L’Associazione Nazionale Magistrati di fronte alla sfida dell’unità
La difficile prova dopo gli scandali per ricostruire la fiducia nella magistratura e nell’associazionismo giudiziario
1. Il nuovo Comitato Direttivo Centrale
Si sono svolte le elezioni del Comitato Direttivo Centrale dell’Associazione Nazionale Magistrati che ci consegnano un quadro preoccupante, ma anche di speranza.
Hanno votato circa 1.000 persone in meno della scorsa tornata elettorale, ma un nuovo gruppo si affaccia sulla scena del CDC e tutti hanno scelto l’Associazione come il luogo entro cui confrontarsi.
Aumenta la rappresentanza femminile: si passa da 14 a 18 donne elette su 36 componenti e si garantisce così una rappresentanza più fedele del corpo della magistratura costituito ormai per oltre la metà da donne. Ora è il momento della responsabilità.
Una grande responsabilità che chi compone questo Comitato Direttivo Centrale è chiamato ad assumersi in uno dei momenti più difficili per la magistratura nella storia repubblicana.
2. Lo “scandalo dell’ Hotel Champagne” e il “sistema delle nomine”
Queste elezioni arrivano dopo lo tsunami rappresentato non solo dalla famosa riunione all’hotel Champagne ove si discuteva della prossima nomina a Procuratore della Procura della Repubblica di Roma con la partecipazione di autorevoli esponenti della magistratura, componenti in carica del Consiglio Superiore della Magistratura ed esponenti politici di primo piano (tra cui uno che risultava indagato dalla medesima procura); ma anche dall’inquietante quadro emerso dalla pubblicazione delle migliaia di chat presenti sul telefono cellulare di Luca Palamara, vagliate dalla Procura Generale presso la Corte di Cassazione per individuare i profili di responsabilità disciplinare.
«La gravità dell’accaduto risuona nelle parole del Presidente Mattarella, pronunciate il 21 giugno 2019 all’assemblea plenaria straordinaria del Csm: “Il coacervo di manovre nascoste, di tentativi di screditare altri magistrati, di millantata influenza, di pretesa di orientare inchieste e condizionare gli eventi, di convinzione di poter manovrare il Csm, di indebita partecipazione di esponenti di un diverso potere dello Stato, si manifesta in totale contrapposizione con i doveri basilari dell’Ordine giudiziario e con quel che i cittadini si attendano dalla Magistratura”»[1].
L’Associazione Nazionale Magistrati nell’immediatezza dei fatti ha dimostrato di saper reagire con fermezza e con la giusta severità, sia da parte dei suoi organismi dirigenti che da parte delle assemblee locali, che da molto tempo non erano così partecipate.
C’è un corpo sano della magistratura che ha reagito fermamente a fronte di quanto emerso dalle indagini di Perugia ma quella spinta al rinnovamento profondo dell’associazionismo sembra essersi oggi già persa, lasciando spazio al disincanto e alla disillusione.
Alcune parole espresse all’epoca sembrano essere state profetiche: «La forza propulsiva della spinta al cambiamento si esaurirà in breve tempo, se non riuscirà a tradursi in un progetto, in una linea di azione comune, e a improntare di sé un nuovo percorso nell’associazionismo e nell’autogoverno».[2]
Al di là delle responsabilità dei singoli (per comportamenti gravi, gravissimi e anche semplicemente inopportuni), non si può negare che nelle chat ci sia la traccia di un sistema nel quale – a diversi livelli – tutte le componenti erano a vario titolo coinvolte e sono ora chiamate a mettersi profondamente in discussione.
Ma lo spaccato che ne emerge ha evidenziato anche logiche di spartizione del potere non più rispondenti nemmeno a quelle di “appartenenza correntizia” ma a legami personali, tant’è vero che molte “guerre” erano condotte all’interno dei gruppi.
In questo contesto si era creato un vero e proprio metodo di gestione del potere, di lottizzazione e ricerca del consenso nel quale si era perso il senso della valenza politica e ideale delle scelte, come quelle relative ai dirigenti, svincolate dal modo di intendere la giurisdizione e l’organizzazione degli uffici e da valori e criteri che devono orientare le scelte in tale ambito (l’attenzione ai diritti fondamentali, le priorità da garantire e la qualità del servizio da rendere).
Un sistema che si alimentava con chi chiedeva favori e protezioni, che su questo costruiva una buona parte del consenso necessario ad autoriprodursi e che ha potuto “contare” anche sulla “disattenzione” da parte di chi non ne faceva parte ma ne ha sottovalutato (anche consapevolmente) il peso.
L’evidente gravità della situazione richiede scelte coraggiose, una profonda autocritica da parte di tutti e la capacità di mettere in campo un progetto di rifondazione etica dell’associazionismo giudiziario.
Il Presidente della Repubblica nel luglio 2018 ha rivolto queste parole ai magistrati in tirocinio: «Il dibattito culturale all’interno della magistratura costituisce un necessario strumento per favorire l’interpretazione e l’applicabilità delle norme vigenti alla mutevole realtà sociale e, dunque, un utile mezzo per promuovere l’elaborazione di risposte legittime alle pressanti istanze di tutela giudiziaria. Non è certo la riduzione del dibattito culturale, attento e plurale, a poter rendere migliore la magistratura. Va affermato, con chiarezza, che questo diritto ad associarsi liberamente costituisce condizione preziosa, da difendere contro ogni tentativo di indebita intromissione. Occorre, naturalmente, evitare che l’aggregazione associativa, basata su autentiche opzioni culturali e valoriali, possa trasformarsi in corporativismo o – peggio ancora – in forme di indebita tutela, se non di ingiustificato favore, basate sul mero – mortificante – criterio di appartenenza».
