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Misure di prevenzione patrimoniali: l’esecuzione all’estero di sequestri e confische

Luca Tescaroli * il . Criminalità, Economia, Giustizia, Mafie

Uno dei problemi più avvertiti nell’esperienza giuridica quotidiana è l’esecuzione all’estero di sequestri e confische adottati nei procedimenti di prevenzione che si svolgono nel nostro Paese. Di qui l’esigenza di una ricognizione degli strumenti giuridici utilizzabili a tal fine e di potenziare la cooperazione internazionale per impedire al crimine organizzato di sfruttare vuoti di legislazione e disarmonie dei diversi ordinamenti.

1. Il problema: come eseguire all’estero sequestri e confische adottati in procedimenti di prevenzione

L’evoluzione del crimine organizzato, la dimensione transazionale delle più evolute organizzazioni criminali del nostro Paese e la particolare incisività della legislazione italiana impongono l’individuazione di strumenti legislativi o convenzionali che consentano l’esecuzione all’estero dei sequestri e delle confische emessi nell’ambito di procedimenti di misure di prevenzione patrimoniali trattati nel nostro Paese.

Si tratta di sequestri e confische di beni immobili, mobili, aziende e partecipazioni societarie, che possono prescindere da una condanna in sede penale, o dalla commissione di un reato, e che sono basati sulla pericolosità sociale, quando si ha motivo di ritenere, in via alternativa, che i beni siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego, ovvero quando il loro valore risulti sproporzionato al reddito dichiarato o all’attività svolta.

È, questo, sicuramente uno dei problemi più avvertiti nell’esperienza quotidiana, in quanto le legislazioni europee ed extraeuropee non conoscono il sistema italiano della prevenzione, frutto di un rivoluzionario disegno di legge che è stato la principale causa dell’omicidio dell’onorevole Pio La Torre, il segretario regionale del partito comunista assassinato il 30 aprile 1982, che ne era stato uno dei principali promotori unitamente a Virgilio Rognoni.

Le procedure di rogatoria, alcune concluse, altre tuttora in corso, con alcune nazioni europee, quali la Spagna, la Francia, il Lussemburgo, l’Austria, l’Olanda e il Regno Unito, hanno evidenziato l’essenzialità di una preventiva interlocuzione, attraverso i canali di cooperazione internazionale, al fine di individuare, in base alla ripartizione delle competenze nei diversi Paesi, l’esatto destinatario della richiesta di assistenza, le modalità di inoltro e la necessità di esportare il modello italiano per lo meno in tutti i Paesi dell’Unione.

Sulla base dell’esperienza professionale ho rilevato che – in assenza di strumenti specifici di cooperazione – per ogni procedura è stato necessario l’intervento giudiziario dell’ufficio italiano interessato, del magistrato o dell’ufficiale (in assenza del primo) di collegamento del Paese richiesto e talvolta della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, volta a individuare uno spazio operativo degli istituti del sequestro e della confisca di prevenzione nell’ambito della legislazione richiesta.

2. Gli strumenti di cooperazione giudiziaria utilizzati e disponibili

Gli strumenti di cooperazione giudiziaria utilizzati fino ad ora dall’Autorità giudiziaria italiana per l’esecuzione di tali sequestri e confische in materia di prevenzione sono stati le Convenzioni di Strasburgo del 1990 sul riciclaggio e sulla confisca dei proventi di reato e del Consiglio d’Europa sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato e sul finanziamento del terrorismo, siglata a Varsavia nel 2005, ratificata dall’Italia con la legge 28 luglio 2016, n. 153, in vigore dal 1 giugno 2017.

Si è fatto ricorso, in particolare, all’art. 21.1 di quest’ultima convenzione, norma che prevede che «su richiesta di una parte che abbia avviato una procedura penale o un’azione per fini di confisca ciascuna parte” prenda “le necessarie misure provvisorie».

È stato proposto di interpretare l’«azione per fini di confisca» come diversa da quella avviata nell’ambito del processo penale in modo da ricomprendervi anche il procedimento di prevenzione.

Un ulteriore prezioso strumento giuridico potrebbe essere rappresentato dal Regolamento UE 2018/1805 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 14 novembre 2018 [1], per il reciproco riconoscimento dei provvedimenti di congelamento e di confisca dei beni, emanati nell’ambito di un procedimento in «criminal matters», inclusi i provvedimenti di confisca estesa, di confisca nei confronti di terzi e, in particolare, di confisca senza condanna [2].

Tale regolamento è entrato in vigore il 19.12.2020 (v. art. 39 Reg. citato) e presenta il pregio di essere direttamente applicabile negli Stati membri, ex art. 288 TFUE. Lo stesso va ritenuto applicabile anche alle misure di prevenzione, sebbene una parte della dottrina sia critica sul punto.

Invero, la normativa in questione, a mio avviso, deve ritenersi riferita a tutti i «procedimenti in materia penale», sicché si applica anche alla tipologia di sequestro e confisca di cui si tratta, in quanto essi vengono emessi a seguito di un procedimento che rientra sicuramente nei «procedimenti connessi ad un reato» (che delimitano il campo di azione del Regolamento, a seguito della modifica apportata alla Proposta in base all’accordo dell’ 8 dicembre 2017).

I provvedimenti ablativi di prevenzione presuppongono infatti una valutazione di pericolosità sociale fondata sulla sussistenza di indizi della commissione di reati nella parte cognitiva del giudizio (sia nel caso di pericolosità generica, sia nel caso di pericolosità qualificata) e hanno ad oggetto le acquisizioni patrimoniali derivanti da attività illecite.

