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CSM e Palamara. Una iniziativa discutibile aggravata dalla scelta della segretazione

Nello Rossi * il . Giustizia, Istituzioni, Società

Sono molti gli interrogativi di natura procedurale ed istituzionale sollevati dalla scelta della Prima Commissione di procedere all’audizione del dott. Palamara e di optare per la sua segretezza. Di qui l’esigenza di una aperta riflessione sulla discutibile linea di condotta adottata dal Consiglio Superiore della magistratura.

La scelta di una audizione secretata

Roma, Giovedì 25 marzo 2021. Audizione del dott. Luca Palamara dinanzi alla Prima Commissione del CSM.

Ad agire è un organo cruciale del Consiglio, competente, tra l’altro, per i rapporti, esposti, ricorsi e doglianze concernenti magistrati, le procedure di trasferimento d’ufficio di cui all’art. 2 della legge delle guarentigie (R.D.L. 31 maggio 1946 n. 511), le richieste di tutela dell’indipendenza e del prestigio dei magistrati e tutte le altre ipotesi di incompatibilità dei magistrati con una particolare sede o particolari funzioni.

L’audizione non è pubblica, in conformità alle regole “ordinarie” delle sedute delle Commissioni consiliari[1]. Queste, infatti, svolgono normalmente i loro compiti referenti ed istruttori in assenza di pubblicità, agendo in preparazione delle sedute del Consiglio Superiore della Magistratura che adotta tutte le sue decisioni nelle sedute del plenum nelle quali si riespande la piena collegialità dell’organo e si recupera la piena pubblicità dell’attività consiliare.

«In via del tutto eccezionale» la Prima Commissione avrebbe potuto disporre – previa comunicazione al Comitato di Presidenza del Consiglio – che «la stampa o anche il pubblico» fossero «ammessi a seguire lo svolgimento» della seduta «in separati locali attraverso impianti audiovisivi»[2]. Ma non è stata questa la strada imboccata. In luogo della possibile pubblicità si è adottata la soluzione opposta, anch’essa di carattere straordinario: la segretazione dell’audizione.

Scelta, questa, che può essere compiuta, ai sensi del combinato disposto degli artt. 29 e 27, comma 2, del Regolamento interno del Consiglio, «quando ricorrono motivi di sicurezza, ovvero quando sulle esigenze di pubblicità prevalgono ragioni di salvaguardia del segreto della indagine penale o di tutela della riservatezza della vita privata del magistrato o di terzi, in particolare nel caso di trattamento di dati sensibili».

In sostanza, tra le tre opzioni praticabili – normale assenza di pubblicità dei lavori della Commissione, eccezionale ammissione del pubblico e della stampa, segretazione – è prevalso il regime del segreto.

Si tornerà in seguito su questo peculiare aspetto dell’audizione che si intreccia con la sua assoluta singolarità.

Perché questa iniziativa consiliare?  

Chi scrive è convinto che nei confronti del dott. Palamara debba valere a pieno – come per ogni cittadino imputato o raggiunto da una incolpazione di natura disciplinare o professionale – la presunzione di non colpevolezza e di non responsabilità fino all’esito finale dei giudizi che lo riguardano.

Ed è altrettanto convinto che nei suoi confronti, come nei riguardi di altri magistrati coinvolti, sia stata sin qui largamente applicata, nel clamore mediatico che ha scandito l’intera vicenda portata alla luce dalle indagini perugine, la regola – opposta e comunque iniqua – della “presunzione sociale” di colpevolezza e responsabilità.

Presunzione sempre fonte di distorsioni e che, anche quando vi siano chiarissime “evidenze” dei fatti, restringe gli spazi – necessari in qualsiasi giudizio – di doverosa valutazione dei profili psicologici delle condotte, delle circostanze in cui sono state poste in essere e delle possibili attenuanti.

Ciò soprattutto quando è emerso con chiarezza che nella brutta storia di cui la magistratura italiana sta bevendo il calice fino alla feccia c’è una quota di responsabilità collettiva, ridotta certo, ma tutt’altro che insignificante. Se uno sventurato ha risposto è stato anche perché altri hanno sollecitato, insistito, brigato, premuto, sia pure con un’enorme varietà di gradazioni che andranno verificate con equanimità nelle diverse sedi a ciò deputate.

