L’occidente e l’altra parte del mondo
“Testimoni del nulla” è l’ultimo libro scritto dal giornalista e inviato nei luoghi di guerra Domenico Chirico.
Un lavoro che parla di povertà, carestie, dolori, tragedie che affliggono tanti luoghi e spazi del nostro pianeta e che ci richiama alla perdita del senso di pietà, di misericordia e di solidarietà che attanaglia il modo di vivere di noi occidentali.
Un modo di essere che deriva oggi dal nostro modo di pensare e di agire in questo lungo tempo in cui siamo sovrastati dalla pandemia, che sembra essere diventato l’unico argomento che attiri la nostra attenzione e il nostro interesse.
La paura della malattia e i condizionamenti che dal coronavirus dipendono rendono ancora più chiari i limiti di un modello di vita che ci porta ad essere sempre meno attenti ai valori con cui le nostre stesse democrazie sono nate e si sono sviluppate.
Ne è una dimostrazione l’annuncio dato qualche giorno fa dell’imminente arrivo del possibile vaccino. L’euforia maggiore non è stata delle persone e delle comunità che vedono finalmente una luce accesa in fondo al tunnel, ma delle borse mondiali a dimostrazione di come l’economia e la finanza soprattutto, siano il modello che guida la nostra vita.
Nonostante ciò in queste ore e in queste settimane continuano gli sbarchi di profughi lungo le nostre coste e contemporaneamente continuano i naufragi di persone e la morte di bambini, come quella del piccolo Joseph, scomparso dopo essere stato salvato dalle acque del Mediterraneo, per il mancato arrivo di soccorsi dalla terra ferma. Una notizia che è scivolata lungo le nostre giornate quasi senza scuoterci minimamente.
Quasi nell’indifferenza totale è passata anche la morte dei due fratellini e della loro mamma uccisi da un padre e marito che non accettava la fine di un rapporto d’amore. Scambiando quello stesso “amore” per un suo possesso, ha deciso di trascinare nell’abisso insieme a se anche le persone che considerava le più care.
Così come tanti bambini continuano a morire nelle regioni della Siria e nei tanti conflitti in corso nel medio oriente e nei paesi africani, dai quali sempre più mamme e giovani famiglie, cercano di fuggire per dare una voce di speranza a se stessi e ai loro figli.
Tanti poveri aumentano anche nelle nostre regioni, persone che stanno perdendo un posto di lavoro, insieme alla moltitudine di stranieri che negli ultimi anni abbiamo avuto solo la capacità di trasformare in clandestini, facendoli uscire da case e comunità, spingendoli lungo le strade e verso l’incontro quasi scontato con la malavita.
E così mentre ogni giorno siamo concentrati a leggere dati, contare contagi, vedere ricoveri in ospedale, tutte cose sicuramente importanti, il mondo intorno a noi si muove nelle sue mille problematicità che noi non siamo più in grado di vedere e ascoltare.
Siamo concentrati solo su di noi e il mondo sembra finire intorno a noi, senza più un senso di apertura e di sguardo oltre il proprio piccolo confine. La vita racchiusa solo dentro i nostri piccoli e fragili corpi, oltre i quali c’è il vuoto e l’abisso. Sembra quasi un modo di vivere privo di speranza e senza futuro, dove tutto si consuma in un presente senza spazio per l’altro. L’individualismo fa di noi una creatura dedita al possesso e non all’amore.
Nel suo libro Domenico Chirico si chiede: “perché da questa parte del mondo, la nostra, non riusciamo più a provare compassione verso quell’altra parte di noi, i sofferenti, i vinti, tutti gli uomini che scomodamente ci troviamo di fronte sui giornali, in televisione, su internet?”
Questa una sua risposta: “Un pensiero orribile mi avvampa. Che questi uomini e queste donne non siano più nostri simili. Che camminino su un’altra strada, e il loro essere segua un cammino diverso dal nostro. Ce ne accorgiamo quando li guardiamo. Noi uomini dell’altra parte del mondo, quello che soffre meno, non possiamo avvicinarli se non nei due estremi del sentimentalismo o dell’avversione”
Il sentimentalismo ci porta a dimenticarci subito della loro realtà dopo l’emozione illusoria dello sdegno momentaneo della condivisione solo delle parole; l’avversione ci porta alla chiusura, al respingimento di loro come persone e problemi, ai muri che si alzano implacabili nel rifiuto delle loro storie, speranze, sogni, aspettative.
Eppure proprio la pandemia dovrebbe averci fatto capire, aldilà delle nostre illusioni, la fragilità del nostro stesso modello di vita e di società che se non riscopre valori di condivisione, di compartecipazione anche economica, di senso della comunità, è destinata al fallimento. L’uomo non può vivere nell’individualismo e nella ricerca della sola ricchezza personale.
La morte di un bambino o di un migrante che affogano, del povero che non ha da vivere, di una donna e dei suoi figli per un amore che finisce, sono la nostra personale sconfitta di occidentali che abbiamo perso i valori di umanità nei quali siamo cresciuti.
E tra questi valori c’è anche la maturazione di un impegno personale contro le diseguaglianze sociali che sono l’unico modo per ciascuno di noi per invertire la rotta.
Per chi è credente lo stesso racconto nel Vangelo del giovane ricco è lì ogni giorno a ricordarcelo.
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