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Draghi: «Contrastare le mafie rinsalda la fibra sociale e toglie freno all’economia»

Redazione il . Economia, Istituzioni, Lombardia, Mafie

Sono giornate di fibrillazione e di attesa per il Paese, alle prese con un’emergenza sanitaria ed economica senza precedenti.

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella di fronte allo stallo delle istituzioni parlamentari ha conferito l’incarico di formare un nuovo esecutivo al Prof. Mario Draghi, già Governatore della Banca d’Italia e della BCE. In queste giornate di consultazioni con i partiti e le parti sociali, diversi temi sono finiti sotto i riflettori.

Non sembra, almeno stando alle conferenze stampa e ai resoconti giornalistici, che sia stata affrontata la questione della presa delle mafie sul sistema economico e sociale del Paese. Eppure l’ipoteca mafiosa grava da tempo immemore sullo sviluppo dell’Italia, uccidendo servitori dello Stato e vittime innocenti, drenando risorse economiche, distruggendo ecosistemi, con ripetuti atti di violenza a persone e comunità. Eppure non passa giorno che non si registrino importanti operazioni antimafia delle forze dell’ordine coordinate dalla magistratura da un capo all’altro della penisola ed importanti sequestri di beni ad imprenditori collusi con le cosche. Fatte le debite eccezioni, però, tv e giornali non dedicano spazio alle questioni di mafia e corruzione, nascondendosi dietro l’alibi della audience.

Per cercare di colmare questa lacuna allora Libera Informazione propone ai suoi lettori uno straordinario documento, l’importante relazione che Mario Draghi presentò nel corso di un’affollata iniziativa promossa da Libera e dalle Università di Milano nel marzo del 2011.

Sono passati quasi dieci anni ma l’intervento pronunciato dall’allora Governatore della Banca d’Italia resta un monito ancora oggi straordinariamente attuale sulla perniciosa sottovalutazione del pericolo che le mafie rappresentano per il corretto svolgimento della vita del nostro Paese e non solo.

«Contrastare le mafie, la presa che esse conservano al Sud, l’infiltrazione che tentano nel Nord, serve a rinsaldare la fibra sociale del Paese ma anche a togliere uno dei freni che rallentano il cammino della nostra economia»: con queste parole il Governatore Draghi dimostrò allora di aver ben chiara la direzione da prendere per eliminare le illegalità e le disuguaglianze all’ombra delle quali le mafie erano proliferate nel corso di decenni.

Nel caso di una positiva soluzione della crisi in atto con il varo di un esecutivo guidato da Mario Draghi, confidiamo nel fatto che la consapevolezza di allora sappia e possa trasformarsi in azione di governo. (lf)

 


Le mafie a Milano e nel Nord: aspetti sociali ed economici

Intervento del Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi

 

La criminalità organizzata può sfibrare il tessuto di una società; può mettere a repentaglio la democrazia, frenarla dove debba ancora consolidarsi.

Nel nostro Mezzogiorno, le organizzazioni di stampo mafioso spiccano per longevità storica, radicamento territoriale, capillarità.

La diffusione della criminalità organizzata sul territorio italiano

Le denunce per associazione a delinquere di stampo mafioso sono concentrate nelle tre regioni meridionali in cui il fenomeno è più antico: Sicilia, Campania e Calabria. Puglia e Basilicata hanno conosciuto una espansione della criminalità organizzata in tempi più recenti.

Questo tipo di criminalità si manifesta, in primo luogo, in un alto numero di omicidi: nella media del periodo 2000-2008, 3,6 casi l’anno ogni 100.000 abitanti in Calabria, 2,4 in Campania, 1,4 in Sicilia; la media italiana era 1,2, non dissimile da quella degli altri principali paesi europei.

