Egitto: verità su Giulio Regeni. A processo il regime e i suoi aguzzini
La stanza 13 delle torture, il ruolo di cinque testimoni. E 13 sospetti ancora ignoti. La Procura di Roma chiede l’azione penale per quattro agenti dei servizi segreti egiziani. «Sull’assassinio del ricercatore l’Italia è a un bivio», sottolinea Alberto Negri. «La verità ci è stata sbattuta in faccia dai procuratori di Roma con un quadro probatorio e di ambiente che lascia pochi dubbi»
Dalla Procura di Roma la verità nascosta dall’Egitto
Di fronte alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Giulio Regeni, la Procura di Roma ha ricostruito i nove giorni passati dal ricercatore italiano nelle mani dei suoi aguzzini. Cosa è successo a Giulio Regeni nei nove giorni tra il 25 gennaio e il 3 febbraio 2016. Chi lo ha rapito, torturato e ucciso. Cinque gli indagati, «tutti appartenenti genericamente a forze di polizia e di cui quattro agli apparati di sicurezza egiziani, la Nsa», precisa Chiara Cruciati sul manifesto.
Il generale Tariq Sabir, il colonnello Athar Kamel, il colonnello Usham Helmi, il maggiore Magdi Sharif i rinviati a giudizio e l’agente Mahmoud Najem prosciolto per insufficienza di prove. Ai quattro dei servizi segreti, l’accusa di sequestro di persona. Al maggiore Magdi Sharif l’accusato di «concorso in lesioni aggravate e omicidio di Giulio Regeni»: il torturatore assassino, insomma.
Una inchiesta con i vertici egiziani contro
«Riteniamo di aver acquisito elementi di prova univoci e significativi sulla responsabilità delle persone sottoposte a indagine», dichiarano i magistrati italiani. In parte possibile «per una prima, breve e lacunosa collaborazione egiziana, intramezzata a palesi e offensivi atti di insabbiamento, mai venuti meno». La novità dirompente, l’azione penale nei confronti di alcuni appartenenti ai servizi di sicurezza egiziani.
«Non credo che avvenga spesso che siano portati in giudizio appartenenti a istituzioni pubbliche di un altro Stato per un fatto commesso nel territorio di questo Stato», dichiara il procuratore. «Per l’omicidio di Regeni si svolgerà un solo processo e si svolgerà in Italia secondo la procedura dei nostri codici».
L’Egitto altalenante tra cooperazione e boicottaggio. La storia di un ‘rogatoria internazionale’ difficile. 64 quesiti, 25 risposte, e altre 39 ‘in attesa’. Tra quelle, la posizione di 13 soggetti che appaiono collegati agli indagati ma di cui non sono mai giunte le generalità. Le indagini quindi continuano per dare un nome e un ruolo agli ignoti di oggi.
Il sequestro e l’orrore delle torture
Il sequestro compiuto la sera del 25 gennaio alle 19.51 nella metropolitana del Cairo e lo conducevano al commissariato di Dokki e poi in un altro edificio, trattenendolo per nove giorni, sino alla morte. Al maggiore Sharif sono contestate le lesioni gravissime (non la tortura, perché inserita solo dopo nel nostro codice penale). «Crudeltà con acute sofferenze fisiche che hanno provocato lesioni gravissime e l’indebolimento permanente di più organi, con una serie di strumenti affilati e taglienti, con bruciature e con mezzi contundenti».
I testimoni sono cinque, «di diverse nazionalità, di diversa estrazione sociale con le attività lavorative più disparate e senza relazione tra di loro».
Il teste ‘epsilon’ e la Stanza 13
Il teste epsilon ha visto Giulio morire lentamente. Ha lavorato per 15 anni in una villa di epoca nasseriana, diventata sede del ministero degli interni e luogo scelto dalla National Security per torturare i cittadini stranieri sospettati di minare alla sicurezza dello Stato.
È lì, nella stanza 13 del primo piano, che Giulio è stato seviziato: «Ha visto lì Regeni con due ufficiali e due agenti, c’erano catene di ferro, lui era mezzo nudo e aveva segni di tortura, delirava nella sua lingua. Un ragazzo molto magro, sdraiato per terra, con il viso riverso con manette che lo tenevano a terra, segni di arrossamento sulla schiena. Non l’ha riconosciuto subito ma 4-5 giorni dopo vedendo le foto sui giornali ha capito che era lui».
Movente per un delitto di Stato
Perché Giulio è stato ammazzato così, se mai una ragione per tanta disumanità ci possa mai essere, si chiede Chiara Cruciati. Per la Procura di Roma, l’elemento scatenante è stato il finanziamento della Fondazione Antipode ai sindacati indipendenti, «del tutto equivocata dal sindacalista Abdallah e dagli agenti indagati. Hanno pensato che volesse finanziare una rivoluzione».
Ora per l’Italia non ci sono più scuse, dice Alberto Negri
- «Sull’assassinio di Giulio Regeni l’Italia è a un bivio. La verità ci è stata sbattuta in faccia dai procuratori di Roma con un quadro probatorio e di ambiente che lascia pochi dubbi: le autorità egiziane ovviamente sanno perfettamente chi è stato e perché».
- «Il Cairo ha avuto un comportamento criminale, dall’occultamento all’invenzione delle prove, a omicidi in serie: in un eventuale processo Regeni va alla sbarra il regime del generale, difficile circoscriverlo soltanto agli imputati. Per questo non lo vogliono e proteggeranno sempre i mandanti, gli autori materiali e anche l’ultima ruota del carro coinvolta in questa barbarie».
- «Ma oggi la responsabilità su cosa fare è sulle nostre spalle. Ci sono soltanto due strade: continuare come in questi anni il balletto vergognoso con il generale Al Sisi, oppure prendere misure significative nei confronti di una dittatura che conta su una solida protezione internazionale, a cominciare dagli Stati Uniti. Era così con Trump e sarà così con Biden, non illudiamoci.
* Fonte: Remocontro
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