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Questo 20 marzo 2021 svelare depistaggi e depistatori. Verità e Giustizia per Ilaria e Miran

Mariangela Gritta Grainer * il . Caso Alpi-Hrovatin, Giustizia, Informazione, Istituzioni, Società

Questo 20 marzo 2021, ventisette anni dopo l’assassinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin a Mogadiscio, non è ancora il giorno della giustizia perché ancora non c’è tutta la verità giudiziaria.

Questo 20 marzo 2021 è anche il giorno che vede cresciuta la comunità del #NoiNonArchiviamo: altre scuole sono state intitolate a Ilaria Alpi; biblioteche librerie, giardini e parchi. La pandemia ha limitato il numero delle iniziative e la loro visibilità ma ci sono state e ci sono: incontri, riflessioni riferite anche alle sofferenze di popoli e paesi che avrebbero visto Ilaria in prima fila per la difesa della loro vita e dei loro diritti. Paesi dimenticati come la sua Somalia; come il Congo, insanguinato dall’uccisione di Luca Attanasio, Vittorio Iacovacci e Mustapha Milambo; l’Iraq che ha visto un po’ di luce con la visita di papa Francesco dopo tanto dolore morte distruzione. “…E oggi noi, ebrei, cristiani e musulmani, insieme con i fratelli e le sorelle di altre religioni, onoriamo il padre Abramo facendo come lui: guardiamo il cielo e camminiamo sulla terra.…”

Questo 20 marzo 2021 ci ricorda che è l’amore per Ilaria che ha alimentato la tenacia, la forza di Luciana e Giorgio, mamma e papà di Ilaria, indomabili, per avere giustizia.

Ed è l’amore per l’Italia, la legalità e la giustizia che troviamo nelle parole del nostro Presidente della Repubblica Sergio Mattarella: “… L’uccisione di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin lacera profondamente, a 25 anni di distanza, la coscienza civile del nostro Paese e suona drammatico monito del prezzo che si può pagare nel servire la causa della libertà di informazione.

….Nel loro lavoro d’inchiesta avevano trovato notizie di traffici illeciti, avevano raccolto testimonianze, stavano compiendo verifiche e riscontri che interpellavano anche il nostro Paese.  L’agguato… ha spezzato due vite e trafitto la libertà di tutti. “

(dalla lettera del Nostro Presidente inviata il 20 marzo 2019)

Amore di Ilaria per la sua Somalia che traspare dai suoi lavori (in poco più di un anno vi si recò ben sette volte). Aveva raccolto materiale importante e anche le prove di un traffico d’armi e di rifiuti tossici individuando responsabilità: per questo è stata uccisa insieme a Miran, prima che potesse raccontare “cose grosse” come aveva annunciato alla Rai.

E’ grazie a loro se non si è inceppato questo percorso per la ricerca di verità e giustizia anche se è ancora irto di difficoltà.

Si sache si è trattato di un’esecuzione e che da subito si tenta di accreditare altre tesi: un attentato dei fondamentalisti islamici; una rappresaglia contro i militari italiani; un tentativo di sequestro, di rapina finiti male.

Si sa che spariscono subito: il certificato di morte redatto sulla nave Garibaldi dal dottor Armando Rossitto (il quale leggerà con emozione un passo del suo diario riferito al giorno dell’eccidio nel 25ennale), il body anatomy report redatto dalla compagnia Brown Root di Houston, insieme a block notes di Ilaria e a videocassette registrate.

Si sa che durante il viaggio da Mogadiscio a Ciampino i bagagli vengono violati e che, al rientro in Italia, sul corpo non si esegue l’autopsia.

Si sache in questi 27 anni c’è stato chi ha mentito; chi sapeva e sa e ha taciuto e continua a tacere; chi ha fatto carte false, depistato per scopi ignobili descritti anche nelle sentenze della magistratura.

Si sa che persone, con incarichi importanti o che erano in Somalia quel 20 marzo tragico, hanno fatto dichiarazioni “imbarazzanti”. Per esempio il Colonnello che comandava l’intelligence di Unosom (sono suoi anche i documenti contenenti la storia di un solo proiettile vagante per due!) ha dichiarato in più occasioni: “quando andrò in pensione racconterò la verità!”