Tipici della criminalità mafiosa sono reati come le estorsioni e i rapimenti: particolarmente complessi e rischiosi, essi richiedono la collaborazione di molti individui. Questi crimini infliggono alla collettività danni economici e sociali ben maggiori che nel caso di reati più semplici, come i furti. Danni non meno gravi sono causati dai reati contro la pubblica amministrazione: quando le organizzazioni criminali hanno radici profonde nel territorio, la relazione tra chi appalta lavori pubblici e chi li esegue, intermediata dalle mafie, tende a corrompersi cronicamente.

Ma anche altre regioni d’Italia non possono più considerarsi immuni dal virus mafioso. Le opportunità connesse con il maggior sviluppo economico e finanziario del Centro Nord inevitabilmente attraggono l’interesse delle cosche. Già nel 1994 la Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia (Commissione Antimafia) certificava l’esistenza di “una vastissima ramificazione di forme varie di criminalità organizzata di tipo mafioso, praticamente in tutte le regioni d’Italia”[1].

Va subito osservato come nel Centro Nord i crimini che destano maggior allarme sociale, in primis gli omicidi, siano meno numerosi che al Sud. Il controllo esteso e violento del territorio da parte delle organizzazioni criminali è impedito in quelle comunità da un rigetto generalizzato del costume mafioso.

Le infiltrazioni nel sistema economico e finanziario sono tuttavia insidiose. Esse sono documentate, tra l’altro, dai dati sulle denunce per riciclaggio di capitali illeciti e per usura, reati più “silenziosi” e tuttavia spesso riconducibili a sodalizi criminali di stampo mafioso.

In Lombardia l’infiltrazione delle cosche avanza, come ha recentemente avvertito la Direzione nazionale antimafia. Le denunce per associazione a delinquere di stampo mafioso si sono concentrate fra il 2004 e il 2009 per quattro quinti nelle province di Milano, Bergamo e Brescia.

In quello stesso periodo più dell’80 per cento delle denunce per associazione mafiosa in Lombardia ha riguardato individui provenienti da Sicilia, Calabria, Campania, confermando che al Centro Nord la presenza mafiosa rimane un fenomeno d’importazione. Tuttavia la criminalità locale appare coinvolta in molti reati pure tipicamente riconducibili al crimine organizzato di stampo mafioso, come l’usura, il riciclaggio e le estorsioni: ne emerge una preoccupante saldatura con le mafie tradizionali.

I costi economici della criminalità organizzata

Se gli effetti sociali e politici del crimine organizzato sono riconosciuti e studiati, quelli economici lo sono meno. Ma non sono meno pericolosi. Fra i primi a individuare e a misurare i costi del crimine per una economia fu Gary Becker negli anni Sessanta, con studi che concorsero a valergli il premio Nobel[2].

I costi delle attività delittuose per la collettività, che si aggiungono ai danni inflitti alle singole vittime, s’innalzano a dismisura se il crimine è organizzato. Ad esempio, le estorsioni, oltre a sottrarre direttamente risorse agli imprenditori assoggettati al racket, disincentivano gli investimenti nella economia locale.

In una economia infiltrata dalle mafie la concorrenza viene distorta, per molte vie: un commerciante vittima del racket può finire con il considerare il “pizzo” come il compenso per un servizio di protezione contro la concorrenza nel suo quartiere; il riciclaggio nell’economia legale di proventi criminali impone uno svantaggio competitivo alle imprese che non usufruiscono di questa fonte di denaro a basso costo; i legami corruttivi tra associazioni criminali e pubblica amministrazione condizionano la fornitura di beni e servizi pubblici.

Un nostro studio ha documentato come nelle economie a forte presenza criminale le imprese pagano più caro il credito[3]; in quelle aree è più rovinosa la distruzione di capitale sociale dovuta all’inquinamento della politica locale; i giovani emigrano di più; tra di essi, quasi un terzo è costituito da laureati che si spostano al Nord in cerca di migliori prospettive. Quest’ultimo fenomeno è particolarmente doloroso: l’inquinamento mafioso piega le speranze dei giovani onesti e istruiti, che potrebbero migliorare le comunità che li generano e invece decidono di non avere altra strada che partire.

