Coronavirus. Evvai con l’isolamento dei vecchi!
Una ricerca dell’Ispi (Istituto superiore studi politici internazionali), peraltro offerta in anteprima al popolo italiano, teorizza come difesa contro il Covid la segregazione – rectius… l’isolamento selettivo – dei vecchi. Per allontanare il timore di una qualche sfumatura di discriminazione, la teoria viene addobbata con dati statistici usati alla stregua delle penne di un pavone.
Si sostiene che “la mortalità totale nel corso di un anno solare in Italia aumenterebbe del 71% senza isolamento, ma solo del 18% con isolamento degli over 70 e appena del 7% con isolamento degli over 60”.
E allora, vai con l’isolamento dei vecchi! Non del tipo “concentrato” (riesumare l’uso degli stadi alla Pinochet sarebbe di cattivo gusto) ma “diffuso”, ciascuno a casa propria se si ha la fortuna di averne una idonea. Soluzione suggestiva, che neanche il rasoio di Occam…? Non saprei.
Certo è che la legge dei numeri non è l’unica. Ci sono anche (mi pare) regole costituzionali di eguaglianza e solidarietà, regole antropologiche ed etiche, regole di buon senso sul piano psicologico e altre ancora di cui tener conto.
Ammetto che il fatto di avere un’età (81 anni) che mi colloca “di diritto” nel novero dei candidati alla segregazione non aiuta le riflessioni con il distacco emotivo e la disattivazione della sfera dei sentimenti che servirebbero. Ma a mia scusante posso addurre che già in epoca di Covid non ancora appesantita da simili teorie avevo manifestato la sensazione che si potesse finire per considerare i vecchi come una zavorra a perdere senza rimpiangerla più di tanto; dalla quale anzi partire per teorizzare biecamente che una considerevole diminuzione del loro numero non solo non comprometterebbe la funzionalità del sistema economico, ma addirittura finirebbe per favorirla riducendo i costi pensionistici e sanitari. Ora questa sensazione si consolida e anzi peggiora.
Va bene che il ricercatore dell’Ispi, bontà sua, si preoccupa di avvertire che una soluzione ottima non esiste per cui bisogna accontentarsi del meno peggio rappresentato da un giusto compromesso. Ma ciò non mi consola. Anzi mi sento poco bene, avvertendo che serpeggia una certa qual equiparazione dei vecchi agli stupratori, roba da sterilizzazione chimica in un caso, sociale nell’altro. Senza intenzione, va da sé, epperò…
Siamo poi sicuri che il lockdown anagrafico resterebbe l’unico? Non c’è il rischio di innescare qualche ragionamento cinico sulla pelle dei più deboli? Non sia mai che dopo i vecchi possa toccare alle persone affette da gravi menomazioni fisiche o psichiche o da malformazioni congenite, oppure ai “tossici” o ai malati di alcolismo… Ipotesi sinistre, di certo assolutamente estranee ai fautori dell’isolamento dei vecchi. Ma certe volte si sa come si comincia, e poi …
In verità, oltre che alle statistiche conviene guardare anche alle preoccupazioni manifestate dal presidente della Società italiana di geriatria Raffaele Antonelli-Incalzi. Segregazione e solitudine causano depressione; riducendo le attività fisiche si aggravano le patologie di cui i vecchi già soffrono; che oltretutto sono destinate a peggiorare per effetto dei controlli e delle cure che inesorabilmente, essendo bloccati in casa, diminuiscono. In parole povere, se i vecchi sono di fatto abbandonati a se stessi, senza reti protettive e senza avvenire, vedranno peggiorare in misura esponenziale la qualità della vita che gli resta da vivere e che hanno il sacrosanto diritto di pretendere che non sia sacrificata come merce di scarto.
Vero è che sarebbe un grave errore vivere ogni richiamo alla cautela come un male o un possibile abuso. Ma ci sono altre misure, tipo quelle proposte dal prof. Andrea Ichino: corse separate sui mezzi pubblici; diversi orari di accesso ai supermercati; accorgimenti per separare sui posti di lavoro (perché, ma guarda un po’, ci sono anche degli over 60 che lavorano ancora…) e simili.
Fermo restando che il viaggio del virus è ancora sostanzialmente ignoto e che alcuni virologi anche illustri ci hanno abituati a cambi di opinione nel giro di poche ore. Il che non semplifica né le diagnosi né le prognosi.
Fonte: Il Fatto Quotidiano, il blog di Gian Carlo Caselli
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