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La Costituzione gode di ottima salute, ma occorre ancora pienamente attuarla!

Roberto Conti * il . Giustizia, Istituzioni, Società

carlassareIl 27 dicembre 1947 veniva promulgata la Costituzione della Repubblica italiana. A pochi giorni da quella ricorrenza abbiamo avuto l’onore di intervistare la Professoressa Lorenza Carlassare. Risposte immediate, nette, a volte lapidarie che descrivono alcuni dei tratti della vastissima attività svolta dalla studiosa e docente accademica nelle Università, ma anche nella vita politica del nostro Paese.

Esse scolpiscono lo stato di salute della Carta costituzionale, il suo ruolo nei momenti emergenziali, il ruolo dei suoi interpreti, dell’interpretazione costituzionalmente orientata e della coscienza sociale nel processo di emersione dei diritti fondamentali, le evoluzioni anche recenti manifestatesi  sulle tecniche decisorie  nel giudizio di costituzionalità.

Nel quadro confortante tracciato dalla Carlassare non manca, comunque, l’invito a rendere sempre più chiara, anche alle giovani generazioni, l’importanza della Costituzione, a spiegarne in modo accessibile i contenuti e le matrici ideologiche, a proseguire l’impegno, a più di settant’anni dalla promulgazione della Costituzione, verso la piena attuazione dei valori più significativi (dignità della persona, cultura, ambiente, eguaglianza e solidarietà), solo in tal modo potendosi contrastare l’avanzata  dei falsi  idoli del  profitto, del mercato e dei suoi “valori”.

Non resta che ricordare la “invincibile contrarietà a ricoprire  posizioni di potere” che anche in questa occasione Lorenza Carlassare ha inteso sottolineare come uno dei tratti significativi della sua esperienza professionale, monito ed esempio illuminato per le generazioni presenti e future.
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Professoressa Carlassare, prima donna a ricoprire una cattedra di diritto costituzionale in Italia. Ne avvertì l’eccezionalità? Il suo essere donna crede abbia inciso in qualche maniera sul suo percorso professionale? E se sì in termini positivi o negativi? E oggi la dimensione di genere nel suo mondo in che termini si può declinare? 

Il fatto che, nella metà degli anni settanta, io sia stata la prima donna a ricoprire una cattedra di diritto costituzionale ben dimostra l’arretratezza e la chiusura del mondo accademico. Fu, allora, un fatto eccezionale e isolato. Infatti, poi, prima che altre donne si aggiungessero a me dovettero passare ancora molti anni durante i quali rimasi sola in un mondo esclusivamente maschile. Un mondo nel quale, in verità, mi trovavo abbastanza bene: come studiosa ero apprezzata dai colleghi con i quali ho sempre avuto rapporti cordialissimi di reciproca stima e spesso di vera amicizia. Sembra un paradosso: evidentemente l’arretratezza non era nei singoli studiosi, ma nei meccanismi del mondo accademico di allora. Essere donna ha inciso negativamente e in maniera fortissima sul mio percorso: ho vinto il concorso a cattedra con un ritardo di almeno un decennio rispetto ai colleghi! Nell’imbarazzo generale per l’anomala situazione, solo Giuseppe Ferrari, illustre studioso e giudice costituzionale, ebbe la sincerità di  esporre chiaramente la ragione per cui nonostante la stima generale ero lasciata indietro: il mio ingresso avrebbe rotto un argine che reggeva da secoli, con quali conseguenze? Le conseguenza non furono immediate, però alla fine arrivarono: dopo un certo tempo il numero delle costituzionaliste crebbe velocemente tanto che oggi non sarebbe più possibile dire che nel nostro settore le donne siano discriminate.

I recenti importanti traguardi delle donne nelle istituzioni (la Professoressa Polimeni, prima donna rettrice alla Sapienza, la Prof.ssa Cartabia Presidente della Corte Costituzionale, l’Avvocata Kamala Harris appena nominata Vice Presidente degli Stati Uniti) quali trasformazioni nel funzionamento delle stesse istituzioni hanno comportato e potranno determinare nel prossimo futuro?