Come si è arrivati fin qui, al punto in cui l’associazionismo sembra avere smarrito la propria spinta ideale? Come possiamo oggi costruire un progetto di reale cambiamento?
3. Il “carrierismo”
La riforma dell’ordinamento giudiziario del 2006, che ha finalmente introdotto il merito come criterio principale per la nomina dei dirigenti e le valutazioni quadriennali di professionalità, ha innescato per molti una “corsa” ad accaparrarsi titoli utili per la nomina a un posto direttivo o semidirettivo e per la costruzione di una “carriera” parallela: si comincia da un incarico semidirettivo in un piccolo Tribunale per poi passare a un Tribunale più grande e poi diventare direttivo in un piccolo Tribunale per poter sperare di arrivare a dirigere un Tribunale prestigioso. Insomma, si comincia con un semidirettivo e si resta dirigenti per molti anni, passando da un semidirettivo a un direttivo via via considerati più prestigiosi.
Questa “spinta” verso la carriera e i suoi potenziali effetti degenerativi non sono stati visti per tempo e non sono stati immessi gli anticorpi culturali per evitare le degenerazioni, e per recuperare quella prospettiva “egualitaria” che la Costituzione ha espresso nel principio secondo il quale i magistrati si distinguono solo per funzioni.
A questa prospettiva occorre tornare, con regole che garantiscano una effettiva temporaneità delle funzioni direttive e semidirettive.
«Solo escludendo o limitando drasticamente la “carriera dirigenziale” e vanificando le relative aspettative si può, infatti, rendere chiaro a “tutti” (i magistrati diretti e lo stesso magistrato dirigente) che il ruolo di direzione di un ufficio giudiziario non è uno status, ma un incarico temporaneo, di durata adeguata a garantirne l’incisività, che non istituisce differenze permanenti tra dirigenti e diretti, ma solo una temporanea diversità di funzioni.[…] Questo obiettivo è realizzabile in un solo modo. Prevedendo che, al termine di un incarico di direzione, il magistrato sia ricollocato – per un congruo periodo di tempo, almeno pari alla metà del tempo dell’incarico svolto – nella stessa posizione professionale di provenienza o in altra analoga, senza possibilità di richiedere e ottenere un nuovo incarico direttivo per tale lasso di tempo … il guadagno che ne verrebbe in termini simbolici, culturali ed etici sarebbe altissimo, giacché la cessazione di un incarico dirigenziale e il ritorno alle funzioni di magistrato non potrebbe – se previsto dalla legge – essere vissuto come una sorta di deminutio e inciderebbe in profondità sulla psicologia dei cittadini, dei magistrati e degli stessi interessati, dando vita finalmente a una diversa considerazione del ruolo direttivo, meglio rispondente al dettato costituzionale»[3].
4. Il rapporto magistratura-politica
Accanto a questo, il confronto con la politica è diventato pericoloso collateralismo o, peggio, strumento per consolidare il proprio potere dentro e fuori dalla magistratura.
La acquisita visibilità di alcuni magistrati, grazie a indagini o alla conduzioni di processi con ampia risonanza mediatica, è divenuta trampolino di lancio per una “carriera politica”.
Le trasformazioni del sistema politico degli ultimi decenni hanno inciso profondamente sul rapporto tra magistratura e politica.
In un sistema proporzionale c’era spazio per candidature parlamentari indipendenti dove i magistrati venivano chiamati non per la notorietà acquisita grazie a indagini o processi di risonanza mediatica, ma per portare in Parlamento il loro patrimonio di conoscenze, la loro competenza e professionalità.
Il sistema maggioritario con una legge elettorale che configura un Parlamento di “nominati” dalle segreterie dei partiti, la spinta verso il bipolarismo, le caratteristiche assunte dalla dialettica politica, rendono necessario un ripensamento in ordine al rapporto tra magistratura e politica e alla modalità della partecipazione dei magistrati alle competizioni elettorali e alla vita politica.
Si tratta di evitare anche solo il sospetto di indebite interferenze tra ordine giudiziario e potere politico, salvaguardando l’autonomia e indipendenza della magistratura anche sul piano dell’immagine.
Questo è stato il senso delle proposte venute dall’Associazione Nazionale Magistrati: non comprimere il diritto costituzionale dei magistrati all’elettorato passivo, ma rendere in qualche modo irreversibile quella scelta, evitando che chi la compie torni a esercitare la giurisdizione[4].
La strada è impervia e nessuno può pensare di trovare da solo la ricetta per uscire dalla crisi che ha investito l’associazionismo giudiziario.
5. L’Associazione Nazionale Magistrati e il valore del pluralismo
L’Associazione Nazionale Magistrati ha una storia gloriosa[5]: è stata non solo l’associazione che ha dovuto sciogliersi per il rifiuto di trasformarsi in un sindacato fascista, ma quella che nei tempi più bui e difficili, unitariamente, è riuscita a difendere l’autonomia e l’indipendenza della magistratura e ne ha conquistato l’assetto egualitario che conosciamo, disegnando un modello di ordine giudiziario conforme ai valori costituzionali[6].
