Tagli all’editoria e riforme chiuse nel cassetto
Pluralismo e giornalismo. Chi chiede la soppressione del contributo pubblico ignora che tale istituto vige anche in altri paesi e affonda le sue radici nello spirito dell’articolo 21 della Costituzione
Quando i «tagli» possono diventare «bavagli». Un titolo che potrebbe simboleggiare la situazione denunciata dalla redazione del manifesto e che è già stata segnalata con la giusta determinazione, su questo giornale, dal segretario della federazione della stampa, Raffaele Lorusso, dal presidente dei garanti di Articolo 21, Vincenzo Vita, e raccolta nell’appello al presidente Conte, lanciato da Articolo21.
L’annunciato taglio al fondo per l’editoria, o comunque il suo mancato rifinanziamento, possono produrre effetti letali per decine e decine di testate edite in forma cooperativa.
Del resto l’allarme è stato confermato, sempre su queste pagine, dal sottosegretario all’editoria Andrea Martella che ha confermato il suo impegno a trovare una soluzione in tempi brevi. E i tempi dovranno essere davvero brevi, perché questi tagli potrebbero, altrimenti, trasformarsi in bavagli, capaci di oscurare le voci delle differenze e delle diversità.
Contrariamente a quanto affermano i sostenitori della soppressione di ogni forma di contributo pubblico, tale istituto vige anche in altri paesi e affonda le sue radici nello spirito delle madri e dei padri costituenti, che hanno voluto l’articolo 21 della Costituzione.
Non casualmente il presidente della repubblica Mattarella, e prima di lui i Presidenti Scalfaro, Ciampi, Napolitano, per citarne solo alcuni, hanno più volte ricordato come il finanziamento pubblico sia stato voluto per consentire alle voci delle minoranze politiche, religiose, civili, linguistiche, di potersi esprimere in modo libero e autonomo dalle pura logica di mercato.
Questa impostazione è stata ribadita in modo, altrettanto forte e autorevole, dalla Corte Costituzionale (qui la sentenza del 2019, ndr).
Se ci sono stati o dovessero esserci abusi, aggiramento delle norme sulle cooperative editoriali, furbizie societarie, spetta alle autorità di garanzia individuarle e denunciarle, come hanno più volte reclamato le stesse cooperative, a cominciare dal manifesto, e dalle organizzazioni dei giornalisti.
Chi reclama la necessità di non sprecare i soldi, e voci di questa natura non mancano dentro il governo, dovrebbe anche spiegare perché mai restano ancora chiuse nei cassetti le riforme a «costo zero».
Oggi il presidente Conte incontrerà i giornalisti per la conferenza stampa di fine anno. Potrebbe spiegare che fine ha fatto la legge sui conflitti di interessi e perché mai si trova il tempo di votare una norma «ad aziendam» per aggirare la sentenza della corte europea su Vivendi-Mediaset e non si trova mai il tempo e la volontà politica per riformulare le normative antitrust e riscrivere la legge Gasparri. Eppure sarebbero riforme a «costo zero».
Sarebbero a «costo zero» anche le norme per contrastare le cosiddette «querele bavaglio» divenute l’arma più usata e insidiosa per colpire chi priva mettere il naso nei territori delle oscurità, dominati da mafie, corruzione e malaffare.
Perché mai si trova il tempo di colpire le cooperative ma non quello per restituire diritti e dignità alle giornaliste e ai giornalisti precari che attendono, dal 2012, l’applicazione della legge sull’equo compenso.
E che dire del tentativo di ridurre l’autonomia dell’Inpgi e che, non a caso, porta il nome di Giovanni Amendola, voluto dalla «vecchia politica» per garantire l’autonomia della professione e sottrarla ai capricci della maggioranza di turno?
Che fine ha fatto l’annunciata legge per liberare la Rai dal controllo dei governi e delle forze politiche?
La combinazione tra i tagli già decisi e i provvedimenti mai deliberati rende il quadro ancora più insidioso e conferma un pregiudizio che dura da anni e ha attraversato governi e maggioranze di diversa natura e colore.
Il sottosegretario Martella ha confermato la sua volontà di intensificare il confronto e di arrivare, entro la fine del 2021, a una nuova legge che tenga conto delle novità emerse in questi decenni e che accompagni il rilancio dell’intero settore.
Chiunque abbia nel cuore la Costituzione non potrà che accogliere il suo invito e partecipare a questo confronto con spirito di leale e intensa partecipazione ma, nel frattempo, è necessario impedire che altre voci scompaiano e che l’articolo 21 della medesima Costituzione possa subire nuove e devastanti ferite.
«La libertà è come l’aria, ci si accorge di quanto vale, quando comincia a mancare…» parole di Piero Calamandrei, più attuali che mai:meglio alzare la voce il giorno, prima, che piangere il giorno dopo.
* L’editoriale del Presidente della Federazione nazionale della stampa è pubblicato sull’edizione del Manifesto di mercoledì 30 dicembre 2020 e sul sito web del quotidiano.
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Lorusso (Fnsi): «Il taglio al Manifesto e all’editoria non profit è un bavaglio alla democrazia»
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