The Economy of Francesco: “Non privilegiamo gli interessi settoriali a scapito del bene comune”
Indifferenza, quindi esclusione. Questa impostazione va radicalmente cambiata e per farsi capire Papa Francesco ha citato una sua visita giovanile, in una periferia di Buenos Aires. Di lì lo portarono, per la prima volta, a visitare un nuovo quartiere, un “quartiere chiuso”: circondato da un muro era fatto da case, palazzi, ville. Tutte circondate dal muro che isolava, chiudeva il quartiere. Il nostro cuore, ha chiesto il papa, è un quartiere chiuso?
Parlando con i giovani il papa non ha fatto sotto questo riferimento giovanile. Da quando era giovane, nei testi di Jorge Mario Bergoglio quando si parla di economia è facile trovare un convitato, mai citato per nome: François-Marie Arouet, più noto come Voltaire. Non lo nomina mai, dai lontani tempi in cui era alla guida della Compagnia di Gesù in Argentina. Perché non gli interessa polemizzare con il filosofo, ma con l’impostazione che cita sempre: “tutto per il popolo, nulla con il popolo”. E’ il fondamento di quel “dispotismo illuminato” che Bergoglio rifiuta e che nel video messaggio inviato ai giovani imprenditori, economisti e analisti riuniti ad Assisi ha ribadito: “con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori”.
Dunque il patto che ha proposto ai suoi giovani interlocutori chiamati da tutto il mondo ad Assisi per favorire un vero cambiamento è quello di non teorizzare un cambiamento, magari per conto degli esclusi, ma di carpire un confronto, anche con loro: la cultura dello scarto è questo, o anche questo. Viene in mente il muro che circonda il quartiere chiuso di cui ha parlato quando si legge che “ la cultura dello scarto, che non solamente scarta, bensì obbliga a vivere nel proprio scarto, resi invisibili al di là del muro dell’indifferenza e del confort.”
Ritenere che i poveri non abbiano titolo per partecipare all’elaborazione comune che possa costruire il cambiamento di cui c’è bisogno, urgente, vuol dire confermarli esclusi.
E questo cambiamento non può essere frutto di un pensiero, ma di un vero confronto culturale: “La crisi sociale ed economica, che molti patiscono nella propria carne e che sta ipotecando il presente e il futuro nell’abbandono e nell’esclusione di tanti bambini e adolescenti e di intere famiglie, non tollera che privilegiamo gli interessi settoriali a scapito del bene comune. Dobbiamo ritornare un po’ alla mistica [allo spirito] del bene comune. In questo senso, permettetemi di rilevare un esercizio che avete sperimentato come metodologia per una sana e rivoluzionaria risoluzione dei conflitti. Durante questi mesi avete condiviso varie riflessioni e importanti quadri teorici. Siete stati capaci di incontrarvi su 12 tematiche (i “villaggi”, voi li avete chiamati): dodici tematiche per dibattere, discutere e individuare vie praticabili. Avete vissuto la tanto necessaria cultura dell’incontro, che è l’opposto della cultura dello scarto, che è alla moda. E questa cultura dell’incontro permette a molte voci di stare intorno a uno stesso tavolo per dialogare, pensare, discutere e creare, secondo una prospettiva poliedrica, le diverse dimensioni e risposte ai problemi globali che riguardano i nostri popoli e le nostre democrazie. Com’è difficile progredire verso soluzioni reali quando si è screditato, calunniato e decontestualizzato l’interlocutore che non la pensa come noi! Questo screditare, calunniare o decontestualizzare l’interlocutore che non la pensa come noi è un modo di difendersi codardamente dalle decisioni che io dovrei assumere per risolvere tanti problemi. Non dimentichiamo mai che «il tutto è più delle parti, ed è anche più della loro semplice somma», e che «la mera somma degli interessi individuali non è in grado di generare un mondo migliore per tutta l’umanità».
Francesco ha messo davanti ai suoi giovani interlocutori l’ecologia umana integrale, che colloca tra gli esclusi di oggi anche “nostra sorella terra”. Non poteva mancare la citazione di Paolo VI, primo a parlare di sviluppo umano integrale: «Lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere autentico sviluppo deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo. […] – ogni uomo e tutto l’uomo! –. Noi non accettiamo di separare l’economico dall’umano, lo sviluppo dalla civiltà dove si inserisce. Ciò che conta per noi è l’uomo, ogni uomo, ogni gruppo d’uomini, fino a comprendere l’umanità intera».
Fonte: Articolo 21
*****
Trackback dal tuo sito.