Decreto Rilancio: “Assenza di visione e difetto d’impostazione”
È stato chiamato Decreto Rilancio, ma è assente quel cambio di passo senza il quale non può esserci “rilancio” ma solo stanco procedere al ritmo di prima. Dunque più che rilancio, replica del già visto. Replica che non ci possiamo più permettere in un frangente delicato come questo, dove un cambiamento di metodo, di sostanza e di obbiettivo – vista la pandemia e le sue conseguenze – non è più solo una scelta ma una necessità urgente.
Il decreto compie passi in avanti in certi ambiti, come quello della povertà educativa, delle vittime di usura e violenza sulle donne, delle cooperative di lavoratori di aziende in crisi o confiscate.
Su tutto il resto, però (dal sistema sanitario pubblico al reddito di cittadinanza, dall’emergenza abitativa alla regolarizzazione dei lavoratori migranti e all’ insufficiente attenzione verso il servizio civile, solo per citare alcuni ambiti) stabilisce criteri di sostegno eccessivamente restrittivi e selettivi, di fatto insufficienti a sanare e rilanciare realtà a lungo ferite da politiche economiche sbagliate che in nome dell’austerità e delle privatizzazioni hanno fatto crescere la povertà e le disuguaglianze a livelli mai visti nella storia del nostro Paese, favorendo solo grandi concentrazioni di ricchezze private.
È qui che l’impianto restrittivo del decreto denuncia una assenza di visione e un difetto d’impostazione.
La pandemia ha messo e continua a mettere in evidenza l’insostenibilità ambientale e sociale e le contraddizioni dell’“economia di mercato”, la sua inesorabile distruzione dei beni comuni, della biodiversità ed allo stesso tempo dei diritti sociali e della dignità delle persone. Ce lo ha dimostrato anche il Covid-19 come la crisi sociale sia strettamente connessa con quella ecologica. La nostra salute dipende da quella della nostra Casa Comune.
Non si può dunque sperare in una ripresa senza un superamento del modello economico e culturale che ha provocato la crisi. Superamento che comporta anche un deciso riconoscimento e sostegno di quelle realtà che, colmando vuoti politici e istituzionali, da decenni si prendono cura di milioni di persone abbandonate a sé stesse, sempre più disperate e sempre più invisibili.
Non ci può essere cambiamento senza un impegno comune a combattere la povertà materiale e tutte le altre che inevitabilmente genera: povertà educative e culturali, povertà di diritti e democrazia. È proprio ciò che questo decreto – al di là di quei piccoli, timidi passi in avanti – non fa o non vuole fare. Ed è anche questo un segno di povertà etica e culturale, perché può “cambiare passo” solo quella politica che con determinazione e coraggio comprende che oggi è necessario ed urgente superare il sistema economico responsabile della crisi, se vogliamo garantire la sicurezza sociale, ambientale, il diritto al lavoro, alla salute ed alla partecipazione dei cittadini.
Abbiamo bisogno di un altro approccio culturale se vogliamo imparare ed uscire da questa drammatica crisi. Solo così la politica ritrova la sua essenza di servizio per il bene comune, di presidio di democrazia, di garanzia di giustizia sociale, ambientale ed ecologica.
* Presidente Libera e Gruppo Abele
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