Detto tutto questo – e non a titolo di mera premessa ma come parte integrante del ragionamento che qui interessa svolgere – sono molti gli interrogativi di natura procedurale ed istituzionale sollevati dalla scelta di procedere all’audizione del dott. Palamara.

Per quali ragioni si è deciso, in questa fase di una vicenda iniziata nell’ormai lontano maggio del 2019, di ascoltare Luca Palamara?

Sentendolo – si badi – non a sua difesa (perché egli, attualmente, non è né sottoposto né sottoponibile ad alcun potere del Consiglio) ma come persona chiamata a riferire di altri.

Ed ancora: su quali oggetti, su quali argomenti si è deciso di sentirlo, mentre sono già in corso giudizi disciplinari e procedure di trasferimento d’ufficio che dalle voci e dalle illazioni che trapelano da una audizione secretata possono solo essere turbati nella loro regolarità?

E, infine, con quali garanzie di veridicità, con quali remore per eventuali affermazioni prive di riscontri o di prove, viene sentito Luca Palamara, dal momento che nella Prima Commissione non è ovviamente previsto alcun giuramento del dichiarante e che la sentenza della Sezione disciplinare dello stesso Consiglio ha rimosso il magistrato dall’ordine giudiziario e quindi anche dalla sfera dei poteri consiliari?

La razionalità giuridica non aiuta a comprendere

Questi ed altri interrogativi, subito emersi tra gli addetti ai lavori e nell’opinione pubblica più riflessiva, attendono risposte serie e plausibili.

Se tali risposte mancheranno o saranno tardive, se le ragioni dell’iniziativa resteranno troppo  a lungo segrete e non spiegate o alla fine risulteranno giuridicamente inspiegabili, non ne guadagnerà l’autorevolezza di un Consiglio sin qui già investito da troppe bufere.

Anche perché la razionalità giuridica – di per sé sola – non consente di far intuire il “perché” dell’audizione o di dedurre i motivi che l’hanno ispirata e sorretta.

Da un lato, infatti, le risultanze delle attività investigative – se attendono ancora di essere valutate dal giudice penale o riesaminate in sede disciplinare dalle SSUU della Corte di cassazione – sono nella loro totalità dispiegate, conosciute, pubbliche. Così che un immenso materiale di intercettazioni, chat, documenti di varia natura è agli atti e già di dominio pubblico.

Dall’altro lato, Luca Palamara ha avuto l’occasione di fornire, con l’ampiezza voluta e con eccezionale risalto, il suo racconto dei fatti –  propri e altrui – nelle molte trasmissioni televisive che l’hanno avuto come ospite e nel libro scritto a quattro mani con il giornalista Alessandro Sallusti.

In questo contesto non si vede quale contributo di conoscenza l’audizione di Palamara possa aggiungere ai dati raccolti nelle indagini (da sottoporre ora al vaglio dei procedimenti) e alla versione offerta dall’interessato nelle moltissime occasioni che ha avuto per esprimere pubblicamente le sue verità.

Si delinea invece nitidamente il quadro di una audizione sfornita, come si è accennato, di ogni presidio giuridico a garanzia della sua veridicità e capace solo di produrre una cascata di effetti discutibili e negativi.

Essa attribuisce infatti ad una persona, inevitabilmente segnata da forti interessi, sentimenti e risentimenti personali nelle vicende narrate, la veste di portatore di conoscenze proficue ed utilizzabili nell’accertamento di fatti oggetto di attenzione da parte degli interroganti.

Con l’effetto di conferire un crisma di ufficialità a dichiarazioni rese in sede istituzionale da chi – sciolto da ogni vincolo o remora – è libero di dire o non dire, di scegliere di cosa parlare o di cosa tacere, di generare impressioni negative su persone che dovranno subirle senza poter reagire (almeno quando si rimanga al di sotto della soglia della diffamazione o della calunnia)  e senza avere la concreta possibilità di un qualsiasi contraddittorio.

Esattamente in questi termini si è mossa sin qui, con estrema spregiudicatezza, una parte della stampa pronta ad accreditare ogni parola del magistrato.

Ma è davvero sorprendente che – sia pure in tempi di grande confusione e turbamento – sia  il CSM a seguire questa falsariga, allineandosi agli improbabili esempi che vengono da un’area dei media.