Forse i più giovani non sanno qual è stato il percorso faticoso che l’associazionismo giudiziario ha attraversato per affermare il valore del pluralismo e per combattere l’assetto gerarchizzato della magistratura; qual è stato il ruolo dell’Associazione Nazionale Magistrati, con il congresso di Gardone del 1965, per far vivere la costituzione dentro la giurisdizione: la presa di coscienza della magistratura circa la propria responsabilità nell’attuazione della Costituzione, resa possibile dal confronto associativo e dal suo pluralismo culturale, e che ha portato alle dichiarazioni di incostituzionalità di tante norme che erano una chiara eredità del fascismo.
Fu l’esito di «un conflitto ideale che aveva percorso e diviso il Congresso nazionale dei magistrati svoltosi a Gardone nel novembre del 1965: da un lato i sostenitori della tesi secondo la quale i giudici debbono essere interpreti e garanti dell’indirizzo politico fondamentale incorporato nella Costituzione (costituito da un insieme di valori elevato a finalità di tutto l’ordinamento e da un correlativo sistema di garanzie essenziali, che non può essere modificato dalle contingenti maggioranze di governo) e, dall’altro, i sostenitori della tradizionale visione del giudice come mero applicatore delle leggi esistenti (non importa se ispirate a sistemi di valori precostituzionali, come gran parte delle leggi e dei codici allora vigenti), di cui sarebbe vietata ogni interpretazione “evolutiva”, di adeguamento ai valori costituzionali, pena lo sconfinamento nell’ambito riservato al potere politico»[7]. Un conflitto mai sopito e nuovamente divenuto attuale nel dibattito associativo.
Il tempo in cui il senso dell’associazionismo era questo: il confronto e l’aggregazione intorno all’idea di magistratura e giurisdizione che si voleva affermare, il dibattito intorno alla giurisprudenza ed ai provvedimenti giudiziari.
In questo modo la magistratura e la cultura della giurisdizione sono cresciute, la magistratura ha acquisito consapevolezza del proprio ruolo, si sono confrontati modi diversi di intendere la giurisdizione. Un vero patrimonio culturale e di idee.
6. Attività associativa e cultura della giurisdizione
L’attività associativa per me, che ho aderito subito all’ANM, poi a Magistratura Democratica e ad AREADG fin dalla sua costituzione, è stata una grande occasione di crescita professionale e umana.
Il dibattito culturale e giuridico cui ho partecipato dentro e fuori la magistratura grazie alla mia attività associativa, ha contribuito ad accrescere la mia cultura giuridica e ad affinare la mia capacità di analisi, ha cambiato il mio modo di esercitare la giurisdizione e migliorato le mie capacità organizzative anche sul piano professionale.
Ciò che è accaduto ed è stato svelato dalle indagini di Perugia ci consegna la consapevolezza di quanto sia fondamentale ritrovare il senso del confronto associativo e tornare ad una riflessione collettiva sul ruolo della magistratura, sull’incidenza che i provvedimenti giurisdizionali hanno sui diritti fondamentali delle persone, sulle loro libertà, e sugli assetti sociali ed economici.
Nel confronto associativo dobbiamo rinnovare il nostro impegno per contribuire a disegnare il volto di una magistratura che non cerca il consenso, ma la fiducia – prima di tutto delle parti in causa – nella sua imparzialità, onestà intellettuale, competenza tecnica, rigore morale e capacità di giudizio, in grado di coltivare il dubbio, di ascoltare le opposte ragioni, di accettare le critiche dei suoi provvedimenti, perché si può sbagliare, e perché le critiche, non la delegittimazione, fanno crescere e sono fattore di responsabilizzazione.
«Ciò che occorre è il recupero del significato sociale della funzione giurisdizionale, la consapevolezza che l’associazionismo è nato per dare un senso alto, attraverso la riflessione collettiva, al lavoro dei magistrati, e che esso potrà ancora avere un futuro solo nella comune disponibilità e volontà di confrontarsi sul senso della giurisdizione, sul suo rapporto con la società, sulle sue fonti di legittimazione e sulla sua collocazione entro l’assetto costituzionale dei pubblici poteri».[8]
7. Unità associativa e pluralismo
Lo ha detto anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella: la dialettica e il pluralismo sono una ricchezza per le nostre istituzioni; spetta anche a noi tutelare questa ricchezza con comportamenti concreti che contrastino le spinte verso il bipolarismo che porterebbe di fatto alla rottura dell’unità associativa con la scissione dell’ANM.
La tutela dell’unità associativa deve essere una priorità per tutti noi, per ridisegnare il volto di una magistratura plurale in grado di ricostruire una identità collettiva intorno ai valori costituzionali della giurisdizione, dell’etica e della professionalità.
