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La Costituzione: un progetto di società che attende di essere realizzato

Calogero Gaetano Paci * il . Giustizia, Istituzioni, Società

costituzioneCostituire significa assemblare e formare. Costituzione è lo stratificarsi di molteplici pensieri di un vasto popolo, raccolti in una lingua unica e plurale capace di formare uno Stato, assemblando le istanza delle differenti identità che lo compongono”

Questa appena letta non è la definizione del concetto di Costituzione proposta da un giurista o da un politico ma da un musicista jazz[2], il più insospettabile a doversi cimentare in questo compito eppure sorprendentemente capace di descrivere con parole semplici la funzione universale del testo normativo che ormai dappertutto nel mondo regge le sorti delle comunità che si riconoscono in uno stato.

Una definizione che scolpisce gli elementi essenziali che la Costituzione deve avere: la stratificazione di molteplici pensieri, ossia le inevitabili diverse istanze ideali che la compongono, la lingua unica in cui si identificano gli idiomi delle varie provenienze territoriali, il progetto di società che le diverse identità si impegnano a realizzare in comune e gli strumenti per edificarlo.

Una definizione che probabilmente ha una capacità espressiva superiore a quelle, elaboratissime, proposte dai grandi giuristi e filosofi del diritto.

Dalla “grundnorm” (norma fondamentale presupposta) di Hans Kelsen alla “decisione fondamentale” di Carl Schmitt, passando per la “costituzione materiale” di Costantino Mortati, i grandi teorici del Novecento che hanno studiato ed approfondito la validità e la funzione della Costituzione all’interno dell’ordinamento dello stato sono pervenuti alla conclusione che essa debba svolgere il ruolo di argine formale e sostanziale rispetto all’azione del legislatore ed alle mutevoli contingenze politiche.

Dietro le formule normative, sconosciute ai più, che regolamentano l’esercizio della sovranità popolare, il funzionamento degli organi dello Stato e le procedure di revisione vi è in realtà la precisa consapevolezza dei costituenti che si tratta di strumenti, per dirla con le parole della Costituzione americana del 1787, necessari per garantire “i  diritti inalienabili degli uomini, e tra questi alla Vita, alla Libertà ed alla ricerca della Felicità”.

Sia pure più giovane, la Costituzione della Repubblica Italiana ha compiuto settantadue anni dalla sua emanazione ed oggi ha innanzi a sé una società caratterizzata da condizioni politiche, sociali ed istituzionali profondamente diverse da quelle del 1948.

Scritta con il sangue versato dalle migliaia di vittime civili della Resistenza contro il nazi-fascismo, essa nacque, per usare le parole di Piero Calamandrei, “dovunque è morto un Italiano per riscattare la libertà e la dignità, nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati”.

Di quel tempo racchiuse le migliori espressioni culturali e politiche dell’Italia, quella cattolica (la famiglia, i diritti inviolabili dell’uomo), quella liberale (la libertà dell’individuo e dell’iniziativa privata) e quella comunista (eguaglianza sostanziale e lo stato sociale), e sul loro perfetto equilibrio fondò una nuova architettura istituzionale ed un nuovo progetto di società.

Occorreva intanto reagire contro la deriva autoritaria e dittatoriale che il fascismo aveva impresso allo Stato e ripristinare innanzitutto la tradizionale separazione dei poteri (parlamento, governo e magistratura), ponendo al centro di essi le assemblee legislative, diretta espressione della sovranità popolare, e conferendo a ciascuno piena autonomia reciproca ed indipendenza funzionale, esercitata sotto l’opera di raccordo e di equilibrio svolta dal Presidente della Repubblica (“ re che regna ma non governa”); rafforzò l’autonomia e l’indipendenza della magistratura considerata come il baluardo della tutela dei diritti dei cittadini; si sforzò di andare oltre il tradizionale impianto dello Stato liberale introducendo un ampio decentramento di funzioni a favore delle autonomie territoriali (regioni, comuni, minoranze linguistiche) e prevedendo una serie di istituzioni di garanzia necessarie per evitare che qualche potere dello Stato potesse sconfinare nelle attribuzioni di un altro.

Vennero finalmente fortificate le garanzie per la partecipazione dei cittadini alla politica nazionale, mediante la più ampia liberalizzazione dei partiti politici e la predisposizione di una serie di istituti necessari per evitare che questa potesse subire qualsiasi sorta di discriminazione, anche attraverso l’adozione di strumenti idonei per consentire ai cittadini la loro diretta partecipazione alle scelte di governo (referendum, iniziativa legislativa, diritto di sciopero ).

