L’impegno dell’Università per coltivare la memoria del Generale dalla Chiesa
Pubblichiamo l’intervento della professoressa Mariele Merlati dell’Università degli Studi di Milano, reso in occasione della manifestazione “L’insegnamento del Generale”, tenutasi lo scorso 3 settembre a Milano per ricordare l’uccisione del prefetto di Palermo Carlo Alberto dalla Chiesa, della moglie Emanuela Setti Carraro e dell’agente di scorta Domenico Russo.
Grazie a Lorenzo Frigerio e grazie a Nando dalla Chiesa per avermi voluto qui oggi. È per me un grandissimo privilegio. Non voglio rubare tempo a coloro che seguiranno e che siamo tutti tanto felici di poter ascoltare. Mi limiterò quindi a condividere con voi qualche breve riflessione che ho avuto modo di fare in questi giorni, proprio pesando alla mia partecipazione a questa importate commemorazione. La mia casa di famiglia, nelle Langhe, nella provincia di Cuneo, ha fatto da scenario a questi miei pensieri, quella stessa provincia di Cuneo che, a Saluzzo, nel 1920 ha dato i natali a Carlo Alberto dalla Chiesa
Quando il Generale dalla Chiesa, Emanuela Setti Carraro e Domenico Russo sono stati uccisi a Palermo 38 anni fa io ero una bambina. Non ho avuto quindi la fortuna di conoscere il Generale dalla Chiesa. Eppure – riflettevo- la figura del Generale è stata costantemente presente, in tutti questi anni, nel bagaglio culturale che ha accompagnato la mia crescita umana e professionale. E sono certa che questo sia successo non solo a me ma anche a tanti altri, della mia generazione così come di quelle precedenti e ancora di quelle successive.
Due ragioni spiegano, forse più di altre, tutto questo. La prima è che il Generale dalla Chiesa ha scritto la storia di questo paese, ha scritto pagine di assoluta rilevanza della storia dell’Italia post-bellica e nei decenni più drammatici dell’epoca bipolare; la seconda, di altrettanta importanza, è che di quest’uomo che tanto peso ha avuto per la storia nazionale, si è saputa tenere viva la memoria. E qui il merito va in primo luogo alla famiglia che è riuscita, di anno in anno, non senza fatica e non senza dover contrastare forze spesso contrarie, coltivarne e preservarne la memoria.
Storia e memoria, ecco il binomio che, credo, spiega la mia presenza qui oggi. Come storica, tre anni fa, ho contribuito, proprio con Nando dalla Chiesa, a fondare il Progetto Memoria, un progetto che vede il dipartimento di Studi internazionali dell’Università degli Studi di Milano, accanto al Comune di Milano e alla Regione Lombardia, impegnata a creare un comun denominatore, un contenitore comune, a tutti quei progetti che in Università da angolature e discipline diverse (la storia, la sociologia, l’antropologia, la scienza della politica…) si occupano di memoria, nella convinzione che sia proprio l’Università il luogo di eccellenza in cui “fare memoria”.
Consentitemi semplicemente dunque due parole intorno a questi due concetti. Dicevo, il Generale ha scritto la storia di questo paese. E l’ha scritta, non per come è morto, ma per quanto ha fatto – e come lo ha fatto – in vita. Certo il brutale assassinio del generale, della moglie e dell’agente della scorta a Palermo 38 anni fa ha segnato uno spartiacque nella storia nazionale, una cesura profonda, senza ritorno, nella consapevolezza del paese Italia della criminalità organizzata e dei suoi rapporti con il potere. “Qui è morta la speranza dei palermitani onesti”, la frase affissa nel luogo dell’attentato rappresenta questa cesura più di ogni altra parole.
Ma, ben prima di allora, la storia il Generale l’ha scritta soprattutto con le sue azioni: in guerra nei Balcani, tra i Partigiani nella Resistenza, con il suo impegno contro il banditismo nella Sicilia dei primi anni del dopoguerra, e poi nell’Arma, a Firenze, Palermo, Como, Torino, Milano, negli anni difficili in cui il suo continuo trasferimento tra le caserme italiane sembrava senza tregua e in quelli, drammatici, bui, del contrasto al terrorismo, del Nucleo Speciale Antiterrorismo, dell’omicidio Moro (a meno di un mese dalla scomparsa dell’amata prima moglie Dora), fino agli ultimi atti come Prefetto a Palermo.
Ad attraversare tutte queste esperienze alcune indelebili costanti, che lo storico non può non evidenziare: l’indiscussa autorevolezza del generale, frutto del suo carisma, certamente, ma anche – ecco la prima lezione- del rispetto, della lealtà, della stima che il condottiero ha saputo suscitare in chi avrebbe dovuto seguirlo, gli “uomini del Generale”, come i suoi sottoposti sono stati etichettati tanto dai suoi estimatori quanto dai suoi detrattori; l’impegno indefesso di fronte ad ogni indagine, studiata nei minimi dettagli, schedata in ogni sua più piccola componente, mai refrattario, il Generale, di fronte all’esigenza di innovare le tecniche di indagine, ma sempre attento a che queste mantenessero un solido ancoraggio con la realtà, una realtà che aveva imparato, giorno dopo giorno, a conoscere meglio di ogni altro; ancora, un profondo senso delle istituzioni, anche quando da quelle stesse istituzioni si è sentito tradito e abbandonato.
E poi, dicevamo memoria. Si, è vero, sino ad oggi si è saputo coltivarne la memoria: non c’è città o Paese che non abbia una via o una piazza a lui dedicati, una scuola, un luogo di aggregazione; la sua immagine è immediatamente riconoscibile da generazioni di italiani; nel 2019 il Generale e la sua lezione sono stati oggetto di una traccia per la maturità scelta da un davvero considerevole numero di giovani maturandi.
Se il Generale dalla Chiesa è oggi, patrimonio collettivo del nostro Paese, sarebbe, tuttavia, davvero un grave errore dare tutto questo per scontato, pensare che se così è sempre sarà, sottovalutare il rischio della perdita di memoria, in particolar modo quando sono in gioco le pagine più buie della nostra storia nazionale.
L’impegno per non dimenticare deve continuare ad essere incessante e in questo, io credo, è proprio l’Università, in costante collegamento con le istituzioni locali, regionali e nazionali, che deve svolgere un ruolo da protagonista. Perché l’Università parla a i giovani ed è solo se memori del nostro passato che i giovani possono davvero contribuire a costruire il futuro di questo paese. Penso, mentre parlo, ai giovani appassionati che camminano per i corridoi della Facoltà di Scienze Politiche, Economiche e Sociali di via Conservatorio.
Coltivare, con quei giovani, la memoria del generale dalla Chiesa significa ricordare loro, quotidianamente, chi, alla passione, ha saputo unire competenza, autorevolezza, disciplina, senso delle istituzioni ma soprattutto la convinzione che debba essere il rigore morale la bussola dei comportamenti umani. Queste, forse, le tante “lezioni” lasciateci dal Generale della Chiesa, facendo eco alla bella locandina che Libera ha realizzato per questa nostra odierna commemorazione.
* Docente Università degli Studi di Milano
Milano ricorda Carlo Alberto dalla Chiesa, Emanuela Setti Carraro e Domenico Russo
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