Tutti questi costi frenano lo sviluppo economico dei territori coinvolti, dell’intero Paese. A indicarlo c’è innanzitutto una semplice constatazione: il Mezzogiorno, in cui è maggiore la presenza della criminalità organizzata, è anche l’area italiana dal prodotto pro capite più basso. Tuttavia questa correlazione non basta a provare l’assunto: i fattori che influenzano negativamente lo sviluppo economico al Sud possono essere tanti e interconnessi[4].

Per isolare l’effetto della presenza mafiosa sulla crescita economica da quello di ogni altra causa, abbiamo condotto in Banca d’Italia, su sollecitazione della Commissione Antimafia, un’analisi intorno alle due regioni meridionali oggetto di più recente infiltrazione da parte della criminalità organizzata, la Puglia e la Basilicata; si è confrontato lo sviluppo economico in queste due regioni nei decenni precedenti e successivi al diffondersi del contagio mafioso, avvenuto verso la fine degli anni ’70, con quello di un gruppo di regioni del Centro Nord che avevano simili condizioni socio-economiche iniziali[5].

I risultati empirici mostrano che, in concomitanza con il contagio, Puglia e Basilicata sono passate da una crescita del prodotto pro capite che era più rapida di quella del gruppo di regioni inizialmente simili a una più lenta:  nell’arco di trenta anni, all’insorgere della criminalità organizzata sarebbe attribuibile una perdita di PIL di 20 punti percentuali, essenzialmente per minori investimenti privati.

Il ruolo dell’UIF

L’azione di contrasto alla criminalità viene svolta innanzitutto dalle forze dell’ordine e dalla magistratura inquirente. I successi non sono mancati, neanche in passato, a volte con il sacrificio della vita di alcuni eroi.

Il riciclaggio di denaro proveniente da attività criminali è uno dei più insidiosi canali di contaminazione fra il lecito e l’illecito. Per i criminali è un passaggio essenziale, senza il quale il potere d’acquisto ottenuto con il crimine resterebbe solo potenziale, utilizzabile all’interno del circuito illegale ma incapace di tradursi in potere economico vero.

Il riciclaggio ha una dimensione internazionale. I criminali profittano della globalizzazione dell’economia e della integrazione dei mercati finanziari. L’innovazione finanziaria, la tecnologia, li aiutano, favorendo la stratificazione dei trasferimenti di fondi, la dissimulazione di chi li ordina. Per contrastare questo fenomeno non c’è che la cooperazione internazionale.

In Italia le banche, gli altri intermediari finanziari e i professionisti (avvocati, notai, ecc.) sono obbligati dalla legge a segnalare ogni operazione sospetta alla Unità di Informazione Finanziaria (UIF), una struttura costituita presso la Banca d’Italia nel 2008 per prevenire e combattere il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo, in cooperazione con le autorità di supervisione (Vigilanza della Banca d’Italia, ISVAP, Consob), con gli organi investigativi e con le Procure.

Intermediari e professionisti, per individuare le transazioni sospette, possono avvalersi di “indicatori di anomalie” messi a disposizione dall’UIF; soprattutto, devono conoscere bene i loro clienti, assicurarsi che le operazioni siano tracciabili.

Nei casi più semplici o ricorrenti le segnalazioni vengono rapidamente trasmesse agli organi investigativi; nei casi più complessi vengono svolte verifiche anche in loco e consultazioni con altre autorità, italiane ed estere. Se emerge una notizia di reato, si procede alla denuncia secondo le modalità prescritte dal codice di procedura penale. L’UIF può anche sospendere le operazioni oggetto di segnalazione.

Una banca che si ritrovi coinvolta, pur inconsapevolmente, in vicende criminali è esposta a rischi di contenzioso legale e, soprattutto, di perdita di reputazione, che ne possono anche minare la stabilità. La Banca d’Italia utilizza tutte le leve a sua disposizione per valutare e stimolare la capacità delle banche di essere vigili sul fronte del contrasto al riciclaggio. Ho più volte ricordato quanto sia fondamentale per il loro buon nome che esse mantengano salde difese interne contro il rischio di farsi strumento di riciclaggio; ogni euro speso per rafforzarle è ben speso.