Sebbene i traguardi raggiunti dalle donne nelle istituzioni siano notevoli, non si può ancora parlare di parità tranne che in alcuni settori, certamente importanti come la Magistratura non nelle istituzioni politiche dove il cammino non solo è stato lungo e irto di difficoltà, ma rimane incompiuto. Ho scritto molto sul diritto delle donne ad aver una possibilità effettiva di essere elette, contro l’atteggiamento dei partiti che non le inserivano nelle liste escludendole così di fatto dalle sedi della rappresentanza. Parlavo allora di una democrazia dimidiata, difendendo fortemente le leggi emanate per facilitare una reale inclusione. La mia speranza era che la presenza delle donne avrebbe portato a un radicale mutamento della prassi politica, a novità sostanziali, a una maggior attenzione per valori fondamentali quali la pace e la solidarietà sociale. Ma non è stato proprio così: le politiche italiane, a parte qualche significativa eccezione, sembrano in qualche modo essere state assimilate e  contagiate dalle logiche di potere che da sempre dominano i politici.

Lei ha notato dei cambiamenti nell’uso e nel rilievo della Costituzione durante il suo percorso professionale che la vede protagonista della scienza costituzionalistica italiana? 

Il rilievo della Costituzione è sicuramente cresciuto, non tanto nelle istituzioni politiche, ma sicuramente nella coscienza dei cittadini che ne hanno ben compreso il valore concreto per le loro vite, il valore di fonte e baluardo dei loro diritti. Questo crescente rilievo si connette anche all’uso che finalmente i giudici hanno fatto della Costituzione, sia interpretando in senso ad essa maggiormente conforme le leggi che devono applicare in giudizio, sia talora applicando direttamente le norme costituzionali e, più spesso,  rilevando nel corso di un giudizio il contrasto tra i principi costituzionali e la norma legislativa  da applicare e sottoponendo la norma stessa al giudizio della Corte costituzionale, l’unico organo in grado di annullarla. L’importanza decisiva della Corte e delle sue decisioni non ha bisogno di essere sottolineata.

L’insegnamento universitario, il rapporto con gli studenti e con i colleghi, il desiderio di coinvolgere una platea vasta sul ruolo e significato della Costituzione hanno costituito la spinta alla scelta di dedicare una pubblicazione alle Conversazioni sulla Costituzione, preconizzando le aperture recenti della Corte costituzionale alla società civile? Che suggerimento si sentirebbe di dare ai suoi colleghi per rendere sempre viva e vitale agli occhi delle nuove generazioni la nostra Costituzione? Come attirare gli studenti ad una comprensione sempre più approfondita della Costituzione, alla luce della sua pluriennale esperienza maturata nelle aule universitarie?

In Italia, purtroppo, la Costituzione non è sufficientemente conosciuta. Persino persone di buona cultura praticamente la ignorano o ne hanno un’idea assolutamente superficiale. Conoscerla è fondamentale per il corretto funzionamento di un sistema democratico nel quale i cittadini devono partecipare in maniera cosciente. Mi piace ricordare (e lo faccio spesso) quel che diceva Giuseppe Compagnoni alla fine del ’700 nel suo “Elementi di diritto costituzionale democratico”: “L’ignoranza è l’appannaggio del popolo schiavo, la scienza del libero” . E la scienza del popolo libero è prima di tutto quella “dei suoi Diritti, della sua Costituzione, del suo Governo, delle Funzioni de’ suoi Magistrati, delle sue relazioni con gli  altri popoli”.

Cosa fare per interessare le giovani generazioni? Far comprendere loro il valore concreto della Costituzione nei rapporti quotidiani (dalla scuola, alla famiglia, all’ambiente, alla cultura, al lavoro); evocare con forza i principi e i valori della Costituzione non trascurando di collegarli alle ideologie che li hanno generati, alle speranze  che muovono la storia.