O come il dottor Pititto affiancato al Pm Andrea De Gasperis dal capo della procura Michele Coiro nei pressi del 20 marzo 1996. Aveva ricevuto materiali importanti da un componente della commissione bicamerale d’inchiesta: il “girato” delle riprese dell’ABC il giorno dell’agguato e i registri di bordo di navi ed elicotteri. Il nuovo Pm dà impulso all’inchiesta (riesumata la salma pone fine al balletto delle perizie: un colpo in testa ciascuno; indaga il sultano di Bosaso intervistato da Ilaria); ma poco più di un anno dopo il nuovo Procuratore capo Salvatore Vecchione gli toglie l’inchiesta avocandola a sé. Il dottor Pititto dichiarerà: “Scoprite perché mi hanno sollevato dall’incarico e scoprirete la verità”. Scriverà anche un romanzo (Il grande Corruttore prima edizione 2011), chiaramente ispirato alla storia di Ilaria: fino ad oggi non ha mai rivelato l’ipotesi investigativa che orientava il suo buon lavoro.

Si sa che un cittadino somalo Hashi Omar Hassan è stato arrestato in modo sorprendente il 12 gennaio 1998: sarà accusato di duplice omicidio per l’uccisione di Ilaria e Miran, sarà condannato e rimarrà in carcere per 17 anni fino a che il tribunale di Perugia lo dichiarerà innocente e sarà scarcerato. Nelle motivazioni della sentenza sta anche scritto che l’unico testimone d’accusa era falso: Hashi è stato un vero capro espiatorio costruito con un depistaggio di grande portata.

Si sa che il nuovo capo della polizia, il dottor Lamberto Giannini conosce bene questo periodo dell’inchiesta fin dall’arrivo del testimone chiave in ottobre 1997. Il capo della polizia è oggi un cittadino cui sono state affidate “funzioni pubbliche” importanti, di garanzia e sicurezza per tutti i cittadini.

Questo 20 marzo 2021 chiediamo alla Procura di Roma di aprire nuovi scenari investigativi, dopo la sentenza di Perugia, con l’obiettivo di svelare depistaggi e depistatori: unica strada per arrivare a verità e giustizia.

Noi abbiamo ricostruito anche tutti i passaggi riguardanti i sei mesi che conducono all’arresto di Hashi fino alla sua condanna definitiva a 26 anni di carcere e alla sua scarcerazione. Abbiamo tutta la documentazione in parte già pubblicata, completata da quella desecretata (comprese le audizioni delle commissioni d’inchiesta).

Questo nostro lavoro consente di constatare quanto è successo. Abbiamo fiducia nelle Istituzioni e pensiamo che solo un atto giudiziario può stabilire, “al di là di ogni ragionevole dubbio”, che c’è stato depistaggio, chi lo ha ideato organizzato e chi ne è stato coinvolto. Ecco una sintesi del nostro lavoro.

Si sa dunque, che nel luglio 1997 proprio mentre stanno per arrivare dalla Somalia due testimoni oculari (autista e scorta, rintracciati tramite il lavoro della Digos di Udine) l’inchiesta è già stata revocata al magistrato Giuseppe Pititto. Mohamed Ali Abdi e Nur Aden saranno ascoltati dal nuovo Pm dottor Franco Ionta.

Si sa che sempre nel luglio 1997 spunta un nuovo testimone oculare. Lo individua l’ambasciatore Giuseppe Cassini in Somalia, tramite il capo dell’ufficio dell’Unione Europea a Mogadiscio, il cittadino somalo Washington. Si tratta di Ahmed Ali Rage detto Gelle, l’accusatore di Hashi Omar Assan: presunto componente del commando assassino.

Si sache la procura di Roma opera con grande velocità in questi giorni. Il 6 di agosto Giuseppe Cassini è ascoltato ufficialmente dal procuratore capo dottor Salvatore Vecchione: lo informa di quanto sta accadendo a Mogadiscio e del testimone Gelle.

Contemporaneamente riesplode il caso delle presunte violenze di militari italiani nei confronti di cittadini somali. E’ reso pubblico il “memoriale” del maresciallo Francesco Aloi che sostiene di aver conosciuto e frequentato Ilaria quando operava in Somalia con informazioni poco probabili. (Se ne occupa la magistratura militare con il dottor Antonino Infelisano che pone il segreto sul memoriale, oltre alla commissione governativa presieduta da Ettore Gallo, esimio presidente della Corte Costituzionale che lo interrogherà).

Si sa che si scatena un “rumore” mediatico fortissimo. Luglio e agosto 1997: due mesi cruciali durante i quali prende forma quello che anche la sentenza del primo processo nei confronti di Hashi Omar Assan definirà “la costruzione di un capro espiatorio”.

Ahmed Ali Rage detto Gelle, giunge in Italia a ottobre: è interrogato dalla polizia il nove e il giorno successivo dal dottor Franco Ionta. Gelle fa il nome di un componente del commando: Hashi Omar Hassan. Fa un racconto molto impreciso del 20 marzo, sbaglia la posizione delle vittime sull’auto (dice che Ilaria è seduta davanti vicino all’autista); sostiene che nessuno si è avvicinato alla macchina e che hanno sparato da lontano. Un testimone falso che indica un capro espiatorio e, cosa importante, conferma la versione della casualità.Gli interrogatori non sono registrati (lo conferma il dottor Giannini davanti alla commissione d’inchiesta nel 2004).