Il sistema finanziario italiano si sta gradualmente conformando alla disciplina antiriciclaggio: siamo passati da 12.500 segnalazioni nel 2007 a 37.000 lo scorso anno, con una dinamica in accelerazione. Professionisti e altri operatori sono meno solerti: i potenziali segnalanti sarebbero diverse centinaia di migliaia, ma nel 2010 sono pervenute solo 223 segnalazioni.

La distribuzione territoriale delle operazioni segnalate come sospette è correlata con i livelli di reddito: in Lombardia, da cui origina il 20 per cento del PIL italiano, si concentra un’analoga quota di segnalazioni di sospetto riciclaggio. Anche tenendo conto di ciò, il numero di segnalazioni provenienti da alcune aree di tradizionale insediamento mafioso appare sorprendentemente piccolo: in Sicilia, Campania e Calabria si registrano, rispettivamente, il 33, 27 e 16 per cento delle denunce per associazione mafiosa, ma solo il 6, 12 e 2 per cento delle segnalazioni di sospetto riciclaggio; è possibile che i soggetti potenzialmente segnalanti subiscano in quelle aree una particolare pressione ambientale.

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L’economia italiana soffre da tempo, lo sappiamo, di una inibizione a crescere. Le cause sono molteplici, hanno natura diversa, s’intrecciano fra loro. Ne discutiamo da anni. La Banca d’Italia ha offerto sul tema numerosi contributi di analisi e di proposta, altri stiamo per offrirne. Fra i fattori inibenti vi è anche l’infiltrazione mafiosa nella struttura produttiva, che è aumentata negli ultimi decenni, almeno nella sua diffusione territoriale.

La crisi che abbiamo vissuto nei passati tre anni non ha certo migliorato le cose: non poche imprese, che hanno visto drammaticamente ridursi i flussi di cassa e il valore di mercato, sono divenute più facilmente aggredibili dalla criminalità.

Il prezzo che una società paga quando è contaminata dal crimine organizzato, in termini di peggiore convivenza civile e mancato sviluppo economico, è alto. Contrastare le mafie, la presa che esse conservano al Sud, l’infiltrazione che tentano nel Nord, serve a rinsaldare la fibra sociale del Paese ma anche a togliere uno dei freni che rallentano il cammino della nostra economia.

Manifestazioni come questa sono di grande aiuto nel tenere desta l’attenzione pubblica sui rischi che si corrono, nel nutrirvi i necessari anticorpi: quell’avversione condivisa alla sottocultura mafiosa che può davvero sconfiggerla.

Milano, 11 marzo 2011

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Note

[1] Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali similari, Relazione su: insediamenti e infiltrazioni di soggetti ed organizzazioni di tipo mafioso in aree non tradizionali. Roma, 17 dicembre 1993.

[2] Gary S. Becker, 1968, “Crime and Punishment: An Economic Approach,” Journal of Political Economy, University of Chicago Press, vol. 76, pages 169-217.

[3] Emilia Bonaccorsi di Patti, 2009, “Weak institutions and credit availability: the impact of crime on bank loans,” Questioni di Economia e Finanza (Occasional Papers), 52, Banca d’Italia.

[4]  Un’analisi recente e approfondita dei modi in cui la criminalità organizzata può influenzare gli andamenti economici nel Mezzogiorno è contenuta nel Rapporto “Alleanze nell’ombra. Mafie ed economie locali in Sicilia e nel Mezzogiorno” a cura della Fondazione RES, presieduta da Carlo Trigilia, www.resricerche.it.

[5] Paolo Pinotti, 2010, I costi economici della criminalità organizzata, www.parlamento.it

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Mario Draghi Mafie a Milano e al Nord MI_11_03_2011

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