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Il Covid, le terapie intensive e una sanità regionale che crea disuguaglianze

Pierluigi Ermini il . L'analisi, Società

terapie intensiveNelle ultime settimane si riaffaccia nelle nostre città e nelle nostre regioni in modo forte lo spettro di una pandemia che rischia, come a marzo scorso, di far ripiombare nell’angoscia tutti noi.

Ormai tutti siamo presi da ore e ore di trasmissioni, di dibattiti, di numeri su positivi asintomatici o meno che si rincorrono in un clima quasi di paura ed esasperazione.

Ci eravamo illusi in estate che tutto fosse finito e invece, oggi dobbiamo dar ragione a chi ci richiamava già allora a non allentare la guardia; dal governo (soprattutto nella persona del suo ministro della salute), agli esperti (la maggior parte di loro), ai medici.

Abbiamo preferito ascoltare soprattutto chi invece ci spingeva a trascorrere un’estate serena come se niente fosse successo, di mare, spiagge e aperitivi, di comizi affollati durante le elezioni ed oggi siamo qui a dover fare i conti con una realtà che ci fa ripiombare anche economicamente in un nuovo tunnel.

C’è rabbia, stanchezza, tristezza, ma siamo chiamati a reagire e a trascorrere alcune settimane più isolate, per sperare di evitare un nuovo lockdown.

C’è un elemento che più di tutti credo dovrebbe essere di fronte ai nostri occhi, come punto di riferimento anche per i giorni e le settimane a venire, che è il numero di posti occupati nelle terapie intensive in ogni singola regione, per molti medici e virologi il vero punto di snodo di un autunno e inverno che si preannuncia comunque molto duro.

Per gli esperti da questo dato si capirà se il nostro sistema sanitario rischierà il collasso. Importante sarà anche il numero delle persone comunque ricoverate per il Covid19, ma basilare saranno i ricoveri in terapia intensiva.

Anche perché questi reparti non si considerano saturi quando sono occupati al 100%, ma quando si raggiunge già una soglia di malati di Covid che supera la soglia del 50% perché si sta creando un sovraccarico di lavoro forte per il personale che lì lavora.

La soglia di allerta in questo caso scatta dopo il superamento del limite del 30% e al 28 ottobre tale soglia era già stata superata da Umbria (38%), Valle D’Aosta (35%) e Toscana (31%), mentre la Campania e il Piemonte erano quasi al limite (28%).

In questi giorni è uscito un interessante articolo sul Sole 24ore che riporta i dati di ogni singola regione sui posti letti delle terapie intensive anche alla luce del Decreto Rilancio che stanziava soldi alle regioni per portare a 14 il numero di posti letto in terapia intensiva per ogni 100 mila abitanti.

I finanziamenti sono arrivati, ma dalla lettura dei numeri forniti dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri appare chiaro che sono il Veneto e la Valle D’Aosta hanno fatto meglio di quanto chiesto dal Governo e che solo il Friuli Venezia Giulia ha raggiunto l’obiettivo, mentre tutte le altre regioni sono ancora indietro. Fanalino di coda di questa graduatoria l’Umbria che non ha predisposto nessuno dei 57 posti letto previsti.

Prima della pandemia i posti erano 5.179, oggi dopo i finanziamenti previsti dal Decreto Rilancio sono 6.628 a fronte del numero di 8.679 stabilito dallo stesso decreto sulla base dei soldi stanziati. Dunque mancano oltre 2.000 posti in terapia intensiva che rischiano di creare non poche difficoltà nelle prossime settimane.

Il Veneto, che anziché arrivare alla soglia richiesta di 211 posti letto ne ha realizzati 311, si appresta a vivere questo nuovo difficile momento con più preparazione e minore apprensione.

Dunque ancora una volta risalta forte il limite di una sanità regionale che, gestita in modo così diverso tra territorio e territorio, porta anche a maggiori diseguaglianze tra i cittadini, che si riflettono non solo nella cura della salute, ma anche nell’organizzazione stessa della vita economica e sociale.

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