Nelle parole che Elena Paciotti ha rivolto ai magistrati in tirocinio del distretto di Milano il 1 marzo del 2018 ritrovo il senso profondo dell’unità associativa: «il ruolo principale di questa è “dare un senso alto, attraverso il confronto e la riflessione collettiva” al lavoro dei magistrati. “Naturalmente nel dibattito interno si manifestano (…) divisioni e divergenze. (…) Ma ciò che ha determinato l’unità … non sono state l’omogeneità delle opinioni o una qualche identità delle opzioni politiche e culturali. Ciò che ha determinato e (…) determina l’unità è il dibattito medesimo, cioè il fatto di essere accomunati dal bisogno (…) di una riflessione comune (…). L’unità e l’identità (…) non sono date dalle risposte, ma dalle domande che tutti si pongono e avvertono il bisogno di porsi nel confronto con gli altri. Non sono (…) basate su una comune ideologia o su opinioni etico-politiche da tutti condivise, ma sempre e solo nella comune disponibilità e volontà di confrontarsi sul senso della giurisdizione, sul suo rapporto con la società, sulle sue fonti di legittimazione e sulla sua collocazione entro l’assetto costituzionale dei pubblici poteri”»[9].
Perseguire l’unità associativa non significa quindi propugnare un impossibile unanimismo – l’ANM deve restare il luogo della rappresentanza e del confronto delle diverse idee e valori presenti nel corpo della magistratura – ma riconoscersi come interlocutori di questo confronto, essere capaci di condurre unitariamente la magistratura attraverso questo percorso di rifondazione etica, che sicuramente comporterà confronti anche aspri. La ricerca di una sintesi potrà trovarci divisi e dovremo forse adottare decisioni a maggioranza, ma saranno pur sempre espressione della volontà dell’Associazione Nazionale Magistrati.
8. L’esperienza nel precedente CDC
Sono stata eletta anche nello scorso Comitato Direttivo Centrale e ho partecipato a due giunte esecutive.
Nonostante la diversità di vedute, siamo riusciti su alcuni temi ad elaborare proposte e a formulare pareri su provvedimenti legislativi aventi ad oggetto temi altamente “sensibili” raggiungendo se non l’unanimità, maggioranze molto ampie.
Per le materie di mia competenza posso dire che il lavoro svolto per l’elaborazione del parere sul cd. “decreto sicurezza”, sulla riforma degli Uffici Minorili, sul disegno di legge cd. Pillon, frutto del confronto non solo all’interno dei gruppi di studio dell’ANM ma anche con i vari operatori che di queste materie si occupano, ha evidenziato che la possibilità di una sintesi “alta” all’interno dell’Associazione Nazionale Magistrati è possibile, se il punto di riferimento costante sono i valori costituzionali e i diritti fondamentali delle persone.
Lo scorso Comitato Direttivo Centrale esordì con l’elezione di una Giunta esecutiva unitaria, dove erano rappresentati tutti i gruppi associativi.
Ciò si tradusse nell’alternarsi delle cariche, soprattutto quelle apicali che dovevano essere a turno attribuite a ciascun gruppo rappresentato in CDC, con la conseguenza che ogni anno si è rinnovata la composizione della Giunta e sono cambiati il presidente e il segretario dell’ANM.
L’alternanza delle cariche ha un valore se è finalizzata a garantire un’assunzione di responsabilità collettiva da parte di tutti i gruppi associativi nella conduzione dell’ANM, con l’impegno da parte di chi assume le cariche a rappresentare l’intera associazione, se non comprime il dibattito interno e la possibilità di critica, se non viene utilizzata per acquisire visibilità e consenso (la visibilità che la carica di presidente comporta se tenuta per quattro anni accentua notevolmente questo rischio), se resta centrale il ruolo del Comitato Direttivo Centrale come luogo del confronto tra le diverse posizioni e di ricerca di una sintesi tra queste.
Dopo lo “scandalo Palamara” e l’assemblea nazionale di Magistratura Indipendente in cui è stata approvata una mozione dove si invitavano i propri consiglieri coinvolti a restare al loro posto, c’è stato un avvicendamento nelle cariche e nella giunta esecutiva.
In mancanza di una presa di posizione in chiara discontinuità con quanto accaduto Magistratura Indipendente è uscita dalla giunta e Pasquale Grasso, presidente dell’ANM espressione di quel gruppo, si è dimesso dalla carica. E’ stata costituita una nuova giunta con l’ingresso di Autonomia e Indipendenza (uscita dalla giunta unitaria alla scadenza della presidenza Davigo), dove sono nuovamente entrata anche io (avevo già fatto parte della giunta nell’anno della presidenza Albamonte, – all’epoca costituita da AreaDG, Magistratura Indipendente e UNICOST – unica altra componente in rappresentanza di AreaDG), costituita da rappresentanti di AreaDG, UNICOST e AeI, con la presidenza di Luca Poniz, di AreaDG, e la segreteria di Giuliano Caputo, di UNICOST.
Una giunta che aveva il compito difficile, insieme al CDC, di dare un segnale forte di discontinuità con il passato e avviare una fase di profondo rinnovamento dell’ANM.
Nel frattempo MI ha celebrato il proprio congresso – approvando un documento di forte critica e autocritica in ordine all’accaduto e rinnovando radicalmente il proprio gruppo dirigente – all’esito del quale ha chiesto di entrare in giunta costituendo una giunta unitaria.
Ritenevo fosse necessario avviare una vera e propria fase costituente per la rifondazione dell’associazionismo che coinvolgesse tutta la magistratura e, quindi, tutte le rappresentanze associative. I due gruppi maggiormente coinvolti sembravano avere avviato una fase di profondo rinnovamento, immediatamente Unicost e successivamente anche MI, ed ero quindi favorevole all’ingresso di MI in giunta.