Si sa che Gelle sparisce la vigilia di Natale del 1997, una quindicina di giorni prima dell’arrivo in Italia di dieci cittadini somali che la commissione Gallo aveva fatto venire in Italia per l’inchiesta sulle presunte violenze subite (ne arriveranno 12): è il 12 gennaio 1998. C’è anche Ali Mohamed Abdi, l’autista di Ilaria. Il dodicesimo è Hashi Omar Hassan che è arrestato, con l’accusa del duplice omicidio, appena sbarcato all’aeroporto di Ciampino. (La notizia è anticipata il giorno prima dalla Repubblica; Giovanni Maria Bellu si era già recato a Mogadiscio nell’agosto 1997). Il suo accusatore Ahmed Ali Rage (Gelle) è già “irreperibile”: una fuga clamorosa e improbabile per un testimone chiave sotto protezione che ogni giorno viene accompagnato dalla polizia presso l’azienda “Scomparin” (!), dove lavora, e ripreso la sera.

Si sa che non lo si è più cercato nemmeno quando telefonerà dall’estero nel 2003 dopo la condanna definitiva di Hashi: diventerà “la notizia” dello speciale del TG3 per il decennale 20 marzo 2004. Nel 2010 telefona una seconda volta: sarà l’avvocato Duale ad annunciarlo durante le giornate del premio Ilaria Alpi. Racconta, Gelle, di essere stato indotto ad accusare Hashi da un’autorità italiana e che la sua testimonianza è falsa (le conversazioni sono registrate e fanno parte della documentazione della commissione d’inchiesta).

Si sa che sparito il testimone, è già pronto un testimone “di riserva”, Ali Mohamed Abdi l’autista di Ilaria, arrivato anche lui tra i dodici somali, senza una ragione se non quella che avrebbe dovuto testimoniare contro Hashi. Dopo un lungo interrogatorio c’è una pausa di oltre due ore. In questa pausa il dottor Cassini è sentito presso la Farnesina, confermerà “de-relato” – al posto di Gelle – l’accusa nei confronti di Hashi. Ali Abdi, informato della testimonianza di Cassini, finalmente dirà che sì, riconosce Hashi, gli è venuto in mente, faceva parte del commando ma non ha sparato!

Sosterrà anche lui che nessuno si è avvicinato alla macchina; confermerà di essere stato in possesso di una pistola e di aver sparato uno o due colpi.

“….Il viaggio di Abdi in Italia non era giustificato, dal momento che egli era estraneo alle violenze sui somali: sembra perciò fatto apposta per creare una situazione di contatto tra Abdi e Hashi …. Non sembra infatti dubitabile che Abdi sia stato fatto partire per l’Italia al solo fine di effettuare il riconoscimento di Hashi….” (dalla sentenza della prima corte 20 luglio 1999).

Gli interrogatori di Ali Abdi e di Giuseppe Cassini sono condotti dalla polizia.

Si sa che Hashi Omar Assan il 21 settembre 1998 è rinviato a giudizio. Sarà assolto in primo grado e condannato all’ergastolo, nel secondo, con sentenza del 24 novembre 2000. Ci sarà un terzo grado di giudizio e una condanna definitiva a 26 anni di carcere.

Si sa che la sentenza del 24 novembre 2000, nelle sue motivazioni, demolisce tutte le ipotesi che erano state avanzate o costruite per sostenere la casualità del duplice assassinio. Indica un solo movente di quella che definisce “un’esecuzione premeditata e organizzata”:

“…. E che questi scopi siano da individuarsi nella eliminazione e definitiva tacitazione della Alpi e di chi collaborava professionalmente con la giornalista perché divenuta costei estremamente “scomoda” per qualcuno …..

L’allarme suscitato in chi era coinvolto a qualsiasi titolo nei traffici illeciti e il nutrito timore per la divulgazione delle notizie apprese dalla Alpi, la conseguente necessità di evitare siffatta divulgazione sono le ulteriori circostanze che hanno segnato irreparabilmente il destino di Ilaria Alpi e di Miran Hrovatin e costituiscono l’antefatto nonché il movente dei delitti per i quali è processo”.