Più precisamente la misura di prevenzione viene applicata nei confronti di beni che risultino essere frutto di attività illecite o che ne costituiscano il reimpiego, ovvero nei casi di sproporzione degli stessi beni rispetto al reddito del proposto, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o all’attività economica dello stesso, in quanto la sproporzione, come evidenziato dalla Corte Costituzionale nella sent. n. 33/2018, viene in rilievo come sintomo dell’origine illecita.

Si è osservato che a tale conclusione si dovrebbe arrivare anche se la forma di confisca in esame si qualifichi misura di carattere amministrativo, come hanno fatto le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Spinelli) , con sentenza del 26 giugno 2014, n. 4880 [3], «essendo incompatibile la sua definitività con il carattere preventivo, “tertium genus” costituito da una sanzione amministrativa, equiparabile, quanto al contenuto e agli effetti, alla misura di sicurezza prescritta dall’art. 240 c. p., comma 2, rinvenendosi la sua ratio nell’eliminazione dal circuito economico dei beni di origine criminale»[4].

In ogni caso, tale tipologia di provvedimenti ablativi è applicata in un procedimento parificato a quello esecutivo, pur se non fornito di tutte le garanzie del procedimento penale.

Orbene, il legislatore italiano considera il procedimento di prevenzione di natura penale. L’art. 3, lett. d) del d.lgs 7 agosto 2015, n. 137, Attuazione della decisione quadro 2006/783/GAI (relativa all’applicazione del principio di riconoscimento delle decisioni di confisca), annovera, infatti, anche la confisca di prevenzione, ex art. 24 e 34 d. lgs. n. 159/2011[5], nella definizione di procedimento penale.

3. L’esigenza di potenziare la cooperazione internazionale

Più in generale va potenziata la cooperazione internazionale, soprattutto al di fuori dal territorio europeo, dove spesso mancano strumenti adeguati, in modo da poter realizzare un’indagine internazionale in grado di seguire i proventi illeciti e il loro reimpiego dalla fonte, via via, in tutti i passaggi di trasformazione degli stessi, al fine evitare ritardi e superare ogni ostacolo per una celere ed efficace esecuzione.

L’obiettivo è di procedere al sequestro e alla confisca dei patrimoni illeciti ovunque si trovino, con celerità, superando i problemi linguistici, dotando ogni Paese di magistrati di collegamento (come si sta cercando di fare), impedendo al crimine organizzato di sfruttare pericolosi vuoti di legislazione e di accrescere il suo potere economico e criminale. E per fare ciò occorre attuare l’armonizzazione delle legislazioni e il mutuo riconoscimento espresso dei provvedimenti di sequestro e di confisca di prevenzione, rappresentando con un’attenta attività istituzionale di sensibilizzazione e informazione , che le strutture mafiose non sono una mera «questione tra italiani che indossano le coppole», ma forme di criminalità aggressive, basate su un dinamismo imprenditoriale, capaci di condizionare lo sviluppo economico anche di Paesi stranieri e che sussiste una comune esigenza di contrastarle, affinché anche questi ultimi non siano costretti a rivivere il nostro tragico passato e il nostro presente.

Va ricordato che le misure di prevenzione sono il frutto di una conquista e che per la loro introduzione nel nostro Paese non bastò nemmeno l’assassinio del suo artefice, Pio La Torre, non bastò nemmeno la strage della circonvallazione del 16 giugno 1982, nel corso della quale morì il boss catanese Alfio Ferlito e tre carabinieri che lo scortavano (mentre stavano trasferendo a bordo di un furgone il mafioso dal carcere di Enna a quello di Trapani) e la scia di sangue che ne seguì.

Fu necessaria l’uccisione di Carlo Alberto dalla Chiesa, della moglie Emanuela Setti Carraro e dell’autista Domenico Russo il 3 settembre 1982 per far approvare il 13 settembre dello stesso anno la relativa proposta di legge.

Tra le riflessioni, le esperienze e gli studi che il disegno di legge La Torre raccoglieva, vi erano quelli di Rocco Chinnici, a sua volta assassinato il 29 luglio 1983, con un’autobomba nel cuore di Palermo.

Quando si affrontano certi temi è bene tenere presente i prezzi che sono stati pagati per ottenere gli strumenti di cui disponiamo e di cui discutiamo e per raggiungere i risultati che oggi abbiamo ottenuto e che quotidianamente devono essere consolidati, con la prospettiva di estenderne l’efficacia all’estero, ove sono radicati interessi economici crescenti degli esponenti del crimine organizzato italiano.

Note

[1] Pubblicato nella  Gazzetta dell’Unione Europea del 28 novembre 2018.

[2] Cfr A. M. Maugeri, Prime osservazioni sulla nuova “Proposta di regolamento del parlamento europeo e del consiglio relativo al riconoscimento reciproco dei provvedimenti di congelamento e di confisca”, in Dir. pen. cont. – Rivista trim., 2/2017, p. 231 e ss.

[3] In Riv. it. dir. proc. pen., 2015.

[4] Cfr A. Maugeri, Il regolamento (UE) 2018/1805 per il reciproco riconoscimento dei provvedimenti di congelamento e di confisca: una pietra angolare per la cooperazione e l’efficienza, in Dir. Penale Contemporaneo, par. 5.2, p. 25 e ss.

[5] Nell’ambito delle decisioni assunte: «d) decisione di confisca: un provvedimento emesso da un’autorità giudiziaria nell’ambito di un procedimento penale, che consiste nel privare definitivamente di un bene un soggetto, inclusi i provvedimenti di confisca disposti ai sensi dell’art. 12 sexies del decreto legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, e quelli disposti ai sensi degli articoli 24 e 34 del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, e successive modificazioni».

* Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Firenze

Fonte: Questione Giustizia

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