Pur sentendomi culturalmente molto lontana da quel gruppo, ritenevo che, in una fase di crisi così profonda per l’associazionismo, il dibattito sulla sua rifondazione etica e sui percorsi da intraprendere per restituirgli la sua funzione originaria, avrebbe dovuto coinvolgere tutti, così come anche il complicato percorso da avviare per la modifica del codice etico della magistratura.
Tutti i gruppi avrebbero dovuto lasciare da parte i propri calcoli elettorali per impegnarsi con onestà intellettuale su questa strada, riconoscendosi reciprocamente come interlocutori affidabili.
Ciò non significava – a mio avviso – annacquare le proprie posizioni in un unanimismo di facciata o non riconoscere le diverse responsabilità che i gruppi hanno avuto, ma riconoscere che nella gravità della crisi che si stava attraversando era necessario che ogni componente dell’ANM venisse coinvolta e sentisse la responsabilità di dare il proprio contributo, evitando derive che avrebbero rischiato di portare a una scissione dell’Associazione Nazionale Magistrati.
Se è vero che è emerso che alcuni gruppi sono stati più di altri coinvolti nello “scandalo”, è anche vero che nessun gruppo era estraneo alle degenerazioni del sistema, che nessuno può vantare “patenti” di moralità e che tutti dobbiamo fare fino in fondo i conti con la questione morale.
Ritenevo anche che, dopo la crisi della giunta formata da AreaDG UNICOST e AeI, fosse necessario andare al voto a luglio col metodo tradizionale perché, anche a fronte delle importanti riforme in cantiere, era necessario che vi fosse una ANM forte e autorevole interlocutrice della politica, rilegittimata dal voto e come tale rappresentativa dell’intera magistratura.
Il rischio era che in una fase tanto delicata l’ANM apparisse come un interlocutore debole e un po’ afasico, come purtroppo per alcuni mesi è stato, e che fosse indebolita ancora di più nella sua capacità rappresentativa dalle dimissioni in blocco di Magistratura Indipendente dal CDC.
Con una decisione sofferta, ho ritenuto necessario rassegnare le mie dimissioni dalla giunta esecutiva e dal Comitato Direttivo Centrale, per impossibilità di dare un contributo utile nell’attuazione di una diversa linea scelta anche dal mio gruppo di appartenenza[10].
Lo scorso CDC ha avuto anche un forte ricambio di persone al suo interno, tre componenti di Autonomia e Indipendenza e due componenti di Magistratura Indipendente si sono dimessi per candidarsi alle elezioni per il CSM.
Non a caso, all’indomani dello “scandalo Palamara”, una delle modifiche statutarie proposte dal CDC e approvate all’assemblea generale del 14 settembre 2019 ha riguardato l’impegno a portare a termine il mandato, salvi gravi motivi personali, familiari o lavorativi, per qualsiasi carica elettiva.
9. ANM e CSM
Certo questo non basta a evitare che qualcuno usi le cariche in seno all’ANM per acquisire visibilità e consenso, per strumentalizzarle come trampolino di lancio per altri incarichi e consolidare posizioni di potere personale.
D’altro canto l’esperienza che si acquisisce in ambito associativo è preziosa anche per altre esperienze in altri ambiti e se non deve essere strumentalizzata per acquisire la visibilità e il consenso necessari per essere eletti al CSM è pur sempre necessario che il CSM resti il luogo ove vengono rappresentate le diverse idee e sensibilità in ordine all’esercizio della giurisdizione, alla sua efficacia ed efficienza.
«Il pluralismo culturale e ideale, garantito dal collegamento con le articolazioni dell’associazionismo giudiziario, è ciò che ha reso il Consiglio rappresentativo della magistratura e della sua fisionomia costituzionale: non un ordine burocratico, gerarchicamente strutturato e uniformato culturalmente, ma una realtà viva e complessa che, nell’esperienza associativa, ha costruito la sua identità costituzionale e ha acquisito consapevolezza del suo ruolo.»[11]
La attuale legge elettorale per il CSM, uninominale maggioritaria, ha favorito la personalizzazione delle cariche, la ricerca di visibilità e di costruzione del consenso da parte dei singoli. Né la proposta di riforma Bonafede risolverebbe in alcun modo il problema, rafforzando di fatto i personalismi su base locale, non garantendo la rappresentatività degli eletti, ideale e di genere [12].
Le proposte di sorteggio per la nomina del componenti togati oltre che essere incostituzionali svilirebbero l’istituzione, concepita in questo modo come organo di mera amministrazione, e la magistratura stessa evidentemente non in grado di eleggere i propri rappresentanti, e configurerebbero un Consiglio ove i componenti togati non rappresenterebbero il corpo della magistratura e sarebbero sostanzialmente immuni da qualsiasi responsabilità politica in ordine agli atti compiuti in seno al consiglio[13].
La rappresentatività dei Consiglieri eletti garantisce quantomeno la loro responsabilità politica di fronte al gruppo che ha contribuito alla loro elezione e il gruppo associativo pagherà in termini di consenso alle successive scadenze elettorali per gli atti compiuti dai consiglieri che ha contribuito ad eleggere.
La democrazia rappresentativa è la sola in grado di garantire il controllo democratico dell’operato dei componenti togati del consiglio e la partecipazione democratica del corpo della magistratura alle scelte dell’autogoverno.
