Dalle magliette bianche al funerale di Willy, l’invito a fermarsi
Scorrendo le pagine dei giornali di questi giorni si resta sgomenti nel vedere che gli articoli principali delle prime pagine riguardano soprattutto fatti di cronaca e di violenza.
Non solo la morte del giovane Willy alle porte di Roma, ma anche altri pestaggi vicino a Bari, stupri e violenze di gruppo sempre nella zona di Bari o al Circeo.
Dopo l’estate della ripresa dei contagi dovuti alla ripresa degli spostamenti, ora sembra essere il momento della violenza senza limiti. La vera emergenza sembra spostarsi in questi fatti di cronaca che investono soprattutto il mondo giovanile.
È impressionante la sequenza degli eventi che stanno rendendo barbaro questo nostro stare insieme dove la vita dell’altro non ha più valore e dove per pochi minuti di supremazia e di dominio (tanto durano un pestaggio che porta alla morte o uno stupro che rovina l’esistenza di chi lo subisce) si uccide o si cerca di possedere un corpo per dare sfogo ai propri istinti.
Portando non solo morte e dolore in chi subisce questa violenza, ma uccidendo la vita anche in chi questo dolore lo procura e nelle loro famiglie, perché questo è quello che accade.
In questi fatti inevitabilmente si muore tutti, chi viene ucciso, chi uccide e la società che non riesce a fermare questa violenza.
Le magliette bianche al funerale di Willy in quel campo sportivo, inviano a tutti noi questo messaggio: occorre fermarsi, tutti, soprattutto il mondo degli adulti e soprattutto quello della politica, che ha grandi responsabilità per questa degenerazione dei valori.
Occorre riaprire le scuole, aldilà delle polemiche politiche, perché proprio la scuola è il primo spazio dove si impara che l’altro che mi vive accanto è una persona come me.
Diventa primario e determinante, anche alla luce di quanto accade, operare perché i nostri ragazzi tornino in aula, distanziati fisicamente, ma non socialmente, accanto ai loro coetanei, che hanno storie, progetti diversi.
È necessario tornare al contatto di occhi che si guardano, di sorrisi che si incrociano, di parole che si sentano dentro le stanze delle nostre scuole.
Occorre cambiare linguaggio, ad iniziare dai social, e dovrebbero vergognarsi e interrogarsi tutti coloro che animano i conflitti e le distanze nella piazza virtuale, rendendo l’altro non uno diverso da me da ascoltare e da rispettare, magari da non condividere, ma il nemico da combattere. Impariamo a chiudere i rapporti anche social con chi usa linguaggi violenti e che trattano gli altri come numeri e non come persone. Non sono degne della nostra amicizia.
Smettiamo di dire bravo a chi anima le piazze con soluzioni semplici a problemi complessi, a chi tratta gli altri non come persone che hanno una loro storia personale, ma riducendoli a un semplice aggettivo, inquadrando tutti alla stessa stregua, come se quell’aggettivo potesse racchiudere il senso della loro vita facendoci perdere di vista che ci sono uomini e donne che soffrono, amano, hanno sentimenti come noi, speranze e sogni.
La nostra intelligenza non può non arrivare a capire che le persone che si comportano così, di qualunque colore siano, non portano a un confronto costruttivo,ma a uno scontro, che nel tempo non produce un miglioramento della qualità della vita della nostra società.
Se non lo faremo nel tempo diventeremo più barbari, meno riflessivi e più istintivi, cercando le risposte della pancia e non quelle della mente. E soprattutto crescerà dentro di noi, in modo silenzioso l’idea che c’è davvero sempre un nemico dietro le nostre spalle.
Il vero nemico oggi siamo invece noi se rinunciamo al nostro dovere di responsabilità, quando rispondiamo con l’istinto e la pancia anziché con la nostra riflessione matura, quando ci fidiamo ciecamente di quello che ci viene detto, quando rinunciamo a cercare di capire l’altro che ho davanti, quando, se adulti, rinunciamo al nostro ruolo di educatori dei giovani che ci coinvolge tutti, qualunque sia il ruolo che abbiamo e viviamo.
Il messaggio di Willy, che ha cercato di salvare dalle botte l’amico in fondo è quello di tornare ad essere umani, persone del sorriso e non della violenza, persone che non hanno nemici accanto, ma compagni di viaggio, con problemi diversi, sofferenze, gioie, sogni e speranze.
Di tutto questo sfacelo, se non pensiamo con la pancia come ci vogliono far fare, ci resta il suo sorriso, bello, spontaneo, umano, un sorriso che parla alla nostra mente e al nostro cuore, per spingerci a diventare, tutti, persone che cercano la pace e l’amore.
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