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Dal fango alle stelle: la confisca dei beni ai corrotti

Davide Mattiello * il . Economia, Mafie, Società

Proprio oggi, 21 Marzo Giornata della memoria e dell’Impegno in ricordo di tutte le vittime innocenti delle mafie, La Repubblica dedica una intera pagina al Prefetto Corda, direttore della Agenzia nazionale per la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, scegliendo un titolo che sa di vittoria: “La villa di Galan, le case di Lady ASL. Ai volontari i tesori dei corrotti”.

Ed in effetti di vittoria è giusto parlare: dopo anni passati a denunciare quanto la corruzione sistemica fosse non soltanto lo strumento di penetrazione privilegiato dalle organizzazioni mafiose, ma fosse esso stesso sintomo di un insopportabile abuso di potere mafioso nei modi, se non nel pedigree e che per questo bisognasse esplicitamente trattare mafiosi e corrotti nello stesso modo, la modifica del Codice Antimafia approvata dal Parlamento nel 2017 lo ha reso possibile.

Il nuovo Codice Antimafia estende infatti l’applicabilità delle misure di prevenzione patrimoniali anche agli indiziati di corruzione, previsione tanto più opportuna oggi alla luce della sentenza della Corte Costituzionale (N. 24 del 2019) che ha dichiarato, tra l’altro, l’illegittimità costituzionale dell’art.4 lettera C del Codice Antimafia, nella parte in cui stabilisce che i provvedimenti previsti dal capo II si applichino anche ai soggetti indicati nell’art. 1, lettera a).

Fu una bella battaglia, costata a chi se la caricò sulle spalle parecchie palate di fango.

Una vittoria che ha il significato precisamente espresso dal prefetto Corda: beni che sono stati l’arrogante segno del potere criminale sul territorio, diventano finalmente strumento di riscatto sociale, attraverso l’alleanza tra Istituzioni dello Stato, Enti locali e associazioni di cittadini.

Ma nessuna vittoria è per sempre ed in un Paese nel quale, approfittando della tragedia Covid, c’è chi vorrebbe abolire persino il Codice degli appalti, serve una precisa assunzione di responsabilità politica affinchè la destinazione dei beni confiscati sia il cuore di una strategia che coinvolga non soltanto il Ministero dell’Interno, ma il MIUR, il MISE, il MEF, quello per le Pari Opportunità, i Giovani, il Sud e la coesione territoriale, la Transizione ecologica. Soltanto così non dovremmo più piangere sul latte versato, cioè sulle occasioni sprecate e sull’inevitabile ritorno di fiamma della atavica sfiducia italica nei confronti dello Stato.

Proprio per questo uno degli aspetti qualificanti della proposta di riforma del Codice Antimafia fu quello di spostare l’Agenzia dal Ministero dell’Interno alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. La proposta non passò e io me ne dispiacqui assai.

Ma facendo lo sforzo di comprendere le ragioni che impedirono questa svolta, oggi dico che si potrebbe raggiungere ugualmente il fine istituendo presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri (dove per altro stanno già incardinati diversi dei Ministeri ai quali sopra ho fatto riferimento) una delega al coordinamento degli interventi volti alla destinazione dei beni confiscati che sia di sostegno alla Agenzia, proprio nello stimolare e alimentare il concerto di decisioni e risorse con gli altri Ministeri.

Il riscatto sociale ed economico connesso all’efficacia del riutilizzo dei beni confiscati può essere uno dei fattori di rilancio dell’Italia dopo tanta sofferenza: perché il rilancio dipende anche dalle buone notizie che fanno migliore l’umore e orientano all’ottimismo verso il futuro.

Anche così determineremo il modo con il quale usciremo dal tunnel della pandemia e torneremo a riveder le stelle.

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Beni confiscati, la svolta in tre punti. Lettera aperta al Presidente del Consiglio

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