Chiesa del crotonese e associazioni unite contro l’ndrangheta
La zona di Isola Capo Rizzuto da anni vede una forte presenza delle ‘ndrine. Ma dal basso sta nascendo un movimento che si oppone alla malavita. Il parroco don Francesco ribadisce: “La nostra comunità cristiana è impegnata nell’annuncio del Vangelo, che è una forza di liberazione” anche dalle mafie. L’esperienza positiva della cooperativa Terre Joniche
La Chiesa rinnova il suo impegno contro le mafie. La zona di Capo Rizzuto, come gran parte della provincia di Crotone in Calabria, da anni vede una forte infiltrazione delle ‘ndrine nella vita quotidiana.
Basta dire che il 7 agosto scorso il Consiglio dei Ministri ha sciolto il comune di Cutro per infiltrazioni della ‘ndrangheta. Dal 2012 ad oggi, poi, non meno di una decina di operazioni della magistratura hanno messo in luce intrecci tra malavita, politica, imprenditori. E purtroppo a giugno è arrivata anche la condanna di un sacerdote, già sospeso dal vescovo non appena nel 2017 fu avviata l’indagine dai magistrati. Non solo tangenti, appalti pilotati, gioco d’azzardo, il parco eolico di Isola, ma anche il Centro di Accoglienza per Rifugiati è finito nel mirino delle ‘ndrine.
Il parroco di Isola Capo Rizzuto: qui c’è voglia di cambiamento
La Chiesa del crotonese da alcuni anni ha intrapreso un’azione per dare sostegno alle forze positive che sono sul territorio. Si tratta di creare una coscienza civile e di far capire che adesione al Vangelo e alla cosche della ‘ndrangheta non possono coincidere. Don Francesco Gentile dal 2018 è parroco a Isola Capo Rizzuto, dopo aver svolto il suo ministero a Crotone, e dice di notare uno spirito di cambiamento in tanti cittadini.
“Certamente questo desiderio è presente ben diffuso nella popolazione – afferma ai nostri microfoni – , e lo si vede anche da tante scelte che le persone fanno, per esempio associarsi per il bene. Un fenomeno molto bello di questo territorio è la capacità di associarsi intorno a progetti piccoli o medi dal punto di vista della loro grandezza, ma che comunque hanno un impatto sul territorio. Sono progetti di natura artistica, sociale, di vicinanza ai bisogni, alle fragilità, questo è qualcosa che viene manifestato con una certa continuità. E’ un desiderio che ha bisogno di essere assecondato da tutti i soggetti che in qualche modo hanno la possibilità di farlo, anche da parte nostra”.
Ascolta l’intervista a don Francesco Gentile
I giovani fondamentali per un cambio di mentalità
“La nostra comunità cristiana è impegnata nell’annuncio del Vangelo, che è una forza di liberazione. Il Vangelo ha la capacità di orientare le coscienze, di suscitare un desiderio di bene, di una vita alternativa rispetto a progetti molto meno umani che vengono, invece, proposti da altre forze negative che purtroppo pervadono la società – dice ancora don Gentile -. Questo si concretizza anche in cammini, percorsi, piccole opere che rappresentano un segno sul territorio dal punto di vista educativo, dell’assistenza ai bisogni, della vicinanza a situazioni di fragilità. Il nostro territorio è molto ricco dal punto di vista giovanile. E noi, principalmente attraverso i percorsi di iniziazione alla fede, attraverso il nostro oratorio, attraverso la presenza dello scautismo, cerchiamo di aiutare i ragazzi a immaginare la loro vita vissuta evangelicamente e umanamente, e dunque anche secondo una logica di legalità”.
Creare lavoro per dare un’alternativa
La provincia di Crotone è tra le più povere d’Europa. La disoccupazione supera il 30%, il Pil è quasi la metà di quello medio italiano, molti giovani emigrano in altre regioni, 42 abitanti su 100 hanno fatto domanda di reddito di cittadinanza. Dismessa alla fine degli anni ’80 l’area industriale della Montedison, si fa fatica a trovare filiere alternative di sviluppo. Ora si punta sul turismo e sulla valorizzazione dei beni archeologici. E purtroppo la malavita cerca di attrarre anche dando lavoro.
“Dove c’è fame di lavoro può succedere di tutto, le coscienze sono più manipolabili, più fragili e soprattutto le giovani generazioni diventano più permeabili a queste logiche – continua don Francesco -, ma si può fare tanto, si può educare all’idea che il lavoro non è semplicemente qualcosa che deve cadere dall’alto, ma è qualcosa che può anche essere costruito attraverso legami, attraverso una iniziativa personale, acquisendo competenze e capacità. Ci vuole anche una sinergia, una presenza delle istituzioni che qua purtroppo a volte latitano, non svolgono pienamente il proprio ruolo da questo punto di vista. Il controllo del territorio è importantissimo. Ma naturalmente questa azione repressiva non può essere l’unica che rende possibile un cambiamento, in un territorio ci vuole una presenza costante che possa attrarre investimenti”.
L’esperienza positiva della cooperativa Terre Joniche
Ma c’è tanta gente che ha voglia di impegnarsi. Da una ventina di anni, su terreni confiscati dalla magistratura a una cosca di Isola Capo Rizzuto, è nata la cooperativa Terre Joniche. Nel corso del tempo si è specializzata in una serie di produzioni di agricoltura biologica soprattutto di cereali. Di recente poi ha avviato la coltivazione anche di ortaggi biologici, destinandone una parte al sostentamento delle famiglie più bisognose, attraverso l’Emporio solidale di Crotone e il Camper della speranza che sostiene senza fissa dimora e soggetti in difficoltà. L’iniziativa si chiama Orti Solidali, fa leva appunto su una serie di soggetti del mondo del volontariato ed è fortemente sostenuta anche dalla Caritas locale. Terre Joniche aderisce alla rete LiberaTerra fondata da Libera di don Luigi Ciotti.
Il referente locale Umberto Ferrari ci dice che “il messaggio che si vuole dare è che lo Stato quando vuole può e riesce a contrastare le mafie. Chiaramente lo Stato da solo non ce la può fare, quindi c’è bisogno dell’aiuto di tutti i cittadini, e quando parliamo di beni confiscati questo si esprime nel modo evidente. Lo Stato esercita l’azione repressiva e preventiva con le confische attraverso i tribunali, attraverso le forze dell’ordine. Ma poi – prosegue Ferrari – questi beni devono in qualche modo essere restituiti alle popolazioni. E questo avviene solo se c’è la partecipazione e l’aiuto da parte dei cittadini. E’ chiaro che qui ci sono state e ci sono ancora, sebbene più attenuate, difficoltà nel coinvolgere la gente del posto, perché comunque il condizionamento da parte di certe famiglie di ‘ndrangheta risale a tanti tanti anni indietro. E quindi è molto difficile scardinarlo. Però noi continuiamo a lavorare e piano piano le cose migliorano”.
Ascolta l’intervista a Umberto Ferrari
* Fonte: Vatican News, 30/08/2020
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