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Il murales dedicato a Marcello Torre ha il sapore di un memorandum per il governo

Davide Mattiello il . Campania, Mafie, Memoria, Politica, Società

Ha il sapore di un memorandum per il governo e il suo presidente Mario Draghi il murales che il 30 maggio è stato inaugurato a Pagani: è il ritratto di Marcello Torre che di Pagani fu sindaco e che lì venne assassinato l’11 dicembre 1980.

Il murales è firmato da Jorit, che come al solito ci ha messo l’anima: la sua di artista nel cogliere l’essenza di Marcello Torre e quella di Torre stesso, avendo Jorit riprodotto a base del ritratto una parte della lettera-testamento che Marcello Torre lasciò nelle mani del giudice Santacroce il 30 maggio 1980. In quelle righe Marcello Torre ribadiva il sogno di una Pagani libera e civile, a servizio della quale si era messo con tanta determinazione ed altrettanta competenza.

La tensione morale e politica di Marcello Torre si schiantò contro la corsa all’appalto che era scattata dopo il tremendo terremoto dell’Irpinia del 1980: un pezzo di Italia da ricostruire, palate di denaro pubblico, la fretta che è buona consigliera soltanto per i delinquenti pronti a tutto pur di arricchirsi. Tra questi, purtroppo per Marcello Torre, ce ne erano di particolarmente spietati e feroci, quelli che rispondevano a Raffaele Cutolo, il quale non aveva tempo da perdere nell’attuazione della sua strategia criminale, intrisa di ambizioni politiche e di collegamenti con la politica.

Il sindaco Marcello Torre si mise di traverso, ostacolò quella corsa scellerata, cercando di fare salvo l’interesse generale, il fare bene-le-cose-che-servono-pagandole-il-giusto. Questo gli meritò la condanna a morte.

A volte le circostanze della Storia sembrano rispondere ad una regia metafisica e così i 40 anni dall’assassinio di Marcello Torre cadono alle fine del 2020, da lì la decisione di commissionare il murales commemorativo, che è stato presentato al pubblico il 30 maggio 2021 e cioè precisamente nei giorni in cui non si parla d’altro che del decreto “Semplificazioni”, con il corredo di parole d’ordine come velocità, lavori pubblici, affidamenti diretti, sub appalti, cantieri, silenzio assenso, commissari straordinari, etc.

Tralascio le puntualizzazioni di rito sulla necessità che l’Italia ha di ripartire e di spendere (bene!) i soldi che arrivano dall’Unione Europea. Non entro nel merito delle norme del decreto e dei compromessi che sono stati trovati per salvaguardare in linea di principio, efficacia della manovra e rispetto della legalità e della sicurezza: l’Italia ha una brillante tradizione legislativa. Ma la vicenda di Marcello Torre è lì a ricordarci che il problema non sta quasi mai a monte, nelle norme, ma a valle, dove si scaricano in concreto le scelte, la loro esecuzione, la pressione sui decisori pubblici, in particolare sugli amministratori locali (rimando per questo all’ultimo rapporto presentato da Avviso Pubblico che ha celebrato i suoi 25 anni di attività), la necessità di controlli tempestivi e capillari “a terra”, cantiere per cantiere, camion per camion, verrebbe da dire, anche sulla scorta di quelli maledetti che per anni hanno sversato fanghi tossici nelle campagne piemontesi, nonostante le puntuali e circostanziate denunce dei cittadini.

Ecco, presidente Draghi, questa questione potrebbe tradursi in una domanda: quanta parte dei soldi del Pnrr sarà impegnata per rafforzare il sistema dei controlli a valle degli appalti? Controlli che sono sia amministrativi che giudiziari, si intende, la cui efficacia dovrebbe essere assunta come obiettivo ineludibile, alla realizzazione del quale assegnare qualcuna di quelle riforme fondamentali per riscattare la credibilità del nostro Paese.

Il Fatto Quotidiano, il blog di Davide Mattiello

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