E se si deve ancora parlare di rappresentatività dei consiglieri togati, la rappresentanza di genere deve costituire una priorità[14].
10. Ricostruire la fiducia nella magistratura e nell’associazionismo giudiziario
Lo scandalo ha fatto emergere un cortocircuito e una debolezza profonda dei gruppi associativi, che hanno perso la funzione di corpi intermedi in un sistema di partecipazione democratica, diventando strumenti per costruzione del consenso intorno al leader.
Qualcosa di non molto diverso da ciò che è accaduto alla politica tradizionale e al ruolo dei partiti.
Tutto ciò che è accaduto ha messo profondamente in crisi la fiducia della comunità nella magistratura, fiducia senza la quale lo stesso esercizio della giurisdizione perde di efficacia e autorevolezza.
La magistratura non può affrontare divisa una crisi che è forse la più grande nella storia repubblicana e rischia di sfociare in un assetto costituzionale molto diverso da quello che aveva delineato una giurisdizione effettivamente indipendente.
La magistratura tutta deve assumersi la responsabilità di promuovere il cambiamento necessario perché ciò che è accaduto non possa accadere mai più.
L’ANM deve tornare ad essere un luogo ove la magistratura possa ricostruire la propria identità collettiva e la sua fisionomia costituzionale attraverso una profonda rifondazione etica, per ritrovare il senso di un impegno collettivo e restituire all’Associazione Nazionale Magistrati e all’associazionismo giudiziario la sua fondamentale funzione e la sua autorevolezza, che ha costituto un presidio per l’autonomia e l’indipendenza della magistratura[15].
Non si tratta di privilegi, ma dei presupposti necessari perché i magistrati possano svolgere il ruolo di garanti dei diritti di tutte e tutti e dello stato di diritto, non sentendosi soli di fronte a pressioni e intimidazioni che potrebbero comprometterne la terzietà.
La dissoluzione dell’Associazione Nazionale Magistrati sarebbe una tragedia non per i componenti dei suoi organi dirigenti o per chi vuole conquistare posizioni di potere e raccomandazioni. Per quello non serve l’ANM, bastano cordate, lobby, gruppi di potere più o meno occulti, dalle quali non c’è sorteggio o legge elettorale che ci metterebbe al riparo. L’Associazione Nazionale Magistrati non è un nostro patrimonio, dei gruppi o delle persone che oggi compongono i suoi organi dirigenti, che possiamo permetterci di dissipare, ma è parte del sistema democratico di questo paese.
Di fronte alla drammaticità di questo periodo storico in cui si parla di cancellazione dell’associazionismo e del suo valore, del ridimensionamento del ruolo e della funzione del Consiglio Superiore della Magistratura, ove si vorrebbe aumentare il peso della componente di nomina politica, ove potrebbero ritornare in auge pericolosi progetti di riforma istituzionale che vorrebbero mettere in discussione il principio di separazione dei poteri, c’è bisogno di una ANM forte e autorevole. Autorevolezza che si fonda sulla capacità di essere rappresentativa dell’intera magistratura, un unicum nel panorama europeo.
La posta in gioco è altissima, forse la magistratura, per l’immagine che ha offerto di sé, si merita la sua “normalizzazione”, ma non se la meritano i cittadini.
11. La necessaria rifondazione etica dell’associazionismo
Si tratta allora di essere capaci di ragionare tutti insieme sulla strada da percorrere per rifondare l’associazionismo giudiziario, riportarlo alla sua fondamentale funzione originaria di luogo plurale di elaborazione di idee, in grado di far crescere la giurisdizione e la sua qualità.
Aprirci all’esterno, aprire un dibattito pubblico con gli altri attori della giurisdizione e con le rappresentanze della società civile, perchè il potere che esercitiamo incide inevitabilmente sulla realtà sociale oltre che sulle persone. Anche dalla nostra capacità di aprirci all’ascolto e di dialogare con l’esterno credo passi il recupero di fiducia nella giurisdizione e nel suo esercizio.
L’associazionismo, la partecipazione democratica alla vita dei gruppi deve tornare ad essere un momento importante di confronto e di crescita – anche professionale – di partecipazione democratica e critica alla vita dell’associazione e alle scelte dell’autogoverno. Si tratta, quindi, anche di ragionare in modo autocritico sulla democrazia interna, sui processi decisionali e sulla loro trasparenza, sulla garanzia di effettiva partecipazione degli iscritti ai processi decisionali, sui luoghi dove effettivamente le decisioni vengono prese.
La costruzione di questo percorso dovrà essere la priorità per la giunta che sta per nascere, costruendo una nuova unità attraverso la collettiva assunzione di responsabilità di fronte al compito immane che ci attende di restituire credibilità e fiducia non solo all’associazionismo giudiziario, ma alla magistratura e alla stessa funzione giurisdizionale.
Non serviranno solo regole, ma una vera e propria rivoluzione culturale nel modo stesso di intendere la nostra professione. Il “carrierismo” è figlio anche di una visione burocratica del nostro ruolo, della scarsa consapevolezza del “terribile potere” di cui disponiamo, della chiusura all’esterno e dell’autoreferenzialità.
