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Il giornalismo è ormai una professione precaria e routinizzata

Fondazione per il Giornalismo Paolo Murialdi il . Brevi, Informazione, Società

giornaliIl lavoro giornalistico, non solo in Italia, sta diventando sempre più una professione precaria con il ricorso a espedienti normativi tendenti ad eludere l’applicazione dei contratti collettivi di lavoro.

Una ricerca internazionale “Media for Democracy Monitor” ha messo in risalto la dimensione internazionale di questo fenomeno. La ricerca disponibile al link http://www.euromediagroup.org/mdm/policybrief03.pdf ha messo in risalto come la qualità del lavoro giornalistico e il grado di soddisfazione di coloro i quali lo praticano sembrino essere a rischio in ognuno dei diciotto Paesi oggetto dell’analisi; l’incertezza che domina il settore dei media conduce a un preoccupante declino nel campo della sicurezza sul lavoro che si riflette in molti dei contesti nazionali considerati.

All’interno dello stato di continua evoluzione tanto della professionalità quanto della sicurezza del lavoro nel campo giornalistico entro i diversi mercati mediali, emergono due tendenze di grande interesse, caratterizzate da diversi gradi di intensità e influenza sui singoli contesti nazionali. Da un lato, l’uso sempre più diffuso di contratti a tempo determinato; dall’altro, il ricambio generazionale all’interno delle redazioni, finalizzato principalmente al risparmio di risorse in tempi di crisi.

Questi sono alcuni dei risultati principali della ricerca in diciotto Paesi.

Sebbene il giornalismo sia percepito come una professione “aperta”, nella maggior parte dei Paesi una percentuale considerevole di giornalisti è costituita da persone altamente istruite, in possesso di un diploma universitario, non necessariamente in discipline legate alle scienze della comunicazione o agli studi giornalistici. Nonostante ciò, la qualità del lavoro e la soddisfazione di coloro i quali la praticano sembrano essere in pericolo, sotto la spinta di un insieme di fattori comuni ma diversamente articolati nei contesti nazionali:

  • l’aumento del carico di lavoro (in Austria, per esempio, questo elemento è alla base di una significativa riduzione nella soddisfazione lavorativa dei giornalisti inglesi, anche in riferimento ai risultati della prima rilevazione MDM; in Finlandia, invece, aumenta il divario tra media di qualità da un lato e un giornalismo di massa sempre più routinizzato dall’altro);
  • le avverse condizioni lavorative (un fattore che comprende stipendi molto bassi, questione centrale nel contesto portoghese, e una significativa difficoltà a realizzare prodotti giornalistici originali, denunciata dai ricercatori del Regno Unito);
  • la carenza di personale (vista come un serio deterrente alla possibilità di raggiungere un “giornalismo d’alta qualità”, per esempio nel contesto islandese);
  • la scarsità delle risorse (una questione rilevante ad esempio per i ricercatori greci, che denunciano il crollo finanziario del mercato dei media e la scomparsa dei diritti dei giornalisti, e belgi: tre quarti dei giornalisti fiamminghi, infatti, dichiarano che non c’è tempo e budget per condurre ricerche approfondite).

Le questioni sopra riportate compongono l’immagine di una professione precaria e routinizzata, con grandi difficoltà a raggiungere l’obiettivo di un giornalismo di qualità e alla realizzazione di prodotti originali. Esistono però notevoli eccezioni, come i Paesi Bassi dove, nonostante le vulnerabilità a livello locale, la professione giornalistica risulta essere al suo stato di maggiore evoluzione.

Per contro, in molti Paesi, l’incertezza che domina il settore dei media, insieme alla diminuzione della sicurezza del lavoro, si riflette chiaramente in fenomeni quali:

  • l’aumento del numero di giornalisti assunti a tempo determinato (generando un fenomeno particolarmente grave in Paesi come l’Islanda, dove è a rischio la tutela dei giornalisti in caso di licenziamento o di rescissione del contratto a seguito di cambio di proprietà o di cambiamento di orientamento politico del mezzo, e in Italia, dove le forme contrattuali largamente diffuse determinano l’ascesa di una generazione di “rider dell’informazione”, in posizioni precarie e con ruoli non riconosciuti);
  • l’apparente inclinazione del sistema dei media verso l’impiego di liberi professionisti (il “lato buono” dei contratti a tempo determinato, ampiamente utilizzato in Paesi come l’Australia, la Germania, i Paesi Bassi come forma contrattuale, con lo scopo di offrire opportunità ai giovani e di contribuire alla sicurezza del lavoro, questione per la quale si combattono battaglie anche feroci a livello professionale e sindacale);
  • la politica di sostituzione dei giornalisti esperti con professionisti più giovani, che costano meno alle organizzazioni dei media e allo stesso tempo hanno maggiore familiarità con le nuove tecnologie (una scelta ampiamente diffusa ad esempio a Hong Kong, o in Grecia).

Un’eccezione degna di nota è l’Austria, dove, nonostante l’esistenza di scarse risorse e l’alta pressione della redazione, i giornalisti godono di un’elevata sicurezza del lavoro.

Fonte: www.fondazionemurialdi.it

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