Lei è stata fra l’altro co-protagonista di una stagione in cui il Parlamento aveva ritenuto opportuno pensare ad alcune modifiche del sistema costituzionale, partecipando alla commissione dei saggi dalla quale uscì traumaticamente. E di recente ha espresso posizioni nette sulle riforme costituzionali degli ultimi anni. Coma sta, dunque, a suo giudizio, in salute la Costituzione?

Mi sono sempre opposta a modifiche della Costituzione che tendevano a scardinare i principi dello Stato di diritto, in primo luogo la divisione dei poteri, intaccando il delicato sistema di equilibri tra i diversi poteri dello Stato, sacrificando la ‘rappresentanza’ alla cosiddetta ‘governabilità’ concentrando il potere nell’esecutivo. Riforme espressione di una tendenza autoritaria, diretta  anche ad esaltare la figura del ‘Capo’ per farlo diventare il vero  e unico centro del potere. Fortunatamente i cittadini hanno compreso il pericolo che si celava dietro quelle proposte di riforma e, per ben due volte, le hanno bocciate attraverso il referendum. In verità la Costituzione gode di ottima salute, eventualmente possono giovarle piccoli e puntuali ritocchi.

E la Costituzione in tempo di crisi pandemica? Ha dato buona prova di sé? I suoi “giudici naturali” – costituzionali e comuni – che ruolo hanno svolto o potevano – o avrebbero potuto – svolgere rispetto all’alluvionale disciplina dell’emergenza adottata? È mancato, secondo Lei, qualcosa in termini di effettività delle tutele di matrice costituzionale o era prevedibile che il controllo di legalità affidato alla giustizia non avrebbe potuto modificare in modo significativo le scelte di politica adottate in una situazione di emergenza?

L’emergenza porta inevitabilmente con sé condizioni particolari nei rapporti politico-costituzionali e incide principalmente sulle fonti di produzione del diritto. Che in questo periodo l’emergenza ci sia stata e ci sia tuttora, dovrebbe esse chiaro a tutti. Quando l’urgenza preme e si rischia di mettere in pericolo beni essenziali della comunità ritardando l’adozione di misure indispensabili, è chiaro che queste devono essere adottate con gli strumenti più celeri. E’ altrettanto ovvio che, appena le situazioni straordinarie cessano, il sistema deve  immediatamente ritornare ai procedimenti ordinari: a garantirlo stanno i controlli giurisdizionali e ,in primo luogo, il controllo della Corte costituzionale.

La forte compressione che alcuni diritti hanno subito in tempo di Covid 19 è stata realizzata cercando di contemperare, da parte dei decisori politici, il diritto alla salute delle persone, soprattutto di quelle più vulnerabili, con altri valori che, pur ritenuti fondamentali, hanno ceduto il passo, spesso in nome di un (supposto) primato del diritto alla vita ed alla salute. Da costituzionalista come valuta la tenuta delle istituzioni repubblicane rispetto all’uso massiccio dei DPCM (e delle ordinanze adottate in ambito locale) in questo periodo di pandemia?

Il bilanciamento fra principi costituzionali non è soltanto consentito ma è sempre indispensabile anche in periodi assolutamente normali. La giurisprudenza della Corte costituzionale è chiara in proposito.

La crisi pandemica ha, secondo Lei, messo a nudo l’esigenza di un ripensamento generale degli orientamenti giurisprudenziali incentrati sulla protezione dei diritti, magari in nome della vocazione fortemente solidaristica della Costituzione? È quest’ultimo un orientamento che condivide?   