«Diventa indispensabile assolvere un compito di più ampio respiro: ridiscutere i valori e l’etica della professione ripercorrendone la storia, l’evoluzione, le conquiste e i cedimenti, e misurandone la corrispondenza ai problemi del presente. Con la consapevolezza che l’etica professionale non è materia di lezioni, ma di scelte culturali e istituzionali da discutere appassionatamente, di quotidiani esempi positivi e di prassi collettive virtuose». [16]
E il principale riferimento, fattore di unità associativa, cui tutti i magistrati potranno riferirsi è ancora una volta la nostra costituzione.
«La Carta costituzionale .. non contiene solo il catalogo generale di principi e valori cui ispirare l’esercizio della giurisdizione e la vita privata del giudice cittadino, ma fornisce anche le indicazioni fondamentali ed essenziali sulla sua etica professionale … Così, il principio di eguaglianza e la regola di pari dignità delle persone rappresentano canoni fondamentali di condotta per accusatori e giudici, da osservare nei confronti di tutti coloro che, con ruoli diversissimi, compaiono nella scena del processo o assistono ad esso … Per altro verso, l’estrema attenzione che il legislatore costituente dedica alle garanzie volte ad assicurare un’indipendenza effettiva dell’intera magistratura dice al singolo magistrato che egli deve completare il disegno costituzionale divenendo il primo custode della sua indipendenza, considerandola come un dono prezioso, ma anche come un onere pesantissimo e come una fonte di responsabilità …Del resto, quando il costituente afferma che i magistrati sono soggetti solo alla legge, che essi devono “obbedire” soltanto alla legge, sta dicendo anche – come ricordava sempre un maestro come Pino Borrè – che, quando è necessario, il magistrato deve saper “disobbedire” ad altri poteri e ad altri comandi che non siano quelli del legislatore” , ed in primo luogo le fonti sovraordinate, come la Costituzione, la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e le altre fonti sovranazionali (art 117 costituzione). “Infine, quando il Parlamento, nell’aggiornare la Carta costituzionale, ha affermato che la legge garantisce la «ragionevole durata» del processo ha fornito una direttiva al legislatore ordinario, ma ha anche ricordato che a tale obiettivo ogni magistrato deve contribuire per la sua parte, mettendo in campo una “ragionevole intensità di lavoro”, con tutto ciò che questo significa in termini di laboriosità, tempestività, fattivo concorso all’obiettivo collettivo del buon funzionamento della giurisdizione.»[17]
Il codice etico elaborato nel 1994 a cura dell’Associazione nazionale Magistrati, investita del legislatore di questo compito proprio in virtù della sua autorevolezza e rappresentatività, potrà essere fondativo di un nuovo patto tra magistratura e società, per riacquistare quella fiducia nella magistratura e nella giurisdizione che è la base per il funzionamento dello Stato di Diritto.
Bisognerà allora discuterne la sua funzione e attualità rispetto alle attuali temperie non solo dentro la magistratura ma con la comunità, con la società civile e con la politica, con gli studiosi di diritto e con gli altri attori della giurisdizione. Il percorso per la sua modifica, avviata con lo scorso Comitato Direttivo Centrale, non potrà essere rivolto solo al nostro interno, altrimenti fallirà miseramente il suo obiettivo.
12. Il contributo del pensiero della differenza di genere
Il sapere femminile potrà avere un ruolo fondamentale in questo percorso.
Non si tratta solo di valorizzare i ruoli delle donne nell’associazione, ma di valorizzare quel sapere femminile che deriva da una cultura che ha radici millenarie ove le donne, proprio perché escluse dal potere, hanno affinato la capacità di cura delle relazioni, l’ascolto dell’altro, l’accoglienza.
«Il pensiero femminile esce dal dualismo principio/conseguenza e mezzo/risultato e pretende invece un’etica della cura: che metta al primo posto, come principio, mezzo e fine al tempo stesso dell’azione politica, la preservazione e la promozione della interrelazione umana e quindi, sul piano cognitivo, dell’intersoggettività»[18], si contraddistingue, quindi, per il maggior peso che attribuisce alle esperienze di connessione ed empatia, che credo siano fondamentali per ricostruire quel sano tessuto unitario associativo in cui potersi tutti riconoscere.
E’ dal sapere femminile che può venire la maggiore spinta a superare i conflitti attraverso modalità di inclusione e aggregazione, nell’ottica di salvaguardare al meglio le relazioni umane e di non spezzarne i legami.
Il pensiero della differenza sessuale nasce da una constatazione ormai acquisita: «la filosofia occidentale non è un pensiero neutro universale, ma il pensiero di un soggetto sessuato al maschile. In tale pensiero il soggetto maschile si autorappresenta ed interpreta il mondo a partire da sé . La donna è stata oggetto di questo pensiero, che la ha definita come le donne ben sanno (madre, moglie, “donna di facili costumi”), perché è stata una storia di lacrime e sangue. Il pensiero della differenza sessuale esprime la necessità per le donne di farsi soggetto parlante partendo da sé. Partendo dalla constatazione, che banale non è, che essere sessuata nella differenza è un elemento originario ed essenziale della creatura umana, vero in ogni luogo geografico ed in ogni tempo storico» [19].
Le donne hanno capito che affermare che il genere umano non è uno, ma sono due, aveva una valenza rivoluzionaria nel modo di organizzare la società e di pensare la vita ed i rapporti, il mondo, la scala dei valori.
Se nella filosofia moderna l’esistenza di un pensiero femminile è un dato ormai acquisito, credo vadano valorizzati i luoghi e le occasioni di riflessione all’interno della cultura giuridica e della giurisdizione.
