Beni confiscati in Sicilia. Lo “shock” della legalità
Beni Confiscati: la Commissione antimafia regionale presenta la relazione, elenco dolente ma anche utili proposte
La Sicilia detiene il 60 per cento delle proprietà mobiliari e immobiliari, aziendali, confiscate in tutta Italia, ma è tremendamente indietro nel riutilizzo di questi beni confiscati.
E’ la fotografia che emerge dal lavoro svolto dalla Commissione antimafia regionale, e oggi pomeriggio il presidente della Commissione, on. Claudio Fava, ha presentato ai giornalisti la relazione, carica di aspetti oscuri ma anche carica di proposte utili a far partire un sistema di riutilizzo.
Siamo ancora all’anno zero, il sistema non è mai davvero partito, per tutta una serie di deficienze e difficoltà. Le prime e più importanti investono l’Agenzia Nazionale dei Beni Confiscati, ma vi sono anche responsabilità che appartengono agli enti locali, a quei Comuni che hanno avuto affidati i beni ma che li tengono quasi nascosti.
Proprio su questo aspetto da domani mattina Alqamah vi proporrà una serie di reportage che affrontano il problema, un lavoro di inchiesta giornalistica firmato dal bravo collega Emanuel Butticè. Ma veniamo alla conferenza stampa di oggi del presidente Fava che ha descritto la situazione come “preoccupante”.
La Commissione regionale antimafia che ha svolto numerose audizioni, magistrati, giudici, amministratori giudiziari, imprenditori e presidenti di società cooperative – tra questi i vertici della trapanese Calcestruzzi Ericina Libera -, giornalisti, professionisti e docenti universitari, come la bolognese professoressa Stefania Pellegrini che da qualche anno dirige proprio una scuola di specializzazione e master universitario dedicata alla gestione dei beni confiscati, ha raccolto un quadro sconfortante. Sembra che ciò che dovrebbe appartenere alla storia, invece resta di tremenda attualità, ci riferiamo ai dati raccolti che dimostrano come in molti casi soggetti colpiti da confisca continuano a detenere i beni loro sottratti, tutto è rimasto scritto solo sulla carta.
Sono 780 le aziende confiscate, di queste solo 30 sono attive, oltre 400 aziende sono state assegnate e di queste soltanto 11 non sono state liquidate, così per fornire alcuni numeri. “Il restart – ha detto Fava – non c’è stato, sono andati smarriti nel tempo progetti interessanti come quelli che puntavano a mettere in rete le aziende confiscate”. E’ accaduto che lo “shock” non è stato causato dalla confisca ma semmai dal cercare di far rimettere nel circuito della legalità queste imprese, “quando semmai – ha sottolineato Fava – il circuito della legalità non avrebbe dovuto provocare scintille ma semmai aiutare queste imprese a ritornare produttive”.
Sotto accusa è finita l’Agenzia dei Beni Confiscati (Anbsc), ma anche le istituzioni locali.
Caso clamoroso quello del Consorzio per la legalità di Trapani al quale nessuno dei Comuni partecipanti ha mai affidato beni confiscati per il riuso: “in questo caso – ha proseguito Fava – i Comuni si sono limitati a sottoscrivere un patto come se si trattasse di un viatico per il paradiso, senza però far nulla”. Il Consorzio per la Legalità di Trapani è finito invece più volte nell’occhio del ciclone per via di alcuni suoi presidenti in un caso arrestato, l’allora sindaco di Calatafimi Nicolò Ferrara, in altri due raggiunti da informazioni di garanzia, i sindaci di Castellammare del Golfo e Paceco, Nicola Rizzo e Giuseppe Scarcella, per reati gravi come quello della corruzione (Ferrara) e favoreggiamento a soggetti mafiosi (Rizzo e Scarcella).
La Commissione regionale antimafia proporrà iniziative legislative ai Parlamenti nazionale e regionale: dall’istituzione di un Fondo unico di sostegno alla costituzione di un Osservatorio regionale che serva da effettiva cabina di regia, dall’obbligatorietà dei tavoli provinciali permanenti per sostenere le imprese confiscate a interventi concreti sul credito bancario, a una diversa gestione del FUG. “La Commissione si farà carico nei prossimi giorni di approntare un disegno di legge regionale per l’aula e di proporre una legge voto per il Parlamento per intervenire in modo concreto su alcune norme del codice antimafia” ha ancora detto il presidente Fava.
La relazione dà ampio spazio alla provincia trapanese non dimenticando di citare il lavoro svolto dal prefetto Fulvio Sodano trasferito nel 2003 da Trapani ad Agrigento mentre cercava di salvaguardare dal fallimento aziende confiscate alla mafia e lavorava per spossessare i mafiosi dei loro possedimenti colpiti da confisca. “Contro la sua azione – ha ricordato Fava – si mosse una vera e propria crociata…il circuito della legalità che lui aveva attivato suscitava più fastidi che consensi”. Ed oggi sembra che non solo nel trapanese ma in tutta la Sicilia si resti fermi su questo punto.
