Sergio Zavoli per sempre nella storia del Gruppo Abele
In una società che vive i fatti del presente come fosse su un’autostrada, passando distrattamente sul tempo, ci siamo voluti prendere qualche giorno per il ricordo di Sergio Zavoli. Perché l’esercizio della memoria parte innanzitutto dall’intimo. E perché certe circostanze chiedono giuste misure e giuste parole che a caldo è difficile trovare.
Il nome di Sergio Zavoli resterà per sempre scritto nella storia del Gruppo Abele per il fatto che Sergio Zavoli ha (anche se indirettamente) dato al Gruppo Abele il nome. È il 1968, un anno di movimenti sociali e popolari. Cambia tutto, cambia il mondo. E in questo cambiare, cambia l’Italia. E se accade è anche grazie al lavoro di gente come Zavoli. È nel Sessantotto infatti che la Rai manda in onda un suo documentario. Quel documentario, che dura meno di mezz’ora, schiude per la prima volta in maniera così eclatante agli occhi all’opinione pubblica, le porte dei manicomi.
Che allora, e pure per molti allora a venire, erano fonte di paure, oggetto al massimo di qualche battuta, ambientazione di qualche barzelletta. Con Sergio Zavoli che entra, troupe e telecamere, nella struttura di Gorizia per intervistare Franco Basaglia (che di quel manicomio era il direttore), si frantuma ogni stigma. Zavoli dà voce agli ultimi, ai dimenticati, ai sofferenti. Scinde, per bocca di Basaglia, malati e malattia mettendo in primo piano il tema della cura, intesa come attenzione e non solo solo come trattamento sanitario.
Quel lavoro mirabile si intitola I giardini di Abele.
Da qui, da questa affinità culturale, da questo rivendicare spazio, voce e dignità per i diseredati, nasce anche il nostro cambiamento. Il Gruppo Abele, che da tre anni, dalla sua nascita nel 1965, aveva un altro nome, era Gioventù impegnata, diventa, appunto, Gruppo Abele. Un nome che per 52 anni da allora s’è caricato di questa responsabilità collettiva.
La stessa portata avanti da Basaglia. La stessa portata avanti da Zavoli. La stessa portata avanti da tante donne e da tanti uomini che, anche nel silenzio, hanno affrontato le ere umane per dare – direbbe Fabrizio De André – una goccia di splendore a chi è abituato al buio.
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