Forze di polizia: qualche pecora nera di troppo
Ad aprile scorso, l’Ufficio per le relazioni sindacali del Dipartimento della Pubblica Sicurezza ha inoltrato alle segreterie nazionali dei diversi sindacati di polizia alcune slides sulla “ipotesi di revisione” del Regolamento di servizio dell’Amministrazione della P.S. in vigore sin dal 1985.
Il richiamo ad alcuni fondamentali valori per chi è chiamato a prestare servizio nella Istituzione occupa la prima posizione con la “disciplina” e sue appendici (imparzialità, equità, obiettività, trasparenza), l’“onore”, da cui discende la dignità, l’integrità, il rispetto, il “servizio alla Nazione” caratterizzato da senso di responsabilità, fiducia, indipendenza, correttezza, lealtà.
Valori che talvolta vengono calpestati da operatori delle forze di polizia che dimostrano, tra l’altro, di non essere più in possesso di quei requisiti attitudinali per un corretto svolgimento dei compiti istituzionali.
Anche per questo il “gruppo di lavoro” incaricato a suo tempo dal Capo della Polizia di proporre aggiornamenti al Regolamento di servizio ha ritenuto opportuno “inserire una previsione che consenta di rinnovare gli accertamenti attitudinali in costanza del rapporto di impiego, in considerazione della pronuncia del Consiglio di Stato che, con parere n.2206/2010, rese in sede di interpretazione dell’art.2 del D.M. 30 giugno 2003 n.198, ha precisato che le attitudini non sono qualità innate nell’individuo ma mutevoli e, in quanto tali, soggette ad essere rivalutate al verificarsi di “specifiche circostanze” che devono essere fatte oggetto di adeguata motivazione”.
Non sappiamo se questa previsione passerà ma sappiamo che questa possibilità di rinnovare gli accertamenti attitudinali esiste già in altri paesi e in alcuni (vedi il Messico), ci sono stati, negli anni passati, moltissimi “licenziamenti” di poliziotti che non avevano superato le prove di “affidabilità” cui erano stati sottoposti.
Certo un maggior rigore appare necessario anche nelle nostre forze di polizia. Sono sgradevolissimi e lasciano un profondo senso di amarezza i fatti di cui si viene a conoscenza di operatori di polizia arrestati anche per delitti gravissimi.
Tra questi, limitandoci a quelli del 2020, il fatto di gennaio, a Napoli, con cinque carabinieri agli arresti domiciliari (altri tre sospesi dalle funzioni con provvedimento del giudice) con l’accusa di corruzione nell’ambito di una inchiesta su clan camorristici. E, sempre a gennaio, la condanna di cinque poliziotti a Milano per associazione a delinquere, corruzione, abuso di ufficio, nel contesto di un inchiesta sul rilascio di permessi di soggiorno, mentre a Vibo Valentia, sono imputati due militari della Guardia di Finanza per favoreggiamento personale e rivelazione di segreti di ufficio aggravata dall’associazione mafiosa.
Dopo i due mesi di blocco totale del paese collegato alla nota pandemia, sono tornate le brutte notizie con l’arresto, a Prato, di un brigadiere dei carabinieri coinvolto in una rapina compiuta nel maggio del 2019 in danno di una coppia di cinesi; la detenzione, a Roma, di quattro finanzieri (tre ai domiciliari e uno in carcere) accusati di corruzione in un’inchiesta in cui ci sono altri 23 indagati; gli arresti, a Bari, di due carabinieri che passavano informazioni al clan Di Cosola in cambio di “stipendi” fissi, mensili, di mille euro, per finire alle manette di queste ultime ore messe ai due agenti, fratelli gemelli, della Polizia di Frontiera dell’aeroporto di Fiumicino accusati di aver “agevolato”, in cambio di denaro ed altre utilità, il transito nello scalo romano di un imprenditore siriano che trasportava ingenti somme di denaro.
Episodi che lasciano stupore e sconcerto anche tra gli stessi appartenenti alle singole forze dell’ordine che ci garantiscono ogni giorno quella tranquillità di cui c’è un gran bisogno.
Riorganizzazione delle forze dell’ordine per il post Covid-19
Forze di polizia infedeli e promesse tradite in tema di sicurezza
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