“Il rischio è che lo Stato, e con lui l’intera comunità nazionale, perda la sfida lanciata alla mafia da Pio La Torre e Virginio Rognoni con la legge che porta il loro nome: i numeri sono impietosi e parlano di un tasso altissimo di mortalità delle aziende confiscate e una percentuale ancora insufficiente di riuso dei beni immobili confiscati”. Ha così ancora detto Claudio Fava. Otto mesi di lavoro e settantuno audizioni hanno portato i commissari dell’antimafia regionale a scrivere che “le testimonianze raccolte, i dati analizzati, gli approfondimenti svolti da questa Commissione non lasciano dubbi: la disciplina sul sequestro e la confisca dei beni alle mafie pretende, subito, un investimento di volontà politica e di determinazione istituzionale che fino a ora non c’è stato. Insomma, un sistema da ripensare”.
Dito puntato come dicevamo contro l’Anbsc: “È assente un approccio manageriale da parte dell’Agenzia il cui restart, annunciato dal precedente direttore, il prefetto Frattasi, è rimasto per molti aspetti solo sulla carta. Poca sinergia istituzionale fra i soggetti (Agenzia, coadiutori giudiziari, enti locali, prefetture, tribunali…). Manca un reale sistema di sostegno delle imprese confiscate, spesso disarmate di fronte ai sabotaggi del mercato e al ritorno di fiamma di Cosa nostra. Troppi i beni immobili che risultano ancora occupati da coloro a cui erano stati confiscati: per lo Stato e per la società civile, danno e beffa insieme. Grave, poi, che il vulnus emerga spesso solo grazie alla volenterosa attività di monitoraggio svolta da alcune associazioni del terzo settore”.
“La gestione dei beni confiscati alla criminalità in Sicilia è da rivedere. Subito proposte per migliorare il sistema”. A dichiararlo sono stati i deputati del Movimento 5 Stelle all’Ars Roberta Schillaci e Antonio De Luca, componenti della Commissione regionale Antimafia che hanno messo nero su bianco nella relazione sui beni sequestrati e confiscati alla criminalità mafiosa in Sicilia appena presentata. La deputata Schillaci ha proposto “il potenziamento del personale per la sede siciliana dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata ovvero l’Anbsc, verifiche intermedie sull’attività degli amministratori giudiziari, il divieto di cumulo di incarichi riferiti all’intero Tribunale e non più alla sola Sezione Misure di Prevenzione e ancora l’accesso al credito agevolato per le imprese che intraprendono percorsi di legalità e un ottimale riutilizzo dei beni. Per questa ragione abbiamo proposto al Prefetto Bruno Corda, direttore dell’Anbsc, di potenziare la sede siciliana con nuovo personale incrementando il numero e la professionalità. Servono inoltre protocolli con le Regione e gli enti territoriali per contrastare il fenomeno dell’occupazione abusiva degli immobili spesso ad opera della criminalità organizzata, un vero e proprio sistema di valutazione anche con bollino rosso per gli amministratori che sbagliano, commettono reati e si macchiano di comportamenti eticamente riprovevoli e ancora la creazione di una vera e propria ‘Rete della Legalità’ costituita da altre aziende che assicurano rapporti commerciali con le imprese in bonis assicurando loro supporto nella fornitura di servizi essenziali e logistica e un indennizzo per gli imprenditori che al termine della confisca ricevono indietro i propri distrutti dall’incapacità degli amministratori giudiziari. Prossimo step – ha concluso Schillaci – è un intervento normativo regionale volto al miglioramento del sistema”.
“Occorre investire – ha spiegato a sua volta Antonio De Luca – sulle campagne di sensibilizzazione sulle misure previste dalla normativa nazionale in tema di beni confiscati ed eliminare i requisiti che scoraggiano l’accesso alle agevolazioni finanziarie statali dato che 7,7 milioni di euro riservati alla sola Regione Siciliana sono fermi nelle casse pubbliche. La questione dei beni confiscati dovrebbe essere una assoluta priorità del Governo regionale, soprattutto per quanto riguarda il sostegno agli enti locali assegnatari e la previsione di specifiche misure a tutela delle aziende confiscate. Ad oggi infatti la Regione ha dimostrato di non aver elaborato alcun tipo di strategia, con gravi effetti economici, sociali ed etici. La Regione preveda inoltre contributi economici per togliere gli ostacoli che impediscono il riutilizzo a fini sociali dei beni confiscati e il riconoscimento di premialità ai migliori progetti di riutilizzo dei beni immobili e delle aziende confiscate, in particolare di quelle agricole” ha concluso De Luca.
Durante la conferenza stampa il presidente della Commissione Claudio Fava ha confermato l’intenzione della Commissione di svolgere una missione a Trapani, dove “l’agibilità politica è compromessa da gravi forme di illiceità”. Che poi non è altro che il substrato sul quale crescono forme gravi di intrecci tra politica, mafia e massoneria, di mezzo anche una pubblica amministrazione che spesso provoca quei corto circuiti che bloccano il riuso dei beni confiscati. E questo talvolta sotto l’occhio di Istituzioni impotenti in certi casi anche per mancanza di adeguati sostegni legislativi.
Fonte: Alqamah.it
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