La democrazia come mezzo esclusivo ed inderogabile di assunzione delle decisioni rilevanti per la comunità nazionale e per quelle locali.

E vennero spalancati in permanenza i canali di collegamento internazionale attraverso l’autolimitazione all’esercizio della sovranità dello Stato italiano – impensabile in epoca fascista in cui un malinteso concetto di supremazia\sovranità avrebbe condotto la Nazione nel baratro di una guerra mondiale – a favore di organismi sovranazionali idonei ad assicurare la pace la prosperità tra i popoli.

Occorrerebbe avere presenti più spesso queste disposizioni, in una fase storica come l’attuale in cui viene quotidianamente posta in discussione l’adesione del nostro Paese alle Istituzioni comunitarie.

Ma soprattutto la Costituzione rivoluzionò radicalmente i rapporti tra i cittadini e tra i cittadini e l’Autorità: introdusse per la prima volta nel nostro Paese il riconoscimento e la garanzia dei “diritti inviolabili dell’uomo”, formula che tanta fortuna ha avuto nella giurisprudenza per riconoscere e garantire quei diritti espressamente previsti dalle leggi (diritto alla inviolabilità della libertà personale, alla salute, alla libertà di pensiero, di comunicazione e corrispondenza, di culto, di circolazione, di istruzione e di ricerca scientifica ecc.) ma, anche e soprattutto, per attribuire autonomia giuridica a tutte quelle condizioni soggettive e sociali che il nostro sistema legislativo neppure prevedeva, ma che la coscienza sociale avvertiva come meritevoli di tutela (dal diritto alla riservatezza ed alla privacy al diritto di resistenza passiva contro le politiche di guerra di aggressione).

Anticipando di oltre un cinquantennio le complesse questioni sollevate dai grandi fenomeni immigratori del nostro tempo, la Costituzione adottò una scelta netta a favore del riconoscimento dei diritti fondamentali “alluomo” e non soltanto al cittadino, sulla base di una concezione antitetica alle politiche autarchiche, fasciste e xenofobe, purtroppo ancora oggi molto diffuse in Europa.

Il riconoscimento della dignità dell’uomo come principio assiologico dei diritti fondamenti costituisce, secondo il Presidente emerito della Corte Costituzionale Gaetano Silvestri, il presupposto per orientare la funzione della stessa Costituzione e delle Istituzioni da essa previste allo scopo di ridurre lo scarto esistente tra le proclamazioni di principio e la tutela in concreto realizzata[3].

Valore che lo Stato è tenuto a rispettare non solo in vita anche dopo la morte, la dignità è il parametro di riferimento costante nel rapporto tra l’uomo e il cittadino, da un lato, e  le istituzioni, dall’altro: dalla materia militare (art. 52), a quella penale (art. 27, comma 3°), da quella sanitaria (art. 32: mai cosi attuale in tempi di pandemia!), sino alla “esistenza libera e dignitosa” che il diritto/dovere al lavoro deve garantire (art. 4).

Se poi ci sforziamo di osservare come in terra di ‘ndrangheta il valore della dignità venga inteso e vissuto ci rendiamo conto che esso è stata svuotata del suo senso più autentico per divenire la formula di copertura della perpetuazione del vincolo associativo, mediante la commissione di delitti ed omicidi anche nei confronti dei propri familiari quando “pretendono” di far valere la loro dignità di uomini liberi.

La dignità come principio assoluto non può essere limitata soltanto al riconoscimento dell’autonomia e della libertà dell’individuo ma richiede anche l’attuazione della “pari dignità sociale” come vuole l’art. 3, norma di vera e propria rottura rispetto al costituzionalismo liberale ed alla accezione formale del principio di uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. Essa va oltre perché introduce una concezione dinamica e del tutto inedita che concepisce l’eguaglianza tra i cittadini, in un sistema basato sull’economia di mercato, come un obiettivo che lo Stato si impegna a raggiungere mediante la rimozione di tutti gli ostacoli materiali e giuridici che impediscono il pieno sviluppo della personalità umana e la partecipazione dei lavoratori all’organizzazione economica, sociale e politica del Paese.

Un programma estremamente ambizioso, emancipativo come direbbe il costituzionalista Gaetano Azzariti[4],  di trasformazione delle basi materiali, culturali e spirituali della società che ha al proprio centro la garanzia della effettività del diritto al lavoro – sul quale si fonda tutta la struttura sociale ed istituzionale della Repubblica (artt. 1, 4, 36, 43) – ma che attende ancora di essere pienamente realizzato, sebbene non possano essere sminuite le profonde modifiche alle strutture sociali ed istituzionali del Paese realizzate rispetto al momento in cui la Costituzione vide la luce (si pensi soltanto al diritto allo studio ed alla sempre più generalizzazione dell’eccesso a tutti i gradi dell’istruzione).