Meglio, allora, la più piena trasparenza

Anche se si sgombra decisamente il campo da ogni ipotesi di un indirizzo e di un impiego strumentali dell’audizione, il rischio che da essa deriva è amplificato a dismisura dallo stillicidio di indiscrezioni parziali e mirate, o ingannevoli, quando non deliberatamente false, che rappresentano il triste ma prevedibile corollario di una audizione improvvidamente secretata.

Discutibile sul piano giuridico e procedurale, la scelta di ascoltare Luca Palamara è stata infatti resa più grave e nociva dall’opzione per il regime del segreto.

Secondo chi scrive, la linea di condotta del Consiglio sarebbe stata più lineare e istituzionalmente corretta se la Prima Commissione non si fosse infilata nel vicolo cieco di chiedere lumi e informazioni ad una persona tormentata e amareggiata dal passato e visibilmente protesa alla ricerca di un diverso futuro.

E però, una volta tratto questo “dado”, una volta ritenuto che Luca Palamara fosse un parresiasta da cui fosse possibile attingere squarci di verità altrimenti irraggiungibili, allora sarebbe stato coerente scegliere la via dell’audacia, invocando l’assoluta eccezionalità dell’audizione e adottando conseguentemente un regime di pubblicità.

Più e meglio del fragile ed illusorio schermo del segreto, subito aggirato e violato, la trasparenza assoluta avrebbe servito più utilmente la causa della ricerca della verità e maggiormente tutelato le persone oggetto delle dichiarazioni del vero o presunto parresiasta, consentendo un immediato e pieno controllo dell’opinione pubblica, garantendo repliche immediate e puntuali, stimolando ammissioni o rivendicazioni di correttezza oppure permettendo radicali smentite.

Nulla di tutto questo è stato invece possibile a causa di una opzione dapprima giuridicamente discutibile e poi attuata con irresolutezza.

L’appiccicosa melassa di interessate e mirate fughe di notizie che ha fatto seguito all’audizione sta lì a dimostrare che la conclusione qui tratta non è affatto paradossale.

Nessuno dei benefici della piena pubblicità e trasparenza è infatti stato ottenuto mentre nessuno degli effetti ingiustamente pregiudizievoli per le persone coinvolte è stato scongiurato.

Non disponendo di alcuna informazione diversa da quelle rese pubbliche sugli interna corporis e sullo svolgimento di lavori della Prima Commissione non siamo in grado di dire se e quanti componenti dell’organismo consiliare abbiano manifestato contrarietà e opposizione allo sconcertante modo di procedere alla fine adottato.

Ma, come osservatori esterni un dato ci appare chiaro.

Se qualcuno, in seno alla Commissione, non ha condiviso le singolari e discutibilissime decisioni prese, avrebbe potuto, e forse dovuto, non avallarle con la sua presenza ai lavori della Commissione, segnando la distanza con il metodo seguito per rivendicare poi, alla luce del sole, nel corso di una seduta plenaria del Consiglio, l’estraneità all’incomprensibile operato dell’organismo referente.

Il necessario recupero di credibilità del Consiglio Superiore passa attraverso la porta stretta di decisioni chiare e ferme che dimostrino che l’organo di governo autonomo della magistratura non è né si sente sotto lo scacco di nessuno.

Dopo tante vicende travagliate e mentre affiorano sospetti di nuove “relazioni pericolose” è venuto il momento del coraggio sorretto dalla ragione giuridica e dalla ragionevolezza istituzionale.

Una strada diritta e senza alternative, da percorrere evitando le scorciatoie dei tatticismi che più volte si sono dimostrate semplicemente disastrose.

* Direttore di Questione Giustizia

*****

[1] L’art. 29, primo comma, del Regolamento Interno del Consiglio Superiore stabilisce che «Le sedute delle Commissioni non sono pubbliche». Il Regolamento interno attualmente in vigore è stato approvato con deliberazione del 26 settembre 2016, aggiornato con le modifiche apportate con deliberazione dell’8 luglio 2020 pubblicate nella Gazzetta Ufficiale dell’8 luglio 2020, anno 161°, n. 170 Serie generale, Parte I. Tabella A aggiornata con Decreto del Vice Presidente del 13 ottobre 2016.

[2] Così l’art. 29, secondo comma, del Regolamento Interno.

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