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Beni confiscati, la svolta in tre punti. Lettera aperta al Presidente del Consiglio

Gian Carlo Caselli * il . Economia, Mafie, Società

Gentile Prof. Mario Draghi, Presidente del Consiglio,

prima che Lei assumesse l’attuale incarico, più volte – trattando di mafia – mi sono “appoggiato” ad una sua riflessione, che per me equivale ad un assioma: “Più legalità = meno mafie; meno mafie = più sviluppo”. Una prospettiva che vale per ogni politica di buon governo. Quella giusta per fronteggiare la perversa continua espansione dell’economia mafiosa.

Lei sa meglio di me che le mafie sono la negazione assoluta (oltre che  di un’economia “pulita”) dei valori costituzionali di libertà e uguaglianza. Sono, per la qualità della nostra democrazia, un nemico esiziale, da contrastare senza soluzione di continuità, difendendo i risultati importanti della magistratura e delle forze dell’ordine.

Proprio di questa “difesa” c’è assoluto bisogno in un settore nevralgico dell’antimafia, quello dei beni confiscati ai mafiosi. Non possiamo permetterci che qualcuno approfitti delle disfunzioni per sminuire la fiducia nello Stato, bestemmiando che “la mafia dà lavoro” o che “andava meglio  prima”. Anzi, dei  beni confiscati dobbiamo fare un volano per lo sviluppo.

La legge 109/96 nei suoi 25 anni di vita ha funzionato bene. Una quantità imponente di beni confiscati, in ogni regione italiana,  sono stati destinati ad attività socialmente o istituzionalmente utili: dalle scuole ai centri per disabili. Così da avviare  – parafrasando il prefetto Dalla Chiesa – la trasformazione dei sudditi della mafia in alleati dello Stato.

Ma insieme alle luci ci sono anche molte ombre. Per esempio, importanti risorse finanziarie europee e nazionali, messe a disposizione delle Regioni dalle politiche di coesione per la valorizzazione dei beni confiscati, rimangono troppo spesso inutilizzate. E solo alcune Regioni si sono date, a tutt’oggi, gli strumenti che consentirebbero di accelerare le procedure di impiego delle risorse, attraverso intese con i Comuni, le altre Amministrazioni e gli Uffici giudiziari. I fondi inutilizzati potrebbero essere impiegati anche per azioni di “tutoraggio” a favore di cooperative di giovani disponibili a svolgere nuove attività imprenditoriali su terreni confiscati. Sono obiettivi – questi – che potrebbero rientrare nelle competenze dei Ministri Gelmini e Orlando.

Ma le ombre si fanno  decisamente più cupe  se dal settore  delle risorse inutilizzate si passa a  quello in cui le risorse mancano. Fissiamo tre punti.

1) I beni, immobili e aziende,  presi in carico dall’Agenzia Nazionale dei beni sequestrati e confiscati – non ancora destinati ai Comuni – sono tantissimi; inevitabilmente l’Agenzia, pur profondendo ogni impegno in condizioni a volte  proibitive, fatica a gestire una tale massa di beni; ciò per mancanza di risorse adeguate e di esperienze specifiche.

2) Molti Comuni non ne vogliono sapere di prendersi in carico un immobile confiscato, nonostante il loro territorio possa trarne vantaggi: per indifferenza verso il significato dell’antimafia sociale o dei diritti, ma anche per insufficienza di risorse.

3) I tre gradi di giudizio necessari per la confisca definitiva vanno sommati alla durata delle successive procedure per l’assegnazione: ne risultano  tempi terribilmente lunghi. E quanto acquisito spesso resta abbandonato e va in malora, con la necessità di risorse finanziarie ingenti per farlo ripartire, se non si vuole che la credibilità dello Stato sia umiliata. Dopo Gelmini e Orlando, ad essere interessati – questa volta – potrebbero essere i Ministri Franco, Cartabia (per lo snellimento delle procedure) e Lamorgese.

Comunque sia, il problema è sempre il medesimo: risorse mancanti o insufficienti. Non possiamo arrenderci! Non possiamo perdere un’importante opportunità di sviluppo. Qualcosa del recovery plan dovrà pure essere destinato, nel PNRR, alla migliore operatività di questo settore della legislazione anti-mafia. Ma oltre all’ammontare, conta che allo stanziamento si accompagni un progetto, basato  su idee chiare e  priorità precise. Sarebbe un gran bel segnale. Un modo efficace e concreto per comunicare che i problemi di mafia sono ben presenti nell’agenda del suo Governo. E che si cerca di risolverli anche nell’ottica di un rilancio dell’economia.

Tanto più che il problema dei beni confiscati alla mafia sta rimontando nell’opinione pubblica, come testimonia – tra l’altro –  un recente convegno del CNEL e della Fondazione Polis, dove si è sottolineata (Borgomeo)  la necessità di un cambio di passo e di una organizzazione degli interventi più attenta e specifica.

Nessuna pretesa – come usa dire – di insegnare ai gatti ad arrampicarsi, ma è evidente che sotto la sua direzione i Ministri interessati dovranno coordinarsi ed integrarsi per massimizzare i risultati. Senza aspettare esperti stranieri che magari di mafia non sanno nulla.

* Fonte: Corriere della Sera, 20/03/2021

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