Troppo poco la magistratura si è aperta al confronto con chi su questo riflette da tempo.
Si tratta di ripensare non solo la società, ma anche la vita associativa e la giurisdizione.
Ecco, ciò che il pensiero femminile porta con sé – inclusione, solidarietà, azioni positive, pari opportunità, protezione dalla violenza e dalle discriminazione – potrà avere un ruolo fondamentale nella costruzione di un nuovo associazionismo e nella rivoluzione culturale che il corpo della magistratura e la società tutta si aspetta da noi.
* Giudice Tribunale di Roma
Fonte: Questione Giustizia
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Note al testo
[1]Ezia Maccora in https://www.questionegiustizia.it/rivista/articolo/introduzione-guardando-all-interno-della-magistrat_680.php
[2] Mariarosaria Guglielmi in https://www.questionegiustizia.it/articolo/crisi-dell-autogoverno-crisi-della-magistratura-la-necessita-di-ricostruire-una-forte-identita-collettiva_20-11-2019.php
[3] Nello Rossi in https://www.questionegiustizia.it/rivista/articolo/l-etica-professionale-dei-magistrati-non-un-immobile-arcadia-ma-un-permanente-campo-di-battaglia_683.php; si veda anche il forum su “Correnti, correntismo, carriere – Il recupero dell’etica professionale e la necessità di una responsabilizzazione collettiva” sul n. 2/2006 di www.giudicedonna.it
[4] Nello Rossi in https://www.questionegiustizia.it/rivista/articolo/l-etica-professionale-dei-magistrati-non-un-immobile-arcadia-ma-un-permanente-campo-di-battaglia_683.php cit.
[5] Elena Paciotti in https://www.questionegiustizia.it/articolo/breve-storia-della-magistratura-italiana-ad-uso-di-chi-non-sa-o-non-ricorda_07-03-2018.php Gianfranco Gilardi in https://www.questionegiustizia.it/articolo/la-crisi-dell-associazionismo-giudiziario-e-la-necessita-di-risalire-la-china
[6] Claudio Castelli in https://www.questionegiustizia.it/rivista/articolo/elogio-dell-associazionismo-giudiziario_684.php
[7] Elena Paciotti in https://www.questionegiustizia.it/articolo/breve-storia-della-magistratura-italiana-ad-uso-di-chi-non-sa-o-non-ricorda_07-03-2018.php cit.; si veda anche A. Meniconi, Storia della magistratura italiana, Il Mulino, Bologna, 2012 e A. Meniconi, La storia dell’associazionismo giudiziario: alcune notazioni, in Questione giustizia trimestrale, 4/2015, http://questionegiustizia.it/rivista/2015/4/la-storia-dell-associazionismo-giudiziario_alcune-notazioni_303.php; Gianfranco Gilardi https://www.questionegiustizia.it/articolo/la-crisi-dell-associazionismo-giudiziario-e-la-necessita-di-risalire-la-china cit.;
[8] Gianfranco Gilardi https://www.questionegiustizia.it/articolo/la-crisi-dell-associazionismo-giudiziario-e-la-necessita-di-risalire-la-china cit.;
[9] Elena Paciotti in https://www.questionegiustizia.it/articolo/breve-storia-della-magistratura-italiana-ad-uso-di-chi-non-sa-o-non-ricorda_07-03-2018.php cit.
[10] In questa intervista spiego le ragioni delle dimissioni: https://ilmanifesto.it/lanm-puo-essere-spazzata-via-era-meglio-votare-subito/
[11] Mariarosaria Guglielmi in https://www.questionegiustizia.it/rivista/articolo/crisi-dell-autogoverno-crisi-della-magistratura-la-necessita-di-ricostruire-una-forte-identita-collettiva_685.php cit.
[12] V. Valerio Savio in https://www.questionegiustizia.it/articolo/quale-sistema-elettorale-per-il-consiglio-superiore-della-magistratura_25-02-2020.php
[13] V. Valerio Savio in https://www.questionegiustizia.it/articolo/come-eleggere-il-csm-analisi-e-proposte-il-sorteggio-e-un-rimedio-peggiore-del-male_26-06-2019.php
[14] V. Carla Marina Lendaro, Disuguaglianze, giurisdizione e persistente questione di genere in Magistratura, in https://www.lavorodirittieuropa.it/ 2019/3;
[15] V. Gianfranco Gilardi in https://www.questionegiustizia.it/articolo/la-crisi-dell-associazionismo-giudiziario-e-la-necessita-di-risalire-la-china cit.;
[16] Nello Rossi https://www.questionegiustizia.it/rivista/articolo/l-etica-professionale-dei-magistrati-non-un-immobile-arcadia-ma-un-permanente-campo-di-battaglia_683.php cit.
[17] Nello Rossi https://www.questionegiustizia.it/rivista/articolo/l-etica-professionale-dei-magistrati-non-un-immobile-arcadia-ma-un-permanente-campo-di-battaglia_683.php cit.
[18] Fabrizio Filice, Sulla mancata approvazione della mozione sulle quote di genere nel corso del congresso di Area Democratica per la Giustizia, in www.giudicedonna.it n. 1/2019
[19] V. Adriana Cavarero, L’elaborazione filosofica della differenza sessuale in La ricerca delle donne, Rosemberg & Sellier.
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