Non vedo una particolare necessità di ripensamento degli orientamenti giurisprudenziali in tema di protezione dei diritti. Tutti i diritti garantiti in Costituzione devono essere tutelati, i  diritti civili e politici, così come i diritti sociali che, certamente, sono stati quelli la cui fruizione non si è  mai effettivamente realizzata: sono infatti diritti che ‘costano’. La Corte costituzionale, negli ultimi tempi (2016 e 2017) si è pronunziata  in modo chiaro e deciso sulla illegittimità di scelte legislative che sacrificano i diritti sociali in nome di esigenze di bilancio in un  sistema come il nostro che ha tra i principi fondamentali la ‘solidarietà’: “È la garanzia  dei diritti incomprimibili a incidere sul bilancio e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione” si legge nella sentenza n. 275 del dicembre 2016.

Un periodo di grosso fermento sta attraversando la giustizia costituzionale. Dalle sentenze-monito alla inusuale tecnica inaugurata nel caso Cappato, risultante da una decisione in due tempi, con il conseguente passaggio dalle “rime obbligate” ai “versi sciolti” (D. Tega). Cosa sta succedendo nella giustizia costituzionale? Rigurgito di riaccentramento della giustizia costituzionale – come si è fatto da molti notare -, l’affermazione di forme dapprima sconosciute di “suprematismo giudiziario” (A. Morrone) o semplicemente di nuove tecniche decisorie volte al più efficace appagamento dei diritti e principi costituzionali (G. Silvestri)?

L’evoluzione della giurisprudenza costituzionale è essenziale per non chiudere il sistema: nuove tecniche decisorie per realizzare più efficacemente diritti e principi costituzionali sono un segno di vitalità.

Veniamo alla Costituzione ed i suoi giudici. Quale bilancio si sentirebbe di stilare dopo più di 70 anni dal varo della Costituzione? Guerra, cooperazione, dialogo o cos’altro?

La Costituzione e i suoi giudici: dopo 70 anni  mi sembra si possa parlare di un bilancio positivo.

Tanto più la Costituzione si apre alla conoscenza di diversi interpreti, quanto più essa mostra il suo carattere plurale, con la conseguenza che sul significato delle disposizioni dedicate ai diritti ed ai principi fondamentali si riscontrano spesso orientamenti fortemente divaricati. Questo indebolisce o rafforza il ruolo della Carta?  

L’esistenza di interpretazioni diverse delle disposizioni costituzionali è normale: solo l’interpretazione autentica (che interpretazione non è perché proviene dal legislatore)  può essere ‘unica’. Non è pensabile il funzionamento di un sistema giuridico senza interpretazione. Senza interpretazione le disposizioni non vivono, non significano nulla. Il pluralismo è sempre vitale. La Corte può avere un ruolo significativo  nel far prevalere l’una o l’altra delle interpretazioni possibili.

Eliminare il termine razza dalla Carta costituzionale le sembra opportuno?

Non mi sembra opportuno eliminare il termine ‘razza’ dal testo costituzionale, anzi lo ritengo pericoloso perché il suo significato si è consolidato e ci consente di comprendere con sufficiente chiarezza cosa la Costituzione vuole vietare. La modifica dell’art.3 mi è sempre sembrata velleitaria e superficiale: lasciamo un vuoto di tutela o cerchiamo un’altra parola da mettere al suo posto? Proprio perché ha assunto nel linguaggio ‘fascista’ un significato terribile e odioso il termine ‘razza’  va lasciata con tutto il  peso di cui l’ha caricato la storia.

Il Presidente emerito della Corte costituzionale Mario Rosario Morelli, in una recente intervista, ha dichiarato che i diritti fondamentali sono anche quelli percepiti come tali nell’evoluzione della coscienza sociale, ricordando che sulla doppia genitorialità omosessuale la Corte costituzionale ha di recente ritenuto che non vi sia ancora nella collettività un idem sentire. Condivide questa impostazione che affida al corpo sociale ed alla “coscienza sociale” un ruolo fondamentale nella selezione dei bisogni fondamentali? Quanto questa prospettiva si coniuga con il canone tradizionale della certezza del diritto?  

Siamo anche qui nel campo dell’interpretazione che – come già dicevo – può evolversi nel tempo anche in relazione all’evoluzione della coscienza sociale. È in una specifica società che le norme devono essere applicate e non possono essere del tutto estranee al contesto storico nel quale sono destinate ad operare: certezza del diritto non può significare immobilità del sistema.

