Tutti contro “l’icona” Davigo per affossare la magistratura
E’ in corso una strana gara cui partecipano alcuni politici, avvocati e magistrati. Una gara fatta di interventi che, per quanto stellarmente diversi fra loro per tono e contenuti, hanno in comune un elemento: dare addosso a Piercamillo Davigo (a volte senza neanche bisogno di nominarlo).
Ora, se ciò è comprensibile per certi politici e avvocati, dai magistrati ci si aspetterebbe quanto meno un atteggiamento un po’ diverso. Intendiamoci: nessuno vuol mettere la mordacchia alla libertà di opinione e di critica, sarebbe semplicemente idiota; neppure si può anche solo pensare ad un qualche invito trasversale ad attivare remore di carattere corporativo. Ci mancherebbe altro!
Ma mentre certi politici e avvocati aspettavano solo l’occasione buona per scatenarsi contro il simbolo di Mani pulite, un’icona della magistratura, con lo scopo ultimo di colpire attraverso lui il “bersaglio grosso” (cioè la magistratura stessa nella sua credibilità e indipendenza), i magistrati dovrebbero tener conto anche di tale profilo.
Proprio per questo mi domando (senza, va sa sé, nessuna pretesa di insegnare qualcosa a chicchessia ) se per i magistrati che intervengono nel dibattito l’approccio non debba essere più attento. Tanto più nelle fasi iniziali dell’intricata vicenda. Nel senso che nell’ordine giudiziario sicuramente ci sono vari magistrati che (eufemismo! ) non amano l’ex collega Davigo, ma chi non rientra in questa categoria e ragiona senza pregiudizi dovrebbe sapere chi è e come opera Davigo. Ciò in base ad anni di attività professionale e di esternazioni pubbliche che consentono di rovesciarlo come un calzino (do you remeber?).
Certo, il groviglio di problemi scatenato dal dossier con i documenti (non firmati) riferibili a cinque interrogatori dell’avvocato d’affari Amara, che uno o più zelanti “postini” si sono adoperati per recapitare a giornalisti e non solo, appare assai insidioso, confuso e complesso, oltre che singolare. Ci vorrà un lavoro di speciale attenzione e accortezza per dipanarlo al fine di individuare le eventuali responsabilità di ciascuno, nessuno escluso.
Ma per quanto riguarda Piercamillo Davigo una cosa almeno mi sembra di poter dire fin d’ora: non ha agito per qualche interesse personale o per uno scopo ictu oculi classificabile come riprovevole o riconducibile ad una qualche architettura intenzionale. Se ha commesso un peccato, si è trattato di un peccato che si potrebbe definire di generosità. Nel senso che Davigo ha deciso autonomamente (a quanto pare “sul tamburo”, altro indizio di generosa disponibilità) di caricarsi addosso un fardello spinoso per non esporre più di tanto, lasciandolo solo, un collega che si sentiva in difficoltà.
A questo punto, attendiamo senza pregiudizi o aspettative precostituite gli sviluppi della vicenda.
Con un occhio ai disastri che i “corvi” possono causare, in quanto brodo di coltura ideale per quei palazzi e potentati che da sempre vorrebbero costringere i Pm a starsene buoni buoni in un angolino; strumentalizzando a proprio vantaggio ogni falla, vera o presunta, del pianeta giustizia. Che ha bisogno – a dir poco – di profonde e robuste manutenzioni, mentre le derive illiberali sono tutt’altra cosa.
Ecco perché, nonostante tutto, è ancora una fortuna che l’inchiesta sia svolta da magistrati indipendenti. Considerazione faticosa e impopolare, in questa stagione di miasmi, che tuttavia ci può stare. Perché una rissosa commissione parlamentare animata da velleità vendicative sarebbe assai peggio.
Fonte: Il Fatto Quotidiano, 04/05/2021
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