In questo contesto di grandi trasformazioni persino un istituto tradizionalmente immune ai cambiamenti legislativi come il diritto di proprietà, considerato in passato assoluto ed inviolabile più della stessa libertà e dignità umana, venne sottoposto a limiti penetranti dalla Costituzione, attraverso la previsione della “funzione sociale”, come vincolo volto a garantire la fruizione della proprietà non solo per realizzazione gli interessi egoistici del proprietario ma anche per tutelare gli interessi della collettività e per renderla accessibile a tutti (si pensi ai contratti agrari, alle leggi sulla casa e sull’equo canone).

Assume inoltre una attualità sconvolgente la previsione introdotta dall’art. 53, ed ancora oggi scarsamente realizzata, della progressività della capacità contributiva come principio egualitario fondamentale per concorrere alle spese pubbliche.

È sufficiente considerare quanto questo principio subisca quotidiane e reiterate violazioni in una fase storica come quella attuale, caratterizzata da un grave e dilagante fenomeno di evasione fiscale di massa, che va dal piccolo artigiano, spesso vessato da una pressione fiscale insostenibile, ai grandi gruppi imprenditoriali ed industriali, che invece evadono per costituire all’estero riserve occulte con cui corrompere pubblici amministratori ed uomini politici allo scopo di conquistare nuove posizioni di mercato.

Certamente i settantadue anni che sono trascorsi dalla sua adozione hanno rivelato la necessità di qualche adeguamento, soprattutto in relazione alla parte dell’ordinamento della Repubblica, dove già alcune modifiche sono state apportate (ad esempio il sistema delle autonomie regionali) ed altre attendono di essere realizzate (tra tutte il bicameralismo ed il procedimento della formazione delle leggi).

Come è noto non sono mancati i tentativi di revisione: alcuni palesemente illegali (si pensi al c.d. Piano di rinascita democratica del 1981 di Licio Gelli volto ad imprimere una svolta autoritaria), altri finalizzati a riconfigurare l’impianto istituzionale complessivo nell’ambito di un nuovo assetto federale (elaborato nel 1993 da Gianfranco Miglio), altri ancora elaborati dal Parlamento da apposite Commissioni bicamerali ma mai approvate (cc.dd. Bozzi 1983, De Mita-Iotti 1994, D’Alema 1997), altri ancora respinte dal corpo elettorale in sede di referendum confermativi (nel 2016).

Durante questi anni, altri Paesi, anch’essi reduci da esperienze dolorose e tragiche come il regime fascista (come la Spagna, il Portogallo e la Grecia), hanno adottato nuovi testi costituzionali assumendo il nostro come modello di riferimento, mentre altre importanti democrazie (Francia e Germania) guardano con invidia al nostro sistema di garanzie costituzionali ed alla posizione istituzionale di autonomia del Pubblico Ministero dal governo, precondizione necessaria per combattere con efficacia ed uniformità la criminalità organizzata come anche quella dei colletti bianchi e delle classi dirigenti.

Ma se guardiamo a questi anni ci rendiamo conto che buona parte del programma costituzionale aspetta ancora di essere realizzato e di essere messo alla prova di fronte alle grandi sfide che nascono dalle crisi economiche, dalla globalizzazione e dalle rivoluzioni tecnologiche e con le quali il nostro Paese si deve confrontare ogni giorno.

La nostra “bibbia laica”, come l’ha definita l’ex Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, ha bisogno di essere conosciuta e vissuta da ogni cittadino che vuole sentirsi veramente tale, unico reale ombrello protettivo per coloro che non hanno i mezzi materiali e culturali necessari per rivendicare la tutela dei loro diritti.

* Procuratore della Repubblica Aggiunto di Reggio Calabria [1]

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[1] Testo dell’intervento svolto a Carlopoli l’11 agosto 2020 nell’ambito dell’incontro Cittadinanza attiva e cultura della Legalità”

[2] Paolo Fresu, Poesie jazz per cuori curiosi, Milano, 2018, p.54

[3] G. Silvestri, Considerazioni sul valore costituzionale della dignità della persona, in associazionecostituzionalisti.it, 14 marzo 2008

[4] G. Azzariti, Il costituzionalismo moderno può sopravvivere?, Bari, 2013, pag. 159

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