Il portavoce è il contrario del giornalista
Con Draghi (e Paola Ansuini) si attende il modello Casa Bianca
Il portavoce, chi era costui? Il momento è giusto per domandarselo, ora che tutto potrebbe cambiare a Palazzo Chigi, dove a coprire quel ruolo è arrivata Paola Ansuini.
E’ persona poco somigliante a Rocco Casalino, che per più di due anni ha curato i rapporti con la stampa di Giuseppe Conte. La signora si trasferisce dalla Banca d’Italia (era addetta proprio alla Comunicazione), dove a lungo ha collaborato con Mario Draghi, quando era Governatore. Sa cosa fare la nuova portavoce, e forse anche come, ma noi per capire in che modo interpreterà l’incarico dovremo attendere.
Sarà “profilo alto”, se si ricordano le parole di Sergio Mattarella. Ma il rapporto con i mass media è cosa delicata. Il nuovo Presidente del Consiglio è sempre apparso silenzioso, poco incline alle chiacchiere e alle dichiarazioni. Alle parole preferisce i fatti, lo ha detto anche nel discorso a Montecitorio. Per di più Draghi non usa i social, non ha un partito di riferimento e si deve preoccupare di tenere unita la compagine, per cui meno parla e meno rischia di scontentare qualche componente della sua colossale maggioranza.
Più o meno notizie?
Ma i cronisti politici lavoreranno meglio o peggio? Avranno più o meno notizie?
Va ricordato che il portavoce cura i rapporti proprio con gli organi di informazione. Non lavora per il pubblico, ma per gli intermediari, cioè i giornalisti. Un tempo i capi di Governo non ci pensavano proprio a farsi un portavoce. Avevano un uomo di fiducia, di solito un giornalista che dava notizie o le negava, faceva da tramite, proponeva interviste o le rifiutava. Poi, venti anni fa, una legge ha istituito questa figura, che lavora accanto al capo dell’amministrazione. Non deve essere confusa con l’ufficio stampa, che rappresenta invece l’istituzione (come al Quirinale, alla Camera, al Senato) e con la propria attività deve raccontare direttamente al pubblico cosa fa quel preciso ente pubblico.
Paola Ansuini dunque parlerà per Draghi, non per il Governo. Come faceva Casalino per Giuseppe Conte.
Tecniche diverse
Dice l’articolo 7 della legge n.150 del 2000: “L’organo di vertice dell’amministrazione pubblica può essere coadiuvato da un portavoce, anche esterno all’amministrazione, con compiti di diretta collaborazione ai fini dei rapporti di carattere politico-istituzionale con gli organi di informazione”.
Ci sono tecniche diverse per un simile lavoro. Si potrebbe spiegare come lo faceva Filippo Sensi, che lavorò sia con Renzi sia con Gentiloni (da entrambi scelto fra i deputati del Partito democratico) e come poi lavorò Casalino, giornalista professionista, grillino convinto, che ha seguito Conte giorno e notte e ha contribuito non poco a fargli conquistare il notevole livello di stima che i sondaggi gli hanno attribuito fino al suono dell’ultima campanella. Però, in tutti i casi si è trattato di modalità molto diverse rispetto ai portavoce che operano alla Casa Bianca, a Downing Street, a Bruxelles o in altre capitali. Lì, la figura è più british, fa anche “lavoro sporco”, ma spesso è megafono vero e proprio, realmente parla al microfono al posto del Presidente, in sua vece, (o se preferite gli presta la voce).
Mentre da noi sta sempre dietro le quinte, organizza il lavoro, dà notizie, intere e o a metà, a bassa voce, più che annunciare posizioni ufficiali, spiffera, concede o nega parole o talvolta pensieri, per aiutare il cronista e indirizzarlo, sia detto senza offesa, sulla retta via. Cioè dandogli solo le informazioni che interessano al Presidente, alle quali il giornalista sa naturalmente fare la tara, se non vuole diventare lui il microfono del Capo del Governo, cosa che un professionista bravo cerca ovviamente di evitare.
Al servizio del pubblico
Qui si incontra un problema etico non di poco conto. Se è chiamato un giornalista a fare da portavoce, la sua etica gli impone di sospendere altri impegni, visto che la legge istituiva dell’Ordine avverte che il professionista (non il pubblicista) deve avere un rapporto esclusivo con la propria azienda. Qui sopperisce la stessa legge n.150 secondo la quale il portavoce “non può, per tutta la durata del relativo incarico, esercitare attività nei settori radiotelevisivo, del giornalismo, della stampa e delle relazioni pubbliche”. Che è una toppa messa male. Giacché è di tutta evidenza che l’esclusiva sottintende che il professionista lavora “esclusivamente” per il pubblico, al quale promette di dire la verità, mentre come portavoce opera per far sapere ciò che il suo Capo gli chiede. Il contrario dell’etica del buon giornalista. Un professionista, a stretto rigore, non dovrebbe neppure essere più accettato nell’Albo, o scendere nell’elenco dei pubblicisti, che non hanno l’obbligo dell’esclusiva.
Paola Ansuini comunque non avrà questo problema, giacché non risulta iscritta all’Ordine dei giornalisti. Tuttavia è probabile che si muoverà in modo diverso dai suoi predecessori. Difficile che decida di mettere un tavolino a piazza Colonna affinché Draghi possa annunciare davanti a mucchio di microfoni “io ci sono, io ci sarò”.
Staremo a vedere. Che portavoce sarà lo deciderà lei, ovviamente con il suo presidente. Chissà. Draghi deve pensare al Covid e ai 209 milioni del Recovery Fund. Ha tante gatte da pelare, ma con i giornalisti – che faranno il mestiere bussando ogni momento alla sua porta – magari riuscirà a innovare, portando trasparenza e dando un colpo a quel teatrino della politica che ai lettori, oltretutto, piace sempre meno.
* Già Presidente della Federazione Nazionale della Stampa e Segretario dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti
Fonte: Professione Reporter, 23/02/2021
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