Piersanti Mattarella, 41 anni di omertà, ma pure di antimafia
Ombre e luci. Cosche, servizi e politica: molti i misteri, ma il Paese ora combatte Cosa nostra.
Era appena uscito di casa e si stava accingendo ad andare a Messa, quando una solitaria e silenziosa mano assassina di un uomo con gli occhi di ghiaccio si avvicinò al finestrino della Fiat 132 e iniziò a fare fuoco verso il guidatore, con una Colt Cobra calibro 38 Special. La moglie Irma Chiazzese, al suo fianco, tentò di proteggerlo, rimanendo ferita di striscio a un mano. Nei sedili posteriori la madre e la figlia rimasero impietrite.
Morì così mezz’ora dopo, in ospedale, la domenica dell’Epifania del 1980, il presidente della regione siciliana Piersanti Mattarella, l’astro nascente della Democrazia Cristiana, che aveva cercato, percorrendo la via dell’intransigenza, di moralizzare, di rendere trasparente la gestione della vita politica in Sicilia e di aprire al partito comunista il governo dell’isola, sulla scia di quanto aveva fatto Aldo Moro su scala nazionale, a sua volta rapito a Roma due anni prima, il 16 marzo 1978, per essere ucciso il 9 maggio 1978.
Mattarella si era impegnato per sgretolare il sistema di potere politico-mafioso e il vasto raggio delle complicità, che si irradiava sulla gestione degli appalti regionali per le opere pubbliche, che aveva in Salvo Lima e in Vito Ciancimino i massimi garanti. Prima di morire, aveva ordinato un’ispezione (che aveva affidato al ligio funzionario, Raimondo Mignosi) al Comune di Palermo e su appalti di sei scuole comunali, aggiudicati al gruppo Spatola-Gambino–Inzerillo. Pochi mesi prima di essere trucidato, aveva rappresentato al Ministro dell’Interno Virginio Rognoni il proposito di far pulizia, come ci ricordano gli appunti del diario del giudice istruttore Rocco Chinnici.
Erano gli anni in cui i politici, che trescavano disinvoltamente con i mafiosi, erano convinti di appartenere a una classe di intoccabili. E un uomo come Mattarella, a Palermo, quando il nostro Paese era privo di una qualsiasi legislazione antimafia, aveva il destino segnato e vedeva avvicinarsi la morte giorno dopo giorno perché, con il suo agire, stava minando equilibri, che avevano resistito all’usura del tempo. La sua ascesa andava fermata e occorreva lanciare un segnale forte a quella parte della classe dirigente che aveva in animo di liberare la Sicilia dal giogo del sistema di potere mafioso.
Quarantuno anni dopo la sua morte, quel delitto continua a essere avvolto da una cortina di ferro. Non conosciamo, infatti, il nome dell’esecutore materiale e dei registi occulti. Quel che è certo è che la via Libertà, dove Mattarella veniva assassinato, rientra nel territorio del mandamento di Resuttana, governato da Francesco Madonia, che alcuni collaboratori di giustizia hanno accreditato di legami con esponenti dei servizi segreti.
Un processo è stato celebrato e le condanne si sono riversate sull’ala criminale di cosa nostra. Sono stati riconosciuti colpevoli, in via definitiva, quali mandanti, gli appartenenti alla cupola (Salvatore Riina, Francesco Madonia e soci). Come assassini di Mattarella per anni furono indicati due neofascisti, Gilberto Cavallini e Valerio Fioravanti. Una pista nera, che portò Giovanni Falcone a emettere nei loro confronti mandati di cattura per omicidio e favoreggiamento. Si sospettò che avessero agito su espressa richiesta di Pippo Calò. Una pista che non trovò conferme.
Permangono segreti rimasti non adeguatamente esplorati. Gli interrogativi – volti a scoprire se vi sia stato un interesse della politica collaterale a quello di cosa nostra nella pianificazione del crimine – sono rimasti senza risposta. Le complesse motivazioni che sono sottese alla sua ideazione lo caricano di significati politici, che trascendono dalle finalità tipiche di un’organizzazione criminale.
Da quell’assassinio molte cose sono cambiate nel Paese. Una lunga scia di sangue di servitori dello Stato ed eventi stragisti hanno preceduto la celebrazione di grandi processi contro le cosche e atti d’accusa verso le complicità politiche, è stata varata una efficace legislazione antimafia, si è formata una coscienza antimafia in molti e oggi il fratello della vittima riveste la più alta carica dello Stato.
È rimasta, però, cosa nostra, l’omertà, il reticolo delle sue relazioni esterne, politico-affaristiche, e le infiltrazioni nella vita pubblica, ma anche il valore della moralizzazione e quella voglia di novità in politica, volute da Piersanti Mattarella e l’esempio della sua netta e coraggiosa presa di posizione che costituisce una lezione di civiltà e di democrazia per le classi dirigenti del Paese.
* Procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica di Firenze
Fonte: Il Fatto Quotidiano, 07/01/2021
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