Dieci cose da non dimenticare di Carlo Alberto dalla Chiesa
La sera del 3 settembre 1982 una motocicletta affianca l’auto del neoprefetto di Palermo. I colpi dell’Ak 47 uccidono lui, la moglie e l’agente della scorta. È la strage di via Carini. Lì – scrisse qualcuno – dove “è morta la speranza dei palermitani onesti”
Dopo la firma dell’armistizio nel settembre 1943 Carlo Alberto Dalla Chiesa rimane al comando di una tenenza isolata, organizzando di propria iniziativa nel territorio di San Benedetto del Tronto, nelle Marche, la resistenza di civili e militari, oltre a diventare il responsabile delle trasmissioni radio clandestine. Dopo la guerra per la sua partecipazione alla Resistenza italiana gli verrà attribuito il distintivo di volontario della guerra di liberazione ed il passaggio in servizio permanente effettivo per merito di guerra.
Nel luglio del 1943 Carlo Alberto si laurea in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Bari. Nella stessa città conseguirà la seconda laurea in Scienze politiche, per la quale frequenterà alcune lezioni tenute dall’allora docente Aldo Moro. Dirà suo figlio Nando: “Contrariamente a quel che si può immaginare (e che si sa normalmente di lui) mio padre non intendeva da ragazzo dedicarsi alla carriera militare. Avrebbe preferito fare l’avvocato o dedicarsi comunque alle professioni di legge. Scoppiata la guerra prende le stellette in fanteria, da dove passa nei carabinieri come ufficiale di complemento. (…). Nasce sul campo. E questa origine gli verrà spesso fatta pesare, contribuendo per un lunghissimo periodo a un’aura se non di estraneità certo di disorganicità rispetto ai suoi colleghi passati per tutti i crismi della carriera”.
La sera del 10 marzo 1948 Placido Rizzotto, 34 anni, partigiano e segretario generale della Camera del lavoro di Corleone, è sequestrato da un gruppo di persone guidato da Luciano Liggio. Sarà il capitano dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa ad indagare sul delitto Rizzotto: il lavoro dell’ufficiale, destinato a divenire un nome celebre nel corso dei decenni successivi, porterà all’incriminazione di Luciano Liggio, Pasquale Criscione e Vincenzo Collura che tuttavia, alla fine del 1952, verranno assolti per insufficienza di prove. Per uno strano scherzo del destino, attorno all’omicidio di Placido Rizzotto ci sarà una convergenza di giovani uomini che diventeranno importanti: da una parte Carlo Alberto Dalla Chiesa e Pio La Torre, giovane studente universitario che sostituirà Rizzotto alla guida dei contadini, dall’altra Luciano Liggio e i suoi uomini che arriveranno ai vertici della mafia.
Nel gennaio 1968 Carlo Alberto dalla Chiesa interviene con i suoi reparti in soccorso alle popolazioni colpite dal sisma del Belice, azione che gli vale la medaglia di bronzo al valor civile per la partecipazione in prima linea alle operazioni e la cittadinanza onoraria delle città di Gibellina e di Montevago.
Il 17 marzo 1981 durante una perquisizione della Guardia di Finanza a Castiglion Fibocchi vengono ritrovate nella cassaforte di Licio Gelli numerose domande di iscrizione alla P2. Tra queste quella di Dalla Chiesa (secondo il figlio Nando la domanda di affiliazione non fu mai accettata). Non è mai stato chiarito il vero scopo del tentativo di adesione alla P2: secondo alcuni sarebbe stato quello di indagare come infiltrato le manovre della loggia.
Nominato il 6 aprile 1982 dal Consiglio dei ministri prefetto di Palermo, Dalla Chiesa si insedierà in città il 30 aprile, giorno dell’omicidio di Pio La Torre. Sull’aereo il Generale scrive una lettera ai figli, in cui li avverte che “le circostanze hanno condotto il Governo nazionale a far sì che io uscissi dalle file attive dell’Arma e della sua massima carica, prima ancora che i tempi previsti giungessero alla loro scadenza. Se da un lato sono onorato di tanta fiducia – che in qualche modo tocca anche la “nostra” famiglia -, dall’altro avverto, nel trauma spirituale del delicato momento, una somma di sentimenti che, nel loro intimo tumultuare, non fanno che ripropormi, prepotente e cara, l’immagine stupenda di mamma! (…). Vi scrivo da 7-8.000 metri d’altezza, in cielo, mentre l’aereo mi portava veloce verso Palermo”.
Secondo alcune ricostruzioni, la sera dell’assassinio di Dalla Chiesa qualcuno aprì la cassaforte della sua abitazione sottraendone il contenuto consistente in documenti sensibili tra cui anche un dossier sul caso Moro. Il memoriale di Aldo Moro sarebbe stato consegnato da Dalla Chiesa a Giulio Andreotti, a causa delle informazioni contenute al suo interno. Secondo la madre di Emanuela Setti Carraro il Generale non consegnò ad Andreotti tutte le carte rinvenute. Raccontava la sorella di Pecorelli di un incontro tra Dalla Chiesa e il giornalista pochi giorni prima che venisse ucciso, un incontro durante il quale il giornalista avrebbe confidato all’amico alcune importanti informazioni sul caso Moro consegnandogli documenti riguardanti il ruolo di Giulio Andreotti.
“Perciò appena è uscito lui con sua moglie lo abbiamo seguito a distanza. TUN. TUN. Potevo farlo là, per essere più spettacolare nell’albergo, però queste cose a me mi danno fastidio”. Così Salvatore Riina riportava anni dopo la cronaca dell’omicidio del generale.
I funerali di Dalla Chiesa saranno celebrati alle 15 del giorno seguente l’assassinio nella chiesa di San Domenico, neanche 18 ore dopo la strage. All’uscita dalla chiesa una folla inferocita sommergerà di fischi, sputi, monetine e persino bottiglie i membri del governo presenti. Solo il presidente della Repubblica Sandro Pertini verrà risparmiato e solamente a lui il cardinale Pappalardo stingerà la mano. “Dum Romae consulitur Saguntum expugnatur – aveva detto il prelato durante l’omelia – mentre a Roma si pensa sul da fare, la città di Sagunto viene espugnata dai nemici!. Povera la nostra Palermo! Come difenderla?”.
“Qui è morta la speranza dei palermitani onesti’. Così era scritto su un foglio lasciato sul luogo della strage, in via Carini. “Ma – diranno in un bel volume a lui dedicato i figli del Generale – la speranza non era morta. La sua presenza non era stata una meteora, ma aveva lasciato un segno profondo nella coscienza popolare. No, non era morta la speranza dei palermitani onesti. Via Carini è divenuta un luogo simbolo, e proprio da Palermo è partito un movimento civico che, anno dopo anno, ha visto maturare su tutto il territorio nazionale un sempre maggior coinvolgimento sui temi della legalità”.
* Fonte: Collettiva
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