione (e il quartiere) del ministro degli interni di Aidid che doveva anch’egli essere presente a una riunione in corso quel giorno. Lo scopo è di catturare vivo o morto Aidid.E’ strage, le immagini che arrivano sono eloquenti: massacrati almeno 70 somali e centinaia i feriti. Tra i morti molti dirigenti vicini ad Aidid che però non viene catturato.Tra i giornalisti accorsi per documentare l’effetto del bombardamento c’è anche Ilaria Alpi e l’operatore Alberto Calvi. La folla assale violentemente i giornalisti e i fotografi Hansi Kraus, Hos Maina, Dan Eldon, insieme al tecnico del suono Anthony Macharia saranno massacrati. I corpi ritrovati, dilaniati molte ore dopo.
Si aprono polemiche aspre che mettono in discussione anche i vertici del comando militare italiano. Gli americani chiedono le dimissioni del generale Bruno Loi. Le polemiche riesplodono dopo che il 5 settembre in un violento scontro sette caschi blu nigeriani vengono uccisi e altri sette feriti, sempre presso il ceck point Pasta, moltissimi i somali uccisi e feriti. Critica aperta dei nigeriani nei confronti degli italiani, altri scontri in cui vengono uccisi anche somali abgal (Ali Mahdi).
A conclusione della giornata un incontro molto teso tra il generale Bruno Loi, l’ambasciatore Mario Scialoja, Ali Mahdi e il suo staff. Il 6 settembre 1993 Il generale Carmine Fiore assume il comando del contingente italiano al posto di Bruno Loi.
Va ricordato che Giancarlo Marocchino, noto e chiacchierato “imprenditore” è in Somalia dal 1984 rimanendo saldamente ancorato ai suoi affari prima con Siad Barre e poi con entrambi i signori della guerra: Ali Mahdi e Aidid. Una ambigua presenza in tutta questa storia, ne parleremo a lungo.
Molte delle persone citate sono morte e non potranno più raccontare. Altre, importanti, sono morte nei primi dieci anni dopo “il più crudele dei giorni”: in modo misterioso o assassinate. Anche per questo abbiamo deciso di fare questo lavoro. Perché siamo quelli del #NoiNonArchiviamo, quelli che continueranno a cercare fino a che potremo dire: “… e quindi uscimmo a riveder le stelle”
1/continua
Fonte: Articolo 21
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Tre anni fa ci ha lasciata una grandissima donna italiana, la signora Luciana Alpi. La battaglia che ha ingaggiato per avere #veritaegiustizia per la morte della figlia #IlariaAlpi e di #MiranHrovatin in #Somalia ora continua sulle gambe di tanti di #Noi perché #NoiNonArchiviamo https://t.co/jQdrjR70QU pic.twitter.com/Z1Qdp8KksU
— Lorenzo Frigerio (@lorenz_frigerio) June 12, 2021
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