In ordine alla valutazione delle circostanze del reato e alla determinazione della pena, va osservato (scrivono i magistrati):

1) si è trattato di un duplice omicidio volontario premeditato, accuratamente organizzato con largo impiego di uomini …ed eseguito con freddezza, ferocia, professionalità omicida;

2) i motivi a delinquere dei mandanti ed esecutori sono stati, come dimostrato, di natura ignobile e criminale, essendo stato il duplice omicidio perpetrato al fine di occultare attività illecite; …”

Si sa che sarà una giornalista, Chiara Cazzaniga, a cercare Ahmed Ali Rage detto Gelle, a trovarlo e a intervistarlo. Il servizio andrà in onda a “Chi l’ha visto” nel marzo 2015. L’identificazione è certa.

La Procura di Roma si muove finalmente per una rogatoria. Si arriva a un nuovo processo per Hashi che si conclude a dicembre del 2016 con la sua scarcerazione.

Il tribunale di Perugia pubblica le motivazioni della sentenza il 12 gennaio 2017: la testimonianza chiave di Ahmed Ali Rage detto Jelle è falsa.

Due i punti importanti:

“… deve revocarsi la sentenza emessa dalla Corte  d’appello di Roma ….nei confronti di Hashi Omar Hassan, con conseguente assoluzione del predetto reato ascrittogli per non aver commesso il fatto.”

“…indipendentemente da chi fosse stato l’effettivo ‘suggeritore’ della versione dei fatti da fornire alla polizia …il soggetto Ahmed Alì Rage detto Jelle potrebbe essere stato coinvolto in un’attività di depistaggio di ampia portata…

… Attività di depistaggio che ben possono essere avvalorate dalle modalità della ‘fuga’ del teste e dalle sue mancate concrete ricerche….”

La risposta della Procura di Roma: altre due richieste di archiviazione, entrambe respinte.

Questo 20 marzo 2021 possiamo solo segnalare che è stata respinta anche la terza richiesta di archiviazione.

Questo 20 marzo 2021 è il terzo senza Luciana e l’undicesimo anche senza Giorgio: sono morti senza avere giustizia come hanno sempre temuto. Ci mancano tanto. Senza di loro è tutto più difficile.

Sentiamo che ci sono sempre accanto a guidarci nel cammino verso la verità e la giustizia. Rinnoviamo loro il nostro giuramento: #NoiNonArchiviamo non archivieremo mai.

Questo 21 marzo2021 Ilaria e Miran saranno ricordati come sempre durante le iniziative promosse da Libera.

A ricordare e “…a riveder le stelle”: è l’incipit per la 26° giornata della memoria per tutte le vittime di mafia e anche per chi ogni giorno continua a battersi per giustizia verità e legalità. Sono parole che condividiamo per la loro bellezza e il loro simbolico significato.

* #NoiNonArchiviamo e presidente Articolo21 Veneto

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Caso Alpi-Hrovatin: a che punto sono le indagini?

Nell’anniversario dell’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin vogliamo fare il punto sulla inchiesta giudiziaria con l’avvocato Giulio Vasaturo, legale di FNSI, Usigrai e Ordine dei giornalisti, parti offese nell’ambito del procedimento tuttora in corso per far luce sull’agguato di Mogadiscio del 20 marzo 1994.

“Sono ampiamente trascorsi i termini fissati dal GIP per il compimento delle nuove indagini indicate con l’ordinanza del 4 ottobre 2019 con cui il giudice ha respinto, per la terza volta, la richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura della Repubblica di Roma.

Attendiamo il provvedimento del Pubblico Ministero che dovrà dar conto degli approfondimenti investigativi espletati negli ultimi quindici mesi.

E’ assai significativo che l’intera comunità dei giornalisti italiani, attraverso la Federazione Nazionale della Stampa, l’Usigrai e l’Ordine dei Giornalisti, si sia costituita come parte offesa in questo procedimento penale che va avanti da quel 20 marzo 1994 e, quindi, da ventisette anni”.

Ci batteremo con tutti i mezzi previsti dall’ordinamento per evitare che l’inchiesta sull’omicidio di Ilaria e Miran venga archiviata. Terremo fede alla promessa fatta a Luciana Alpi, la madre della giornalista del Tg3: noi non ci arrenderemo mai e continueremo a spronare le indagini fin quando non otterremo verità e giustizia. In quest’ultimo anno abbiamo fornito nuovi e precisi elementi agli inquirenti. Siamo convinti che sia ancora possibile, nonostante il tempo trascorso, risalire agli esecutori ed ai mandanti di questo duplice delitto ed a coloro che, sino ai giorni nostri, hanno depistato le indagini, favorendo l’ingiusta condanna del somalo Hashi Omar Hassan, detenuto per ben diciassette anni prima che la sentenza di revisione della Corte di Appello di Perugia lo scagionasse completamente.”

Fonte: Articolo 21

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