Il rapporto della DIA: lotta alle mafie è vera priorità
Alcuni giorni fa la Ministra dell’Interno ha presentato in Parlamento la relazione della DIA sulle attività di contrasto e i risultati conseguiti nel secondo semestre del 2019.
Si tratta di ben ottocentoottantotto pagine (inclusi gli allegati dove vengono riassunti i principali provvedimenti di prevenzione e di contrasto adottati dalla Direzione) che ne fanno il resoconto più corposo redatto dalla DIA dalla sua istituzione. Tra le novità un capitolo riservato al Covid per “offrire spunti di riflessione e possibili linee di indirizzo operativo” in relazione a “settori maggiormente esposti agli interessi delle mafie a seguito della compressione del sistema produttivo nazionale e internazionale”.
Il lavoro fatto dalla DIA meriterebbe una seria riflessione parlamentare e ai vari livelli della politica e delle istituzioni deputate alla sicurezza perché se da un lato ci propone una serie di importanti risultati delle forze di polizia contro le varie mafie anche nel periodo esaminato, dall’altro lato ci disegna un quadro generale di lievitazione delle varie organizzazioni criminali davvero inquietante.
Così, dalle risultanze investigative e giudiziarie emerge ancora “una ‘ndrangheta tendenzialmente silente (..) saldamente leader nei grandi traffici di droga, ambito in cui sta acquisendo sempre maggior forza e prestigio a livello internazionale” mentre lo scenario mafioso siciliano è caratterizzato da fermenti per risolvere la questione legata alla leadership anche se vengono segnalati miglioramenti nei “rapporti di esponenti di alcune famiglie storiche di Cosa nostra palermitana, i cosiddetti “scappati”, con La Cosa nostra americana”. Dinamiche ancora “fluide e complesse” quelle che continuano a contraddistinguere la “criminalità organizzata campana” dove accanto a gruppi di minore caratura criminale ma violenti troviamo sempre “quelli storicamente consolidati” che “appaiono orientati a controllare i mercati legali, stringendo rapporti con il mondo imprenditoriale, le pubbliche amministrazioni ed esponenti politici”.
Ci sono, infine, le “diverse mafie operanti nelle province pugliesi” specializzate nel traffico di stupefacenti e “con saldi collegamenti con le compagini albanesi”. E la DIA, a proposito di criminalità straniera presente in Italia, vi dedica un capitolo ad hoc riservando, come nella precedente relazione, particolare attenzione (dieci pagine di analisi) a quella nigeriana che è presente su tutto il territorio nazionale ed insieme a quella cinese, sono “le uniche ad avere i caratteri tipici della mafiosità per sentenza”.
Un panorama reso ancor più angosciante dalla semplice lettura del capitolo della relazione dedicato alla presenza della criminalità organizzata sul territorio nazionale e, ancor di più, sulla sua presenza all’estero e sulle relazioni internazionali che tiene in almeno quindici Stati europei e dodici extraeuropei.
Tra questi ultimi l’Uruguay dove è stata accertata la presenza delle cosche calabresi con l’operazione “Magma” condotta dalla Guardia di Finanza e conclusasi nel novembre 2019 con l’arresto di 45 persone accusate di associazione di tipo mafioso e traffico internazionale di stupefacenti. Anche in Perù ( è il secondo paese, dopo la Colombia, per estensione delle coltivazioni di piante di coca), da dove proviene una buona parte della cocaina destinata al nostro paese, si segnalano presenze di mafiosi italiani come è emerso nelle operazioni antidroga “Edera” e “Balboa” con le cosche ‘ndranghetiste del reggino importatrici di ingenti quantitativi di cocaina. Attenzione anche al Cile dove “i trafficanti italiani, una volta acquistata droga per lo più dalla Colombia, la farebbero transitare e alla Costa d’Avorio dove “..la c.o. italiana, in particolare la ‘ndrangheta, risulta coinvolta nei traffici che fanno sponda sul territorio ivoriano, qui gestito da organizzazioni nigeriane e ghanesi”.
Fanno drizzare i capelli, inoltre, quelle ottanta pagine che la DIA dedica alle infiltrazioni delle mafie nel settore dei giochi e delle scommesse con un giro di affari annuo miliardario.
Credo, infine, che resterà, come al solito, inascoltato quel garbato invito formulato nella parte conclusiva della relazione di “una moralizzazione dalle contaminazioni mafiose cui devono concorrere tutti gli attori istituzionali e politici nazionali i quali devono assumersi l’obbligo, non solo morale, di verificare la condotta e la storia politica de loro rappresentanti territoriali”.
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