Morte dignitosa e art. 32 Cost. Qual è oggi il  rapporto  fra diritto all’autodeterminazione e salute dopo i noti interventi della Corte costituzionale. E quali sono secondo Lei le prospettive per il legislatore?

L’art. 32 della Costituzione è estremamente chiaro sulla libertà delle cure, l’inesistenza del dovere di curarsi, il diritto a rifiutare i trattamenti sanitari e l’incostituzionalità di una legge che li imponga quando non sia in gioco la salvaguardia dei terzi (“l’interesse della comunità”). La persona, la sua dignità e libertà, sono valori non discutibili, non soltanto perché espressi nell’art. 32, ma  perché costituiscono il nucleo attorno al quale l’intera Costituzione è costruita. E sono valori comuni e condivisi: vale  la pena ricordare le parole di un Papa, Paolo VI ,sul  dovere del medico  di adoperarsi a “calmare la sofferenza invece di prolungare il più a lungo possibile, con qualsiasi mezzo, e a qualunque condizione una vita che non è più pienamente umana e va naturalmente verso la conclusione”. L’autodeterminazione, quando si parla di salute, è la regola : la prospettiva del legislatore non può che essere quella di adeguarsi ai principi.

Essere socia dell’Accademia dei Lincei. Si sente di ricordare il tempo di quello straordinario riconoscimento alla sua professionalità?

Essere socia  dell’Accademia dei Lincei è per me un onore; quando ne ho avuto notizia è stato un grande piacere.

Svegliarsi e sentire che un movimento politico l’aveva indicata come candidata all’elezione a Presidente della Repubblica che sensazioni le ha provocato?   

Nessun piacere invece ho avuto dalla notizia di essere stata indicata come candidata all’elezione a Presidente della Repubblica. Ho chiarito subito che, a parte l’improbabilità della mia elezione, non avrei mai accettato la candidatura. E non soltanto per l’enorme responsabilità che un simile ufficio comporta e la piena coscienza di non essere adatta a ricoprirlo, ma soprattutto per la mia invincibile contrarietà a ricoprire posizioni di potere: anziché soddisfazione, mi da solo fastidio. Tanto è vero che ogni volta in cui, non essendo riuscita  ad evitarle, mi sono trovata in situazioni che sfioravano anche vagamente il potere, mi sono al più presto dimessa.

Cosa possono attendersi le generazioni future dalla Costituzione? Quali valori in essa protetti richiedono, a suo avviso, di essere maggiormente considerati a beneficio delle generazioni future e dell’intera umanità?   

Le generazioni future possono attendersi tutto dalla Costituzione, purché sia davvero attuata, il che dopo oltre settant’anni non è ancora avvenuto. Tra i valori che principalmente contano per una vita migliore  sta certamente al primo posto il rispetto della persona umana, della sua dignità e libertà a prescindere dalla la sua condizione, dai suoi meriti e dai suoi demeriti: anche il detenuto per colpe gravissime è una persona la cui dignità va rispettata. In primo piano sta la cultura senza la quale non si può attuare il principale obiettivo della Costituzione ( art.3,comma 2) “il pieno sviluppo della persona umana”. Cultura  che l’art.9 della Costituzione tutela insieme  al paesaggio – nel suo valore naturale, storico e culturale – e all’ambiente  dalla cui salubrità dipende  la vita  di tutti. L’elenco sarebbe lungo: la massima importanza,  un’importanza determinante, ha l’eguaglianza non solo formale (art.3), che cambierebbe radicalmente la società, ma può essere realizzata soltanto attraverso  l’attuazione dell’altro valore di fondo, la solidarietà (art.2) da porre al primo posto in sostituzione  dell’ idolo orrendo che oggi tutto domina: il profitto, il mercato, i suoi cosiddetti ‘valori’.

Fonte: Giustizia Insieme

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