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Muore un compagno, la protesta dei braccianti Sikh

Arianna Longo il . Lazio, Mafie, Migranti

protesta sikhPresidio a Latina e sciopero indetto per il 28 settembre, dopo l’incidente in cui ha perso la vita, a Terracina, il giovane Singh Guarjant

Braccianti Sikh in presidio a Latina. Oggi pomeriggio (giovedì 10 settembre) la piazza antistante la prefettura si è colorata di turbanti sgargianti e volti arrabbiati per la morte di  Singh Guarjant, 26enne originario del Punjab. Il 7 settembre scorso il giovane era impiegato nella manutenzione della serra di un’azienda agricola di San Vito, nel Comune di Terracina. Mentre sostituiva il telo in nylon restando in bilico su un muletto agricolo, forbici in mano, ha perso l’equilibrio. La caduta gli è stata fatale. La procura di Latina è intervenuta aprendo un’inchiesta dalla quale sembra emergere che, oltre all’assenza delle misure minime di sicurezza, il datore di lavoro non abbia chiamato l’ambulanza sul posto, ma abbia prima spostato il 26enne, per poi portarlo in macchina in ospedale.

Al presidio indetto dalla Flai Cgil territoriale hanno partecipato circa cinquanta persone. Dalla piazza è partita la mobilitazione per lo sciopero, proclamato per il prossimo 28 settembre, a cui parteciperanno compatti i braccianti di tutta la provincia di Latina. Una ristretta delegazione dei sindacati e della comunità Sikh è stata ricevuta dal prefetto che ha dato la sua disponibilità ad attivare la task force per la sicurezza sui luoghi di lavoro, nonché la Rete agricola di qualità prevista dalla legge 199/2016 contro il caporalato.

La morte di Singh Guarjant non è un caso isolato. È da anni che i datori di lavoro della zona ricorrono ad “attività di sofisticazione”, denuncia il sociologo Marco Omizzolo, riferendosi a tutti quegli “infortuni, anche mortali, che non vengono trattati dai datori di lavoro in modo regolare”. L’incidente può verificarsi in azienda, a causa dell’assenza di misure di sicurezza, ma anche nel tragitto verso i campi o al ritorno nell’abitazione. In entrambi i casi il datore di lavoro non chiama il pronto soccorso, come dovrebbe, ma porta da sé il bracciante in ospedale (rischiando di aggravarne le lesioni) o lo abbandona nei campi a diversi chilometri di distanza.

Le procedure di regolarizzazione, inoltre, non hanno sortito gli effetti sperati. In provincia di Latina il numero delle domande afferenti al settore agricolo è particolarmente basso. Per Omizzolo il motivo è che le norme introdotte dal decreto Rilancio (19 maggio 2020) sono “costruite male”. Più che favorire l’emersione del lavoro nero hanno alimentato un “traffico ricattatorio dei datori di lavoro” che per mettere in regola i dipendenti “hanno chiesto cifre dai duemila ai 10mila euro”. Risultato? I braccianti hanno contratto debiti onerosi, esponendosi a un carico maggiore di sfruttamento che padroni e caporali si sono sentiti in potere di imporre.

Il quadro recente s’inscrive in una cornice pregressa già drammatica. Da qualche anno la comunità dei braccianti Sikh dell’Agro Pontino ha raggiunto una “nuova frontiera dello sfruttamento”, emersa grazie al dossier Doparsi per lavorare come schiavi, redatto nel 2014 dalla cooperativa In Migrazione. Per resistere alle lunghe ore di lavoro nei campi in condizioni durissime, molti braccianti sono costretti “a doparsi con sostanze stupefacenti e antidolorifici che inibiscono la sensazione di fatica e di stanchezza”, riporta il documento. Pur di aumentare la produzione e i profitti, tutto sembra lecito a chi si fa chiamare ancora “padrone”.

Fonte: Collettiva

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