Sbagliato concedere i benefici a Graviano
Su L’Espresso oggi in edicola Lirio Abbate rivela che un boss del calibro di Filippo Graviano ha voluto mettere a verbale, in un interrogatorio, la sua decisione di “dissociarsi dalle scelte del passato”.
Francesco La Licata (su La Stampa di ieri) vi vede una “specie di apripista per tornare ad un vecchio ‘pallino’ di Cosa nostra: la dissociazione”. Puntuale e sagace commento, da riferire ad alcuni dati di fatto.
Primo: mentre il “pentimento” comporta la collaborazione con lo Stato, dichiarando quanto si conosce di utile per le indagini (così riparando almeno in parte i danni causati ), nulla di tutto questo nella dissociazione, che si realizza senza parlare di niente e di nessuno, si tratti di mafiosi o di complici. Un semplice proclama, senza segni esteriori di apprezzabile concretezza per poter valutare che non sia un bluff o un escamotage per uscire da una situazione difficile.
Secondo: da sempre Cosa nostra è alle prese con il complesso problema dei rapporti fra i mafiosi ancora in libertà e quelli detenuti. L’offensiva dello stato dopo le stragi ha riempito le carceri, ed il problema per i mafiosi è diventato una profonda ferita aperta che occorre sanare.
Di qui il periodico riemergere di iniziative favorevoli alla “dissociazione”: una pedina fondamentale della scacchiera su cui ancora oggi gioca il gruppo dirigente dell’organizzazione. Il riconoscimento legale della “dissociazione” offre infatti varie prospettive: uscire dal 41 bis, qualche ergastolo in meno, qualche permesso in più e soprattutto salvare i propri beni dalla confisca. In sostanza, un progetto funzionale al riconsolidamento di “Cosa nostra”.
In questo contesto può essere interessante ricordare una vicenda raccontata da Alfonso Sabella nel libro Cacciatore di mafiosi (Mondadori, 2008).
Nel maggio 2000, la Dna sottopone al ministro della Giustizia (all’epoca Piero Fassino), all’esito di alcuni colloqui investigativi con cinque capi-mandamento detenuti, la possibilità di farli incontrare in carcere con altri quattro boss per concordare una pubblica dissociazione da Cosa nostra. Nel contempo si chiede di valutare – in sede politica – la possibilità di riconoscere dei benefici ai dissociati. Fassino investe della questione il Dap che allora io dirigevo. A mia volta interesso Sabella, capo dell’ispettorato, e l’iniziativa viene bloccata.
Qualche tempo dopo (a capo del Dap era stato nominato Giovanni Tinebra) Sabella, ancora direttore dell’ispettorato, scopre che Salvatore Biondino (fedelissimo di Riina) aveva avuto l’incarico di trattare nuovamente la dissociazione con lo Stato, ma stavolta per conto di tutte le organizzazioni mafiose italiane. Sabella lo segnala per iscritto a Tinebra (che il giorno dopo sopprime l’ispettorato) e comunica ogni cosa al nuovo Guardasigilli Castelli, che per tutta risposta lo “licenzia” dal Dap.
Sia come sia, è comunque dimostrato il forte interesse delle mafie a ottenere benefici in cambio di una presa di distanza dall’organizzazione escludendo però ogni forma di collaborazione processuale. Vero è che nel 1987 una normativa siffatta è stata varata per i terroristi, ma ciò è avvenuto quando il pericolo del terrorismo era ormai irreversibilmente esaurito.
Mentre la mafia, purtroppo, è tuttora un fenomeno criminale in gran “forma”. Sicché eventuali “riconoscimenti” sarebbero – a dire davvero poco – del tutto fuori luogo in quanto controproducenti.
Fonte: La Stampa, 21/02/2021
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ESCLUSIVO – IL boss stragista Graviano si dissocia davanti ai pm da Cosa nostra e chiede di uscire dal carcere. DI @LirioAbbatehttps://t.co/o9LofKtGJu
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Graviano e la dissociazione da Cosa nostra: così il boss stragista vuole uscire dal carcere https://t.co/iFo2zmAwOc
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