Narcotraffico: affari di “famiglie”
Negli “affari” del narcotraffico stanno dandosi un gran da fare anche interi nuclei familiari che, così, riescono a garantirsi consistenti entrate di denaro.
Abbiamo accennato, nei giorni scorsi, ad una famiglia (tutti arrestati dagli agenti del Commissariato Casilino) che a Tor Bella Monaca (Roma), con lo spaccio di stupefacenti incamerava, mediamente, circa trenta mila euro al mese. In realtà, sono molte le “famiglie” di spacciatori finite in manette anche di recente e tra queste si segnalano l’operazione della Squadra Mobile di Varese che ha portato all’arresto di nove persone (tra cui alcuni minorenni e tre donne), tutte componenti di tre distinte famiglie e quella dei carabinieri e dei poliziotti di Frosinone che, in un’operazione congiunta, hanno messo le manette a madre e figlio sequestrando un chilogrammo di cocaina nell’abitazione.
Se questo allargamento nello scenario di spacciatori può destare qualche perplessità non può non lasciare sgomenti la vicenda di un bambino di appena dieci anni che nel Savonese è stato trovato, a scuola, con alcuni grammi di hashish che mostrava ai compagni di classe. La polizia, i servizi sociali (prontamente interessati dalla direzione della scuola) cercheranno di capire quale sia la situazione familiare del bambino che, peraltro, già aveva annotato diverse assenze dalla scuola elementare.
Il narcotraffico è, da molti anni ormai, un serissimo problema di criminalità, di inquinamento dell’economia legale attraverso gli ingenti capitali illeciti che vengono riciclati, di salute pubblica, ma nonostante ciò non è ancora annotato nell’agenda politica nazionale come la priorità.
Certo ci sono iniziative a livello di Polizia anche meritevoli di attenzione come è il caso del recente progetto “Rotta del Sud” promosso dalla DCSA (Direzione Centrale per i Servizi Antidroga- Dipartimento della Pubblica Sicurezza) nel contesto dell’Accordo di collaborazione Icarus con il Dipartimento delle Politiche Antidroga della Presidenza dl Consiglio dei Ministri, per cercare di contrastare i flussi dell’eroina afgana attraverso “un più intenso scambio di informazioni e buone prassi con le Forze di polizia dei Paesi dell’Africa sud orientale (Kenya, Madagascar, Mauritius, Somalia, Sud Africa, Tanzania, Uganda).
Ma queste “alleanze” con le forze di polizia sono state sempre estremamente labili e, temo, che servirà a ben poco anche quest’ultima in fase di progettazione. Lo scambio di dati e informazioni, la loro analisi, sicuramente momenti importanti nell’azione di polizia è stata spesso ostacolata dalle gelosie degli apparati dei singoli Stati come lo fu, un quarto di secolo fa, lo stimolante progetto di Teledrug avviato dalla DCSA (naufragato poco tempo dopo) per acquisire dati in un sistema elettronico dai Paesi della rotta balcanica (pochi inserivano i dati utili) interessati dai transiti di eroina.
Se si volesse, realmente, contrastare il traffico dell’eroina si sarebbe potuto continuare quell’azione intrapresa molti anni fa dall’allora Pino Arlacchi, segretario, dal 1997 al 2002, dell’UNODC (l’ufficio delle Nazioni Unite per il controllo delle droghe), con un’azione diffusa in Afghanistan di eradicazione delle piantagioni di papavero che aveva portato ad una drastica riduzione della loro estensione poi ripresa grazie a complicità politiche di alcuni esponenti del governo centrale e al predominio delle varie “famiglie” dei Talebani che ancora oggi controllano la produzione dell’eroina.
La verità è che in nessun Paese c’è la decisa volontà di debellare la produzione e il traffico degli stupefacenti per il semplice motivo che il contraccolpo che subirebbero le singole economie sarebbe dalle conseguenze mortali.
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2021: il contrasto al narcotraffico (aspettando i dati DCSA)
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