“Aperto”
“Siamo e resteremo aperti”
Il 21 dicembre venticinque colleghi ed amici iscritti a Magistratura democratica hanno sottoscritto un documento intitolato Il tempo delle scelte per rendere nota la loro decisione di non aderire più a Magistratura democratica che promuove questa Rivista.
Mentre scriviamo non sappiamo chi deciderà di seguirli nella scelta di recidere i legami con una realtà – Md – che ha molti motivi per essere orgogliosa della sua storia e altrettanti per essere fiduciosa del suo presente.
Né siamo in grado di dire quanti saranno coloro che non vedranno ragioni per lasciare Md, pur rimanendo ancorati alla prospettiva di un campo largo che comprenda “tutta” la magistratura di orientamento democratico e progressista.
Li chiameremo i multilevel, adottando una felice autodefinizione contenuta in uno dei messaggi sull’argomento inviati sulle mailing lists dei magistrati. Ovvero quelli che non ci stanno a compiere una scelta forzosa di abbandono, ritenendo che le sue motivazioni siano troppo labili, contingenti e sproporzionate alla gravità dello strappo; e magari vogliono restare felicemente meticci, con più appartenenze, tutt’altro che incompatibili con l’unica fedeltà che conta e cioè quella ai principi ed alla propria testa.
Se non siamo veggenti e se il futuro resta, per noi come per altri, nascosto nel grembo di Giove imperturbabile, di una cosa possiamo dirci però ragionevolmente certi.
Sulla porta della bottega nella quale si fa e si distribuisce Questione Giustizia continuerà a figurare, bene in vista, il cartello con la scritta “APERTO”.
La Rivista, infatti, è e intende restare aperta. In due sensi diversi e complementari che cerchiamo di spiegare.
Non verrà meno l’apertura intellettuale di Questione Giustizia
Chi scorra, anche distrattamente, le pagine della Rivista on line e della Trimestrale vi troverà scelte ma non censure.
E, ovunque, un insieme di più voci accompagnato dalla disponibilità a pubblicare opinioni diverse o contrarie (con la sola condizione che siano espresse in autonomi interventi e non si traducano in mere repliche e in battibecchi stizzosi).
Anche chi, sull’abbrivio di polemiche nate altrove, ha di recente criticato, pubblicamente o in privato, Questione Giustizia, lo ha fatto non per omissioni o interdizioni ma per la pubblicazione di scritti non condivisi e sgraditi.
Non comprendendo che la Rivista non può essere fatta applicando un bilancino politico ai singoli contributi e che il suo – necessario – equilibrio è il frutto di una pluralità di punti di vista tutti parziali, tutti discutibili, tutti opinabili, offerti ai lettori con il solo discrimine della loro qualità culturale.
“Quando mi si contraddice si risveglia la mia attenzione non la mia collera”.
Ecco: l’ambizione di chi si occupa di Questione Giustizia sarebbe di fare di questo aforisma di Montaigne la propria regola di condotta.
Senza riuscirci sempre, per carità (perché anche l’eccesso di umiltà può essere la spia di un orgoglio luciferino non ignoto ai magistrati) ma impegnandosi onestamente a far prevalere la curiosità e la libertà intellettuale su altre più grevi pulsioni.
Questa apertura intellettuale non è mancata sinora (non tedieremo nessuno citandone i numerosi esempi che all’occorrenza siamo pronti a menzionare), né mancherà in futuro e varrà a legittimare sul piano ideale il cartello affisso sulla porta di QG.
Non temiamo affatto che la varietà e la libertà delle voci e delle idee generino confusione, ambiguità, disorientamento. E di chi poi? Di un pubblico maturo come quello dei magistrati e dei nostri lettori, abituati da sempre a distinguere, soppesare, valutare?
Neppure per un attimo, infine, riusciamo a credere di essere correi dei “seppellitori” del dissenso interno ad Md. Se non altro perché, tra chi se ne va troviamo i nomi di Consiglieri superiori e di Presidenti e Segretari dell’Associazione nazionale magistrati, tutti eletti , in nome dell’unità del campo democratico e della cd. “cessione di sovranità” di Md ad Area, anche con i voti degli escludenti e degli intolleranti.
Più che il distacco di dissidenti ridotti al silenzio l’iniziativa del recesso appare una sorta di secessione del potere costituito nel Consiglio Superiore e nell’Associazione da una parte significativa della sua base.
Piuttosto ci sarà da ragionare a lungo sulla parabola di chi, partito con l’intenzione di costruire una realtà nuova, composita, plurale, diversa dal modello di tutte le tradizionali aggregazioni, approda oggi a rivendicare non l’unità politica dello schieramento progressista, ma l’assoluta uniformità e l’omogeneità della “macchina” organizzativa in nome di una sua pretesa maggiore efficacia.
Le risorse materiali di una rivista frugale
Sin qui il piano delle idee, sul quale la Rivista praticherà la virtù dell’unità nell’unico modo che conosce e cioè continuando a dar voce a tutte le componenti della magistratura di orientamento democratico.
Ma c’è un’altra dimensione, più materiale e prosaica, ma non meno rilevante del nostro impegno a “rimanere aperti”.
La Rivista, come è noto, ha i suoi unici editori nei soci di Magistratura democratica che con le loro quote ne finanziano l’attività.
Di qui l’equazione “meno soci-editori meno fondi per la Rivista” e la prospettiva – paventata o auspicata – di una sua esistenza più precaria e problematica. E’ una equazione fallace per diverse ragioni.
La Rivista è frugale (benché non olandese o danese). Il lavoro di scrittura è totalmente gratuito a dispetto del suo pregio.
I pochi collaboratori tecnici – di grande qualità e professionalità – ci aiutano soprattutto per il gusto di partecipare ad un’impresa stimolante.
L’emergenza Covid, con le riunioni da remoto, ha azzerato i modesti rimborsi per le spese di trasferta dei componenti della Redazione.
I soci editori di Questione Giustizia saranno comunque molti e in ogni caso sufficienti a sostenere lo sforzo editoriale.
Ci sono dunque tutte le condizioni materiali ed economiche per rimanere sempre aperti, continuando il lavoro fatto sin qui e mettendo a frutto il capitale di credibilità acquisito nel corso dei decenni di vita della Rivista.
Un capitale collettivo
In questo capitale c’è anche – siamo i primi a riconoscerlo – il lavoro intelligente di persone che hanno scelto di separarsi dal gruppo che promuove la Rivista.
A nostro modo di vedere non c’è separazione, per quanto espressa con parole che riteniamo ingiuste e fuori misura, che possa cancellare quanto è stato fatto in comune in passato.
Così come non c’è distacco che possa precludere la condivisione di obiettivi ed impegni di rinnovamento della magistratura e la comunanza di interessi ed ideali tra chi opera per una giurisdizione più attenta alle esigenze ed alle domande che vengono dalla società civile.
Di più: i pericoli che può riservare il futuro potrebbero dimostrare che, nei momenti difficili, l’unità di valori conta di più di ogni pretesa di omogeneità organizzativa e di assoluta uniformità politica e culturale.
Anche per questo manterremo ostinatamente il cartello con la scritta “APERTO” sulla porta di Questione Giustizia.
Fonte: Questione Giustizia
Trackback dal tuo sito.